Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
SOLO NEL 2025, IL TESORO DEGLI STATI UNITI DEVE EMETTERE NUOVI TITOLI PER DUEMILA MILIARDI DI DOLLARI PER COPRIRE IL DEFICIT. E DEVE RINNOVARE TITOLI DI SCADENZA PER CIRCA OTTOMILA MILIARDI DI DOLLARI
Per ottant’anni, i mercati si sono basati su due pilastri che hanno sostenuto
l’infrastruttura del sistema finanziario internazionale: il dollaro come moneta di riserva per le banche centrali o le istituzioni private in qualunque Paese; e i titoli di Stato americani come unici valori sicuri, privi di rischio, reperibili e scambiabili in abbondanza e rapidamente in ogni momento e ovunque, dunque
validi quali garanzia in tempi normali e beni rifugio durante le crisi.
Le loro caratteristiche hanno reso il dollaro e i titoli di Stato americani unici e indispensabili. Su questi fondamenti si è tenuto ed è cresciuto il sistema dagli accordi di Bretton Woods del 1944 fino al 2 aprile, Liberation Day di Donald Trump.
Da allora, molti investitori non sono più così sicuri. E già solo il fatto che il dubbio si sia insinuato fa sì che il genio sia fuori dalla bottiglia: rimettercelo sarà fra l’impossibile e il difficile, lungo e faticoso.
Dunque l’economia globale sta entrando in terra incognita. L’imprevedibilità e apparente carenza di logica con cui i dazi «reciproci» di Trump sono stati imposti, poi ritirati per quasi tutti, ma alzati al parossismo per la sola Cina ha improvvisamente ricordato a molti sui mercati la realtà sottostante: gli Stati Uniti non possono alienarsi i loro creditori; non possono creare in loro dubbi quanto alla competenza di chi governa, perché devono convincere quegli stessi creditori a finanziare gli enormi debiti privati e pubblici del Paese.
Una differenza rispetto all’altro mandato di Trump è che, nel giorno del giuramento, il debito pubblico era al 103% del prodotto lordo la prima volta ma al 122% la seconda; il deficit era al 3,3% e ora è al 6,3%, malgrado anni di crescita sospinta (anche) dalla finanza pubblica.
Solo nel 2025, il Tesoro degli Stati Uniti deve emettere nuovi titoli per circa duemila miliardi di dollari per coprire il deficit. Deve anche rinnovare titoli di scadenza per circa ottomila miliardi di dollari. E far fronte ad altri 500 miliardi di dollari in interessi. I prestiti da raccogliere nel 2025 per il Tesoro americano, il cui volto oggi è quello del segretario Scott Bessent, arrivano dunque poco sotto al 10% del prodotto lordo della Terra. Nel frattempo la stessa amministrazione ha colpito il resto del mondo con dazi che, anche dopo la mezza ritirata di tre giorni fa, restano in media i più alti da un secolo.
Una delle reazioni è stata nei Treasuries, i titoli di Stato Usa: per la prima volta hanno iniziato a comportarsi come titoli non privi di rischio. Il rendimento a dieci anni è salito dal 3,9% del 2 aprile a un picco appena sotto il 4,6% ieri. Non era mai successo che lo spread con l’analogo Bund tedesco (scarto di rendimento) salisse di oltre lo 0,5% in così pochi giorni.
Non stupisce che dal Liberation Day l’euro si sia apprezzato del 5% sul dollaro, cioè che il dollaro abbia perso terreno: uno spostamento immane, per un mercato così immenso. E come per i Treasuries, ad attrarre l’attenzione non sono tanto i livelli ma la rapidità degli smottamenti: quelli si sono già visti, questa no.
Una teoria sul mercato, senza prove né indizi, è che la Cina abbia accelerato lo smobilizzo dei suoi 760 miliardi di riserve in Treasuries proprio per destabilizzarli. È anche probabile che alcuni fondi abbiano venduto carta sovrana degli Stati Uniti per rientrare dai debiti. Ma ormai il precedente c’è, è autoinflitto e sotto gli occhi di tutti.
La Federal Reserve ieri ha detto che è pronta a stabilizzare il mercato. Ora è possibile che elimini le penalizzazioni patrimoniali per le banche americane che comprano titoli pubblici Usa, quindi presti a termini agevolati alle banche stesse perché investano su di essi. Ma è una tecnica che usava l’Italia in piena crisi nel 2011, non da sistema di riferimento della finanza globale.
Federico Fubini
per il “Corriere della Sera”
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE INDICA PRIMA L’INVESTITORE CHARLES SCHWAB: “LUI HA GUADAGNATO OGGI DUE MILIARDI E MEZZO”. POI, PARLANDO DI ROGER PENSKE, AGGIUNGE: “LUI 900 MILIONI DI DOLLARI. NON È MALE” … IL SENATORE DEMOCRATICO ADAM SCHIFF HA CHIESTO L’AVVIO DI UN’INCHIESTA PER ACCERTARE SE SI CONFIGURI UN CASO DI INSIDER TRADING DIETRO IL POST DI TRUMP CHE INVITAVA A COMPRARE SUI MERCATI, PUBBLICATO TRE ORE PRIMA DELL’ANNUNCIO DELLA SOSPENSIONE DELLE TARIFFE
È diventato un caso il video rubato nello Studio Ovale in cui Donald Trump si vanta di avere amici che hanno fatto soldi a palate a Wall Street dopo le sue dichiarazioni sui dazi. Nelle immagini si vede il presidente che indica alcuni suoi amici al suo fianco ed elenca quanto sono fruttate loro le fluttuazioni borsa, che avevano invece creato panico in tutto il mondo. «Lui – spiega indicando l’investitore Charles Schwab – ha guadagnato oggi due miliardi e mezzo». Poi, parlando di Roger Penske, aggiunge: «Lui 900 milioni di dollari. Non è male».
Il senatore democratico Adam Schiff ha chiesto l’avvio di un’inchiesta per accertare se si configuri un caso di insider trading -lo sfruttamento di informazioni non di dominio pubblico – dietro le parole di Trump
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
“NESSUN ECONOMISTA SERIO PUÒ PENSARLO. IL PUNTO È CHE GLI AMERICANI CONSUMANO MOLTO PIÙ DI QUANTO PRODUCANO, AL CONTRARIO DEI CINESI. E NON HANNO ALCUN PROBLEMA A FINANZIARE IL LORO DEFICIT COMMERCIALE PERCHÉ HANNO IL DOLLARO. FUNZIONA COSÌ DA 50 ANNI”
«La globalizzazione non si fermerà, il capitalismo troverà degli aggiustamenti e chi
non fa più affari negli Stati Uniti li farà altrove. Il commercio è come l’acqua, trova sempre il modo di scorrere. E ad approfittarne potrebbe essere l’Europa», dice Pascal Lamy, che sull’argomento ha qualche esperienza: 78 anni, commissario europeo al Commercio (1999-2004), poi direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (2005-2013), oggi coordinatore dei think tank Jacques Delors di Parigi, Berlino e Bruxelles.
Che cosa pensa delle mosse di Trump?
«Trump è un tale genio della comunicazione che ha infiammato tutto».
Lo definisce genio della comunicazione, non genio dell’economia.
«No, da quel punto di vista si tratta di decisioni totalmente insensate. Trump pone un non-problema per il quale offre non-soluzioni».
Perché la visione di Trump è sbagliata?
«Il deficit commerciale americano non dipende dal fatto che l’America è depredata da furfanti. Nessun economista serio può pensarlo. Il punto è che gli americani consumano molto più di quanto producano, al contrario dei cinesi. E non hanno alcun problema a finanziare il loro deficit commerciale perché hanno il dollaro. Funziona così da 50 anni».
E l’idea di proteggere i lavoratori americani?
«L’idea di riuscire a farlo con i dazi è una credenza voodoo, una cosa da
stregoni, una follia. Ma penso che Trump ci creda davvero».
E la marcia indietro? Tutto calcolato, come adesso cercano di raccontare a Washington?
«Macché. Dopo l’annuncio dei dazi, c’erano due scuole di pensiero: secondo la prima, Trump stava facendo una rivoluzione, creando un nuovo mondo che tutti eravamo chiamati a immaginare e affrontare. In base alla seconda scuola, invece, quella realista alla quale appartengo, quei dazi erano talmente insensati che la realtà avrebbe finito con il prendere il sopravvento».
Il ritorno alla realtà è arrivato prima del previsto?
«Sì, ma non sono state le Borse, il punto sono i tassi di interesse a lungo termine. Le obbligazioni di Stato a 10, 20, 30 anni. Un segno che il credito americano è colpito, e questo credo sia un dato durevole. E non mi sorprenderebbe se i cinesi avessero contribuito a fare alzare volutamente i tassi, a costo di perdere un po’ di soldi».
(da Corriere della Sera)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
L’ULTIMO È VINCENZO SOFO, EX EUROPARLAMENTARE PASSATO DA LEGA A FDI, SPOSATO CON MARION MARÉCHAL, LA NIPOTE DI MARIN LE PEN … SOFO RICEVERÀ 30 MILA EURO L’ANNO PER DARE CONSIGLI SULLA “DIPLOMAZIA CULTURALE”
Mentre tramonta, almeno in parte, il caso Boccia, con l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano archiviato, l’entourage di consiglieri del ministero della Cultura è ancora lì, anzi, si allarga. Il ministro Alessandro Giuli ne ha già 18 (come Sangiuliano, Franceschini era arrivato al massimo a 13), con i compiti più disparati: “per l’innovazione”, “per il Piano Olivetti”, “per le politiche culturali degli italiani nel mondo”.
Vincenzo Sofo, l’ultimo consigliere nominato, “per la diplomazia culturale”, compenso di 30 mila euro l’anno: laureato in Economia, nel suo curriculum vede soprattutto un’esperienza come europarlamentare, eletto con la Lega e passato presto a Fratelli d’Italia, tra il 2020 e il 2024. Poi l’amarezza:
ricandidatura con FdI, l’anno scorso, ma le preferenze non sono sufficienti a tornare a Bruxelles.
Le competenze in “diplomazia culturale”, oltre che dalla lunga attività politica nella destra europea, sembrano evincersi anche dal suo matrimonio internazionale, con Marion Maréchal, ex esponente di spicco del Rassemblement National francese e nipote di Marine Le Pen, oggi eurodeputata con un suo nuovo partito (del gruppo Conservatori e Riformisti, lo stesso di FdI). Sofo non è certo l’unico consigliere d’area.
Nove sono stati confermati dai tempi di Sangiuliano, nove sono di nuova nomina. Come Camillo Langone, opinionista (collabora con Il Foglio) e scrittore noto per le sue posizioni conservatrici: consiglia il ministro sull’“arte figurativa italiana”, per 20 mila euro annui.
E poi profili vari: due consigliere giuridiche, il proprietario di un palazzo rinascimentale, un professore della Sapienza (per consigliare il ministro sulle “antichità”, nonostante nei ranghi del ministero si contino centinaia di archeologi). Otto sono in carica a titolo oneroso, 10 a titolo gratuito, anche se l’incarico in sé – come ha ricordato la vicenda della mancata consigliera pompeiana – dà accesso agli uffici e ai dossier del ministero. Dal 2024 i consiglieri del ministro della Cultura possono arrivare fino a 30.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
“THE INDEPENDENT”: “LA MAGGIOR PARTE DEI GESTORI DI FONDI È CONVINTA CHE LA CASA BIANCA NON STIA AGENDO RAZIONALMENTE, MA PIUTTOSTO IN BASE A UN’IDEOLOGIA. E ALCUNI TEMONO CHE NON C’ENTRI NEMMENO L’IDEOLOGIA MA LA PAZZIA”
Mentre i continui tira e molla del presidente Donald Trump sulle politiche
commerciali creano caos nei mercati finanziari, alcuni gestori di fondi mettono in dubbio la razionalità delle sue decisioni.
“Negli ultimi giorni abbiamo avuto molte conversazioni con i gestori di fondi macroeconomici”, ha scritto mercoledì mattina Tom Lee, responsabile della ricerca presso la società di analisi finanziaria FSInsights, prima che Trump facesse marcia indietro sulla maggior parte dei dazi sui partner commerciali statunitensi.
“E la loro preoccupazione è che la Casa Bianca non stia agendo razionalmente, ma piuttosto in base a un’ideologia. E alcuni temono persino che questa possa non essere nemmeno ideologia”, ha aggiunto. “Alcuni si sono chiesti in silenzio se il presidente non fosse pazzo”.
I commenti di Lee sono stati evidenziati da The New Republic. Ha incolpato Trump per le conseguenze economiche, aggiungendo che “diversi funzionari hanno dichiarato di non volere né di aspettarsi una recessione. E ci sono abbastanza consulenti esperti in economia che ne sono consapevoli. Inoltre, lo stimolo fiscale del due-tre percento necessario per invertire la recessione vanificherebbe qualsiasi taglio promesso alla spesa pubblica”.
Mercoledì Trump ha indotto volatilità sui mercati dopo aver imposto dazi significativi su paesi in tutto il mondo, per poi fare marcia indietro nel pomeriggio, istituendo una sospensione di 90 giorni sui dazi superiori a una soglia minima del 10% su tutti i paesi, tranne la Cina. Dopo che la Cina ha annunciato l’imposizione di dazi dell’84% sugli Stati Uniti, Trump ha risposto aumentando i dazi sulla seconda economia mondiale al 125%.
Dopo l’annuncio della sospensione, i mercati sono saliti alle stelle: l’indice S&P 500 è salito del 7% in pochi minuti.
“Se le azioni iniziano a perdere terreno, questo indicherebbe la crescente probabilità di trovarci di fronte a un periodo prolungato di inasprimento delle condizioni finanziarie”, ha scritto Lee mercoledì mattina, prima che Trump facesse marcia indietro e imponesse una sospensione. “Quindi, più a lungo dura questa volatilità, maggiore è il rischio che gli Stati Uniti e il mondo vengano spinti in una recessione inutile”.
La revoca dei dazi da parte di Trump è arrivata dopo aver visto un’intervista su Fox Business con l’amministratore delegato di JP Morgan Chase, Jamie Dimon, durante la quale il capo della banca ha affermato che una recessione era un “probabile risultato” delle nuove politiche commerciali, secondo il Washington Post. Pur sottolineando che i dazi possono essere utilizzati per migliorare gli scambi commerciali, Dimon ha spinto il presidente a concedere un po’ di tempo al Segretario al Tesoro Scott Bessent per concludere accordi con altri Paesi.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
UN INVITO A COALIZZARSI CONTRO IL “BULLISMO” DEL COATTO DELLA CASA BIANCA … PECHINO HA A DISPOSIZIONE MOLTE ARMI: DAI 760 MILIARDI DI DOLLARI IN TITOLI DI STATO A STELLE E STRISCE, ALLA SVALUTAZIONE DELLO YUAN (GIÀ PARTITA) FINO ALLO STOP ALLA VENDITA DI TERRE RARE … BRUXELLES CONFERMA CHE LA CINA È UN’OPZIONE SOSTITUTIVA ALL’EXPORT NEGLI USA
«Resistiamo insieme alle prepotenze unilaterali». Xi Jinping ha di fronte Pedro Sanchez, ma è come se stesse parlando all’Europa intera. Il presidente cinese chiede di coalizzarsi contro il «bullismo» di Donald Trump. Non sarà facile raccogliere in toto la chiamata alle armi, ma intanto Pechino appare improvvisamente diventata un po’ più partner e un po’ meno «rivale sistemica», usando due delle definizioni con cui l’Unione europea è solita etichettare il gigante asiatico.
Di certo, la Cina continua a segnalare di non avere alcuna intenzione di cedere di fronte alla guerra commerciale lanciata dalla Casa Bianca. Lo fa con le misure pratiche, come quando ieri ha annunciato un ulteriore innalzamento dei dazi sulle importazioni di prodotti statunitensi: si passa dall’84 al 125%. Sarà l’ultima volta.
«Dato che le esportazioni americane sono già commercialmente non redditizie con gli attuali livelli tariffari, qualsiasi ulteriore aumento dei dazi statunitensi sui prodotti cinesi verrà semplicemente ignorato», ha annunciato il governo. Ma non manca certo anche la dimensione retorica, visto che i funzionari cinesi continuano a rispolverare battagliere frasi di Mao Zedong.
«Gli Stati Uniti cercano di intimidire alcuni Paesi, vietando loro di fare affari con noi, ma l’America è solo una tigre di carta», ha dichiarato Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri, usando la definizione di Washington data a più riprese dal «grande timoniere» durante la guerra fredda. La diplomatica, peraltro nata nella stessa città di cui era originario Mao (Xiangtan), ha aggiunto: «Non cadete nel bluff dell’America, basta una puntura e scoppierà».
Ospitare il premier spagnolo, primo leader europeo a visitare la Cina dopo il Liberation Day trumpiano, concede a Xi la possibilità di mostrarsi tutt’altro che isolato. E, anzi, intento a forgiare nuove forme di cooperazione. Il premier spagnolo vuole «relazioni solide» con Pechino, indipendenti dai rapporti intrattenuti con Washington.
La strada è ancora lunga e l’escalation potrebbe continuare. Anche se, escludendo altre misure non tariffarie alle ritorsioni di ieri, la Cina pare segnalare a Washington di essere disposta a rallentare lo scontro. Magari in attesa di negoziati, ma solo se e quando a Xi sembrerà che riaprire il dialogo non significhi mostrare debolezza.
Nel frattempo, si cercano sponde nel resto del mondo. Si parla già di «strategia 2030», anno entro il quale la Cina potrebbe ridurre o portare a zero i dazi sulle merci di tutti i Paesi «non avversari», eliminando parte delle restrizioni esistenti sugli investimenti esteri. Ma per resistere alla «lunga marcia» che gli esportatori cinesi si accingono ad affrontare, serve una netta accelerazione dei consumi interni.
L’obiettivo sarebbe quello di aumentarli del 30% nei prossimi cinque anni. Ma tra gli economisti cinesi c’è chi è pessimista. Yao Yang della Renmin University ha pubblicamente parlato della presenza di «due elefanti nella stanza» dell’economia cinese: le difficoltà finanziarie dei governi locali e la continua caduta del settore immobiliare.
(da La Repubblica)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
L’ADDIO SEGUE QUELLO DEL CAPO DI GABINETTO DI NORDIO, ALBERTO RIZZO, E DEL NUMERO UNO DEL DAP, GIOVANNI RUSSO. E SEMBRA PRECEDERE QUELLO DI GAETANO CAMPO, CAPO DEL DIPARTIMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA
Prima il capo di gabinetto, Alberto Rizzo, a febbraio dello scorso anno: tante grazie e
rientro in magistratura. Poi il capo del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, l’ex pm antimafia Giovanni Russo: dopo la vicenda Cospito e la condanna del sottosegretario Andrea Delmastro per rivelazione del segreto, anche sulla base delle dichiarazioni di Russo, il magistrato ha deciso a fine anno di lasciare una poltrona che non è stata ancora occupata.
Ieri, è arrivato il turno di Luigi Birritteri, capo del Dipartimento per gli affari di giustizia, scelto da Nordio nel 2023. Il togato ha chiesto di lasciare via Arenula e di rientrare nei ranghi della magistratura nonostante avesse davanti ancora almeno un anno di lavoro. Non solo: vicino all’addio sarebbe anche Gaetano Campo, capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi.
Birritteri non è un dirigente qualsiasi. Ma quello che ha visto passare sulla sua testa tutta la vicenda Almasri. È stato, infatti, il suo ufficio a gestire – come è previsto dalla legge, avendo la responsabilità sulla “cooperazione internazionale in materia civile e penale” – le interlocuzioni con la Cpi e e la Corte di appello di Roma. È il suo ufficio a occuparsi dei mandati di estradizione.
Un pezzo dell’indagine in corso al tribunale dei ministri punta infatti proprio a verificare come si sia mosso il Dag nella vicenda Almasri. E chi, e perché, abbia deciso di non rispondere ai magistrati romani provocando, nei fatti, la scarcerazione del presunto assassino e torturatore libico poi riportato immediatamente a casa. Da qui arriva infatti la decisione della procura di Roma – il solo atto “non dovuto”, dopo la denuncia dell’avvocato Li Gotti – di indagare il ministro della Giustizia Carlo Nordio per “omissione di atti di ufficio”.
Gli atti della Corte penale internazionale – e quanto è stato possibile ricostruire in queste settimane anche grazie alle dichiarazioni di Nordio – raccontano come la scelta sia stata tutta politica. Di Nordio, e del suo gabinetto. Mentre gli uffici che facevano riferimento al Guardasigilli avevano provato, documenti alla mano, a provare la scarcerazione del libico.
Il punto è che la decisione è stata tutta di Nordio e del suo gabinetto. Il dipartimento – con i magistrati addetti – al contrario aveva trovato una strada possibile (un nuovo ordine di arresto, che avrebbe così sanato la questione procedurale posta dalla corte di appello) per evitare la scarcerazione. Ma la proposta era rimasta lettera morta. Su questo il tribunale dei ministri sta facendo
una serie di accertamenti
(da La Repubblica)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
ALLA STATISTA DELLA GARBATELLA SONO PARTITI GLI OTOLITI QUANDO HA VISTO PEDRO SANCHEZ TUTTO SORRIDENTE ACCANTO A XI JINPING – IL RIAVVICINAMENTO TRA BRUXELLES E PECHINO (VEDI ANCHE LA TELEFONATA URSULA-XI) METTE IN DIFFICOLTA’ LA DUCETTA … DOPO CHE IL “DAZISTA” DELLA CASA BIANCA SE NE È USCITO CON LA TRUCIDA FRASE: “QUESTI PAESI CI CHIAMANO PER BACIARMI IL CULO”, COME SI COMPORTERÀ GIORGIA ALLA CASA BIANCA?
Appena rientrata in Italia dal viaggio alla Casa Bianca, Giorgia Meloni riceverà a Roma il vicepresidente americano J.D. Vance, in visita nella capitale tra il 18 e il 20 aprile. L’appuntamento sembrava in bilico, per ragioni di agenda. E invece il colloquio ci sarà, a testimoniare la volontà della presidente del Consiglio di trattare a oltranza con la Casa Bianca. Un altro segnale della voglia di scongiurare un’escalation tra Stati Uniti ed Europa, che la leader considera svantaggiosa sul fronte politico e commerciale.
E però, proprio la visita della presidente del Consiglio da Donald Trump – prevista per il 16 e 17 aprile – diventa di ora in ora più rilevante perché si interseca con un dossier che è sempre più cruciale: il rapporto tra gli europei e la Cina.
È dell’altro ieri la proposta di Pechino a Bruxelles: alleiamoci per contrastare le barriere tariffarie decise dall’amministrazione americana. Tra i leader continentali, Meloni è forse la più preoccupata da questa dinamica. E una delle più disponibili ad ascoltare cosa proporrà Trump ai partner europei, consapevole che il tycoon punta ad arruolare i Ventisette nella sfida ai cinesi.
Roma è chiamata a scegliere che posizione assumere, al pari delle altre capitali. Alcuni alleati europei spingono per legarsi sempre più decisamente a Pechino. La sintonia mostrata ieri dal premier spagnolo Pedro Sanchez a colloquio con Xi Jinping, ad esempio, è un indizio che Palazzo Chigi non sottovaluta.
E non solo perché la presidente del Consiglio, in privato, ha sottolineato come la mossa del leader socialista spagnolo appaia ai suoi occhi poco “unitaria” (come a replicare a chi l’ha accusata di giocare in proprio andando a visitare Trump).
L’ipotesi di un vertice tra il Dragone e gli europei, così come la recente telefonata di Ursula von der Leyen con il premier cinese, segnalano che molto si sta muovendo. Meloni, invece, intende mostrarsi più cauta. E vuole esserlo,
questo sostiene, indipendentemente dal viaggio negli Usa della prossima settimana.
L’allarme, infatti, deriva da un’altra valutazione: i dazi americani sulla merce cinese — questa la previsione — spingeranno Pechino a invadere il mercato italiano, così come quello europeo. Un problema enorme, a cui Bruxelles dovrebbe reagire.
A questo punto, torna il dilemma: Bruxelles proverà a costruire una de-escalation doganale con gli Usa (le tariffe sono sospese soltanto per novanta giorni) offrendo in cambio cooperazione per limitare una possibile esplosione dell’export del Dragone verso l’Europa? L’Italia potrebbe premere in questa direzione, altri Stati membri potrebbero frenare.
Ovvio che il posizionamento di Meloni risenta anche delle scelte politiche filo-trumpiane assunte negli ultimi mesi. La premier evita ed eviterà di differenziarsi troppo dal repubblicano. E si attesterà su una linea certamente distante da quella assunta ieri dalla Spagna. E, nelle ultime settimane, da Parigi e Berlino.
Più sfumato il ragionamento sull’India. Anche in questo caso, pesa l’incrocio diplomatico con gli Usa, che in oriente puntano su New Delhi.
Una traccia di questo approccio si ritrova nelle parole di Antonio Tajani, in visita proprio nel Paese di Narendra Modi. Dopo aver insistito sulla necessità di scongiurare battaglie commerciali, il ministro ha sottolineato l’importanza della “via del cotone”. L’alternativa strategica alla “via della seta”.
(da La Repubblica)
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Aprile 12th, 2025 Riccardo Fucile
E’ SUCCESSO A PIEVE DI SOLIGO… IL 35ENNE E’ IN ITALIA DA QUANDO HA SEI MESI ED E’ CITTADINO ITALIANO: “MI SENTO FERITO”
I documenti per acquistare la casa erano in regola, il contratto già praticamente
pronto. All’ultimo però il proprietario ha ritirato l’offerta, dopo aver scoperto che il nome dell’acquirente era Mohammed Hammouch: «Non affitto ai marocchini, tanto siete tutti uguali».
Peccato che Hammouch, 35enne fresco papà di due gemelline, sia cittadino italiano, viva a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, e ne sia persino assessore comunale al turismo. «Mi sento escluso e ferito», ha commentato l’uomo. «Vivo e lavoro con impegno in questa città che amo, eppure è bastata una frase per farmi sentire un ospite sgradito».
La ricerca della casa, il ritiro dell’offerta e la spiegazione
Secondo quanto ha raccontato Hammouch, era tempo che cercava una sistemazione più spaziosa per la sua famiglia, che di recente si è ingrandita con la nascita di due piccole bimbe.
L’assessore al turismo si era affidato a un intermediario, che aveva portato avanti una trattativa con un concittadino. Si trattava quasi solo di firmare i documenti, ma dall’agenzia l’uomo sarebbe arrivato a conoscenza del nome dell’acquirente, un nome che ha definito «non nostrano». Offerta ritirata. A quel punto lo stesso Hammouch si sarebbe recato di persona dall’uomo per chiedergli il motivo di quella scelta, e si sarebbe sentito dire: «Non affitto a marocchini, tanto siete tutti uguali». Hammouch, in ogni caso, non sembra aver perso la speranza verso la sua cittadina: «Pieve di Soligo è un posto meraviglioso, ma queste parole mi hanno fatto male. Purtroppo non si possono definire in altro modo che razziste».
(da agenzie)
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