Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
CRESCE ANCHE IL DIVARIO TRA LE PERSONE BENESTANTI E CHI È IN UNA SITUAZIONE DI INDIGENZA
In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a
tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023.
Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .
In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%.
Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione. Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale.
Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli
occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.
Nel 2024 si riallarga il divario tra chi è in una situazione di indigenza e chi è più benestante dopo una riduzione delle distanze nel 2023: secondo gli ultimi dati Eurostat sui redditi e il rischio di povertà riferiti al 2024 il primo decile delle persone sulla base dei redditi può contare su una quota del reddito nazionale equivalente del 2,5%, in calo rispetto al 2,7% del 2023 (era del 2,5% nel 2022). In Germania la quota è del 3,4%. L’ultimo decile, quello più “ricco” può invece contare su una quota del reddito nazionale equivalente del 24,8%, in aumento sul 24,1% del 2023 (in Germania è al 23,7%). La quota in Italia del reddito dei più benestanti era del 25,1% nel 2022.
Il rischio di povertà in Italia nel 2024 è rimasto stabile al 18,9% della popolazione ma la percentuale di chi deve far conto con un reddito disponibile dopo i trasferimenti sociali inferiore al 60% di quello mediano nazionale diminuisce tra i minori e aumenta tra gli over 65: è quanto emerge dalle tabelle Eurostat sul rischio di povertà.
La deprivazione materiale in Italia nel 2024 è scesa all’8,5% della popolazione dal 9,8% del 2023, al livello più basso dall’inizio delle serie storiche nel 2015. Si tratta di circa cinque milioni di persone. L’indicatore si riferisce, spiega l’Eurostat, all’incapacità di permettersi una serie di beni, servizi o attività sociali specifici che sono considerati dalla maggior parte delle persone essenziali per una qualità di vita adeguata.
In pratica nel nostro paese ci sono circa cinque milioni di persone che non riescono ad affrontare cinque delle 13 spese contenute in questo indicatore quali avere una casa adeguatamente riscaldata, poter fare almeno una settimana di vacanza, far fronte a spese improvvise, poter fare un pasto con proteine almeno ogni due giorni, avere una connessione internet, avere almeno due paia di scarpe ecc. In Germania la deprivazione materiale riguarda l’11,4% della popolazione e in Spagna il 16%.
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
INNEGGIARE ALLO STERMINIO E’ UN REATO, LA QUESTURA E IL SINDACO DI ASCOLI DI FDI AGISCANO DI CONSEGUENZA: E’ PIU’ FACILE IDENTIFICARE UNA COMMERCIANTE STIMATA O INDIVIDUARE CHI MINACCIA E INNEGGIA ALLO STERMINIO ?
Un gruppo di sedicenti neofascisti di Ascoli Piceno ha evocato i “forni” – con un chiaro riferimento a quelli crematori impiegati nei campi di sterminio – nei
confronti di Lorenza Roiati, titolare del panificio “L’assalto ai forni” di Piazza Arringo che due giorni fa, in occasione della Festa della Liberazione, ha appeso sulla facciata del suo locale un lenzuolo con la scritta: “25 Aprile, buono come il pane bello come l’antifascismo”, a seguito del quale è stata sottoposta a ben due controlli di polizia consecutivi nell’arco di una manciata di ore.
Ebbene, ieri sera – sabato 26 aprile – è comparso in via Luigi Marin, ad un centinaio di metri dalla sede della Questura di Ascoli Piceno, uno striscione che inneggia “Ai forni”, scritta preceduta dalle parole “L’assalto”, cancellate. Lo striscione – inequivocabilmente inneggiante l’olocausto – è stato rimosso in serata. Un altro striscione a poca distanza recitava: “Da quel forno un tale fetore, che diventa simpatico anche il questore”.
Da tempo Ascoli Piceno finisce sovente al centro delle cronache sia locali che nazionali per episodi legati al naofascismo. Il sindaco, Marco Fioravanti (Fratelli D’Italia), nell’ottobre del 2019 partecipò alla celeberrima cena commemorativa della Marcia su Roma nella vicina Acquasanta Terme, borgo teatro nel marzo del 1944 di un eccidio ad opera dei Nazisti che costò la vita a 42 persone nelle frazioni di Pozza e Umito. Tra le vittime anche una bambina di 11 mesi bruciata viva davanti agli occhi della mamma. Fioravanti in seguito tentò di giustificarsi affermando di non aver visto il busto di Mussolini e il fascio littorio stampati sul menù.
Gli stessi “nostalgici” piceni di recente – e come di consueto stando ben attenti a non essere visti – hanno esposto un lenzuolo con la scritta “Antifascismo = mafia” al Liceo Scientifico A. Orsini di Ascoli.
La questura fa sapere che sono in corso indagini per individuare gli autori del gesto e che sono stati disposti controlli rafforzati in città e nel territorio.
Libertà di espressione e limiti legali in Italia
L’articolo 21 della Costituzione italiana sancisce il diritto di tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Questo diritto include la possibilità di esprimere opinioni anche attraverso striscioni e cartelli. Tuttavia, la libertà di espressione non è illimitata e trova dei limiti legali in caso di incitamento alla violenza, all’odio o di violazione del buon costume. Il messaggio esposto sul panificio di Ascoli, con la sua natura semplice e positiva, non rientrava in queste categorie restrittive.
L’intervento della polizia, di fronte a uno striscione apparentemente innocuo, solleva quindi interrogativi sulla proporzionalità dell’azione e sulla possibile lesione del diritto alla libertà di espressione della titolare del forno.
L’incidente di Ascoli evidenzia il delicato equilibrio tra il diritto di esprimere le proprie opinioni e le responsabilità delle forze dell’ordine nel mantenimento dell’ordine pubblico. Il fatto che un messaggio antifascista inoffensivo abbia portato all’intervento della polizia suggerisce una possibile interpretazione restrittiva delle forme di espressione accettabili durante le celebrazioni della Festa della Liberazione da parte delle autorità locali.
IL CASO DIVENTA NAZIONALE
Sta assumendo le dimensioni di un caso politico nazionale la vicenda dell’identificazione di una fornaia di Ascoli Piceno, «rea» di aver appeso uno striscione antifascista il 25 aprile. La titolare del panificio «L’assalto ai forni» Lorenza Roiati, come ormai noto, venerdì mattina ha srotolato sulla porta del negozio un lenzuolo striscione con la scritta «Buono come il pane, bello come l’antifascismo». Un gesto simbolico e pacifico, a fronte del quale la donna è stata però identificata da alcuni agenti di polizia. La polemica politica, esplosa a livello locale, ora diventa nazionale. O per lo meno è questa la dimensione che danno ora alla vicenda alcuni leader di centrosinistra. A partire da Elly Schlein. «A Lorenza Roiati, la panettiera di Ascoli Piceno che il 25 aprile ha appeso al suo forno il lenzuolo antifascista, tutta la mia personale solidarietà e quella del Partito Democratico», scrive sui social la segretaria del Pd, secondo cui «quegli striscioni intimidatori e fascisti non sono solo un insulto a lei, ma a tutte e tutti coloro che si riconoscono nei principi antifascisti della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza». «Con la stessa meticolosità con cui nella giornata del 25 aprile sono state chieste le generalità di Lorenza per ben due volte, auspico che si accertino i responsabili di questi insulti fascisti inaccettabili», conclude Schlein.
La solidarietà di Riccardo Magi e Ilaria Cucchi
Ci va già duro pure Riccardo Magi, segretario di Più Europa. «In un Paese normale, scrivere che l’Antifascismo è bello il 25 Aprile dovrebbe essere come scrivere Buon Natale il 25 dicembre. Purtroppo però l’Italia non è un Paese normale e oggi festeggiare la Liberazione dal nazifascismo porta a essere identificati dalla polizia e a subire pesanti intimidazioni, come è accaduto alla fornaia di Ascoli Lorenza Roiati, a cui va la nostra solidarietà. Questo è però il clima che si respira nel Paese, ed è un antipasto di quello che accadrà da ora in poi quotidianamente con il Dl Sicurezza. I liberi cittadini di una Repubblica nata dall’antifascismo sono un po’ meno liberi e la Repubblica è un po’ meno antifascista», attacca Magi.
Chi si appresta a solidarizzare concretamente con la fornaia identificata, poi, è Ilaria Cucchi. L’attivista e senatrice, eletta con Alleanza verdi e sinistra, sarà domani ad Ascoli Piceno, al suo fianco. Lo ha annunciato la stessa Lorenza Roiati: «Insieme chiederemo un incontro al sindaco della mia città Marco Fioravanti, certe di ricevere da lui il sostegno e la giusta tutela per i fatti gravissimi accaduti. Siamo tutti e tutte antifasciste», ha scritto la fornaia sui social, pubblicando la vignetta di Mauro Biani di oggi su La Repubblica a lei dedicata.
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
IL SALUTO DEL SUO POPOLO IN PLAZA DE MAYO, IL POPOLO DELLE BARACCOPOLI IN LACRIME : “NON POTREMO MAI DIMENTICARE QUELLO CHE HA FATTO PER NOI”
Il buio fatica a sciogliersi nell’alba sulla cappella del Rosario della villa 31-Retiro,
baraccopoli conficcata nel cuore di Buenos Aires. È stata una notte insolitamente fredda in questo afoso autunno “porteño”. Il fango e le pozzanghere nelle buche dell’asfalto – dove c’è – rivelano la pioggia recente. E l’aria ha l’odore aspro del temporale imminente. Questo non ferma, però, i preparativi che vanno avanti da venerdì.
Mentre i più giovani caricano negli zaini acqua e mate, Leda siede immobile su un muretto sberciato. Sul petto ha appoggiato un quadro di Francesco e, indifferente al via vai, prega. È là dalle 5 del mattino, l’ora in cui, dall’altra parte dell’Atlantico, è cominciato il funerale del Pontefice a San Pietro.
«Era tutto, per me e per il quartiere. Quante volte è venuto e quanti di noi ha aiutato. Anche me, appena arrivata dal Paraguay, vent’anni fa». Isolina, accanto a lei, annuisce: «Chiedo a Francesco di intercedere per la pace nella villa e nel mondo. E perché io riesca a fare il tragitto», aggiunge indicando la stampella.
Buona parte dei 55mila abitanti della “villa” di Retiro hanno scelto di percorrere a piedi, attraversando il centro, i chilometri fino alla Plaza de Mayo dove Buenos Aires ha salutato il “suo” Papa. Una sorta di anteprima del grande pellegrinaggio con cui il popolo dei “villeros” (gente delle baraccopoli), fianco a fianco a migliaia di donne e uomini delle zone più svariate e della provincia, ha prolungato il congedo. Trasformando il lutto in impegno a proseguire il cammino aperto da Jorge Mario Bergoglio.
Prima tappa, appunto, è stata la piazza su cui si erge imponente la Casa Rosada. All’estremo opposto, sotto il colonnato neoclassico della Catedral metropolitana, è stato allestito l’altare per la Messa solenne alle 10 locali: lo stesso orario di quella di Roma ma con cinque ore di ritardo a causa del fuso. L’arcivescovo Jorge García Cuerva ha scelto di restare per celebrarla e, come ha spiegato, «accompagnare le persone e i sacerdoti in questo momento di sofferenza». Sonia, 55 anni, volontaria della mensa popolare del sobborgo Once-Berazetei, piange. «Mi manca, eppure è qui. E mi chiede di andare avanti», dice con voce commossa. Si vedono tanti occhi umidi quando un sole quasi estivo scaccia di colpo le nuvole grigie dal cielo. A differenza di quanto canta il tango di Carlos Gardel, l’Argentina ha la consolazione e il coraggio – lo chiamava Francesco #– delle lacrime. «Piangiamo perché è morto il padre di tutti, piangiamo perché sentiamo già nel cuore la sua assenza fisica, piangiamo perché ci sentiamo orfani, piangiamo perché non riusciamo ancora acomprendere appieno la sua grandezza mondiale, piangiamo perché ci manca tanto», ha affermato monsignor García Cuerva nell’omelia, interrotta più volte dagli applausi. «Che queste lacrime bagnino la terra della nostra patria e del mondo per far crescere la fraternità».
I fedeli di Baires hanno circondato letteralmente la Cattedrale per la Messa che ha replicato l’addio romano a Francesco seguito in tv a notte fonda
«Lo diceva sempre: siate fratelli e sorelle», afferma María, 80 anni, venuta con Elvira, Angelita e Lucila da Ituizangó, il quartiere della sorella del Papa. «María Helena è nostra vicina», esclamano quasi in coro. «Sa, io non sono credente. Però sono qui perché lui sapeva trovare ciò che ci unisce», sottolinea Mónica, arrivata da Tigre, mentre solleva il fazzoletto bianco in segno di omaggio, al termine della celebrazione. Una grande immagine di Francesco viene portata in processione intorno a Plaza de Mayo: un abbraccio reciproco fra la città e il gesuita che tanto l’amava. Una stretta che, negli ultimi dodici anni, entrambi hanno imparato a dilatare oltre la distanza fisica e ora si prolunga più in là della morte. «Vai in Cielo Francesco – ha concluso l’arcivescovo, ripetendo una frase che, dal Lunedì dell’Angelo, rimbalza di bocca in bocca –. E fai molto chiasso da lassù».
La tristezza accumulata pian piano si scioglie in una festa spontanea carica di gratitudine per il «dono di Bergoglio», come lo chiama Charlie. I giovani dei quartieri popolari hanno portato bonghi e tamburi che suonano rumorosamente a mo’ di saluto. «Gli sarebbe piaciuto», ammette Alon, 16 anni. Poi, lentamente, la folla si raduna all’angolo con la Diagonal Sur per incamminarsi verso la seconda parte del congedo itinerante. La vicaria delle villas, creata dall’allora cardinale Jorge Mario, ha articolato un percorso nella “geografia del dolore” di Buenos Aires: sei luoghi di sofferenza emblematici delle molteplici ferite aperte sulla pelle della capitale. Punti cari a Francesco. «Ma non vogliamo fermarci al ricordo. È il principio di un impegno a mantenere viva la sua eredità. A metterci in cammino per andare incontro ai caduti abbandonati ai margini della via. Questo è il nostro “patto di amore a Francesco”, come lo abbiamo chiamato. Non si tratta di parole. Lo abbiamo sottoscritto con i piedi, alzandoci dal divano – come ci chiedeva – e mettendoci davvero in marcia»,
sottolinea padre Toto De Vedia, parroco di Nostra Signora di Caacupé, nella Villa 21-24 di Barrajas, uno degli organizzatori. Immergendosi nella zona sud della capitale, i pellegrini hanno sostato davanti alla Casa di Mama Antula, prima santa argentina canonizzata durante questo Pontificato. Una pioniera che, alla fine del Settecento, nonostante i pregiudizi nei confronti delle donne, diffuse gli Esercizi ignaziani dopo l’espulsione della Compagnia. Poi si sono diretti nella vicina Plaza de la Constitución, epicentro della tratta e dello spaccio, dove ogni anno, Bergoglio celebrava una Messa per «gli schiavi contemporanei».
Da lì, hanno raggiunto l’ospedale psichiatrico Borda e il piccolo carcere di Muñiz. Il percorso si è concluso nella Villa 21-24 con una fermata al primo Hogar de Cristo, rifugio per i senza rifugio. Una creatura di Francesco che l’ha inaugurato lavando i piedi a dodici ragazzi vittime di dipendenza il 20 marzo 2008. Ora gli “Hogar di Cristo” sono oltre 200 in tutto il Paese. Infine, nell’umile e coloratissima chiesa di Caacupé, i villeros hanno voluto rinnovargli il proprio affetto con una preghiera comune. Seguita dal grido: «Vai in Cielo Francesco e fai molto “chiasso” da lassù».
(da Avvenire)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
IL BACIAMANO DI FELIPE DI SPAGNA A MELANIA TRUMP, DAVANTI A “THE DONALD”, LE PROVE TECNICHE “DA RE” DEL PRINCIPE WILLIAM, L’ABBRACCIO TRA RE ABDHULLAH DI GIORDANIA ED EMMANUEL MACRON
Felipe VI di Spagna prende la mano velata di Melania Trump, la sfiora in un perfetto baciamano. E il presidente americano, che si è distinto vestendo di blu anziché il nero di protocollo (come pure il principe William), offre una stretta vigorosa al re. Accanto la regina Letizia.
Più a destra, c’è Mary di Danimarca arrivata sola a Roma: re Frederik X, ieri a Hiroshima per gli 80 anni dall’atomica, è in partenza per la Groenlandia, tema che l’avrebbe contrapposto a Trump. Al fianco della commoner australiana ora regina, siede lo sceicco degli Emirati Mohammed bin Zayed Al Nahyan. Sul sagrato c’è pure Mohammed bin Abdulrahman Al Thani dal Qatar.
Si regge al braccio di Carl XVI Gustav di Svezia la regina Silvia, poggiandosi a un bastone: è appena uscita dall’ospedale per un’operazione al piede. E i veli neri (non più obbligatori per il cerimoniale) sono la divisa del lutto di principesse e regine davanti al feretro di Francesco, come le calze scure: solo Melania azzarda gambe nude ma vela le mani di pizzo. Rinunciano però al velo la Première dame di Francia, Brigitte Macron, Olena Zelenska e Victoria Starmer con cappello british, e veletta.
Le regine cattoliche vantano le Privilège du blanc , il privilegio di vestire di bianco al cospetto del Santo Padre. Ma ieri, quel privilegio è svanito. Re, regine, sceicchi e il principe William, inviato a Roma da re Carlo III — come
nel 2005 quando morì Giovanni Paolo II, ed Elisabetta mandò il principe di Galles a rappresentare la Corona di Sant’ Edoardo il Confessore.
Principi e re ai banchi assegnati loro sul sagrato, secondo un ordine di precedenza dettato dall’alfabeto francese, lingua della diplomazia, che assegna le prime file a sovrani, capi di Stato, e a seguire principi della Corona: William ma anche Haakon Magnus, l’erede di Norvegia, con Mette-Marit. E l’ordine alfabetico francese aiuta forse la diplomazia vaticana a riservare agli Etats-Unis d’Amerique un posto in prima fila. Mentre assegna a William, Royaume-Uni , la terza a fianco del cancelliere Olaf Scholz. Dietro al presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la figlia Laura, la premier Giorgia Meloni e Ignazio La Russa.
Arriva re Abdhullah di Giordania con Rania, come nel 2005 per Giovanni Paolo II, e abbraccia fraterno Emmanuel Macron. Principi ereditari, il Gran duca di Lussemburgo Henri con Maria Teresa, e il principe Alois del Liechtenstein con Sophie. E principi sovrani come Alberto II di Monaco con la princesse de Monaco : Charlène vestiva di nero già alla vigilia.
I primi a confermare l’arrivo a Roma erano stati re Filippo dei belgi con la regina Mathilde che avevano accolto Francesco al castello di Laeken. E a Bruxelles, i reali emeriti Paola nata Ruffo di Calabria e il marito Alberto, hanno reso omaggio alla memoria di Francesco con una messa. Reali ed ex case reali per Francesco: anche Emanuele Filiberto di Savoia, Aimone di Savoia Aosta con Olga di Grecia e i Borbone delle Due Sicilie.
E tante personalità: Joe con Jill Biden, velo nero e capo chino, il Segretario Onu, Antonio Guterres e il Nobel Muhammad Yunus. Assenti i reali d’Olanda, non c’è Maxima nata in Argentina, terra di Bergoglio. Ieri era la Festa del re a Doetinchem, ed è arrivato a Roma il premier Dick Schoof. Fino all’ultimo a palazzo Huis ten Bosch s’era cercata, invano, una soluzione.
(da Corriere della Sera)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
LA SQUADRA DEL CUORE DEL PONTEFICE HA RICORDATO IL SUO TIFOSO PIU’ FAMOSO CON STRISCIONI, UNA STATUA, DISEGNI E PREGHIERE
Erano orgogliosi di tifare la stessa squadra di Papa Francesco. Per questo i sostenitori
del San Lorenzo, squadra di Buenos Aires, prima, durante e dopo la partita persa per 1-0 contro il Rosario Central, hanno reso omaggio al Pontefice scomparso il giorno di Pasquetta. Poche ore dopo la celebrazione del funerale di Jorge Mario Bergoglio, nonostante lo scandalo corruzione che sta travolgendo la società in queste ore.
In curva la coreografia con il Papa, la maglia del San Lorenzo e lo stemma del club. In campo una statua a grandezza naturale, un disegno, molti striscioni con scritte e immagini dedicate al Santo Padre. Le due squadre e tutte le persone presenti allo stadio si sono chiuse in un minuto di silenzio e preghiera. Poi il pallone ha rotolato, come avrebbe voluto il Pontefice. Grande appassionato di calcio, tifoso innamorato del San Lorenzo.
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
TRA LE 12 NAZIONI EUROPEE CHE STANNO COLLABORANDO PER ACCELERARE LA CONCESSIONE DI VISTI, SOVVENZIONI E BORSE DI STUDIO, MANCA IL NOSTRO PAESE: RISCHIAMO DI RIMANERE INDIETRO NELLA CORSA AD ATTIRARE I MIGLIORI STUDIOSI
I primi sono stati gli storici e i filosofi. Ora a fuggire dagli Usa sono gli uomini di scienza. L’amministrazione Trump ha fatto marcia indietro sulla revoca del visto che aveva colpito centinaia di studenti stranieri, costringendo alcuni a lasciare il Paese, ma nella decisione pesano i miliardi di dollari di finanziamenti per la ricerca tagliati, i licenziamenti in massa dei dipendenti federali e il controllo esercitato sulle università e i centri di ricerca.
Tutti motivi che stanno portando gli scienziati che operano negli Stati Uniti a considerare di trasferirsi in Europa o in Canada, che ora stanno giustamente sfruttando il momento di debolezza dell’America. Una vera e propria offerta d”asilo accademico”.
L’European Research Council – l’ente pubblico per il finanziamento della ricerca scientifica e tecnologica condotta all’interno dell’Unione europea – ha appena annunciato di aver raddoppiato i finanziamenti offerti a ricercatori che desiderano trasferirsi nel Vecchio Continente, portandoli a 2 milioni di euro per candidato. Una cifra che va a coprire i costi del trasferimento in un’istituzione europea e che può comportare l’allestimento di un laboratorio.
Un blocco di 12 nazioni dell’Ue sta collaborando per accelerare la concessione di visti, sovvenzioni e borse di studio per il trasferimento, nel tentativo di sottrarre cervelli statunitensi in linea con le proprie priorità strategiche. […]
In questo gruppo composto da Francia, Repubblica Ceca, Austria, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Spagna, Slovenia, Germania, Grecia, Bulgaria e Romania, manca però l’Italia che rischia di rimanere indietro nella corsa ad accaparrarsi cervelli. Anche perché altri Stati si stanno muovendo indipendentemente, oltre alle iniziative europee comuni.
In Germania, ad esempio, nell’ambito dei colloqui di coalizione per un nuovo governo, conservatori e socialdemocratici hanno elaborato piani per attrarre fino a 1.000 ricercatori, secondo documenti di negoziazione di marzo visionati da Reuters. «Il governo americano sta usando la forza bruta contro le università e i ricercatori americani stanno contattando l’Europa», ha dichiarato il mese scorso il futuro cancelliere tedesco, Friedrich Merz. «Questa è un’enorme opportunità per noi».
A Londra, il Grantham Institute dell’Imperial College, specializzato nella ricerca sul cambiamento climatico, sta creando almeno altri due posti per ricercatori statunitensi all’inizio della loro carriera e ha già registrato un netto aumento delle candidature, ha affermato il suo direttore del progetto, Joeri Rogelj.
La Libera Università di Bruxelles (Vub), ha annunciato la settimana scorsa l’apertura di 12 posizioni per ricercatori internazionali «con un focus specifico sugli studiosi americani». Anche l’Università francese di Aix-Marseille ha lanciato un «programma di spazio sicuro per la scienza», riferendosi a «un contesto in cui alcuni scienziati negli Stati Uniti potrebbero sentirsi minacciati o ostacolati nelle loro ricerche».
Nei Paesi Bassi, il governo intende istituire un fondo per attrarre i migliori scienziati stranieri e rafforzare gli obiettivi di «autonomia strategica» dell’Ue, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione, Eppo Bruins, in una lettera al Parlamento il 20 marzo.
Intanto, un sondaggio lanciato dalla rivista Nature ha chiesto agli scienziati americani se stanno valutando la possibilità di lasciare gli Stati Uniti a seguito dei disordini provocati da Trump. Degli oltre 1200 che hanno risposto, il 75% ha detto che sì, ci sta pensando.
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
E POI C’È PIO V GHISLERI, GRANDE INQUISITORE, CHE PERSEGUITÒ GLI EBREI IN OGNI MODO … SONO SEPOLTI NELLA BASILICA ANCHE PAOLINA BONAPARTE, SORELLA DI NAPOLEONE E GIAN LORENZO BERNINI … C’È ANCHE IL PRINCIPE NERO JUNIO VALERIO BORGHESE, COMANDANTE DELLA Xª MAS
Da ieri Francesco riposa a Santa Maria Maggiore, la prima e più importante chiesa
romana dedicata alla Vergine. Fondata, secondo una leggenda, nel luogo di una miracolosa nevicata estiva avvenuta il 5 agosto dell’anno 358, data che ancora oggi la città festeggia con cascate di fiocchi (artificiali) e petali di rose.
1 Perché l’icona miracolosa Salus Popoli Romani è definita «acheropita»?
Acheropita, dal greco, significa «non dipinta da mano umana». L’immagine, per chi crede, sarebbe opera di San Luca.
2 Chi è sepolto nella cripta Borghese?
Oltre a Paolo V c’è il suo cardinal nepote, Scipione, collezionista geniale ma spietato, che dall’alto del suo potere, tra molte malefatte, fece sequestrare cento opere d’arte all’incolpevole pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino. Altro personaggio notissimo che qui riposa, Paolina Bonaparte, moglie in seconde nozze di Camillo Borghese.
Sorella minore dell’imperatore (unico uomo cui fu fedele secondo molti storici) scandalizzò per le numerose relazioni amorose e per la decisione di posare nuda per Canova. C’è anche il principe nero Junio Valerio Borghese. Comandante della Xª Mas e combattente della Repubblica di Salò, a capo del fallito golpe neofascista del 1970, si rifugiò in Spagna dove morì nel 1974 tra misteri e sospetti di avvelenamento. Durante i suoi funerali la Basilica fu teatro di un’azione di facinorosi di estrema destra: la bara fu sottratta e portata in corteo, tra cori e saluti romani.
3 È vero che il re di Spagna potrebbe entrare in chiesa a cavallo?
Premesso che nessuno dei titolari del trono lo ha mai fatto, è una [convinzione diffusa. Di certo i re spagnoli sono legatissimi a questa chiesa di cui sono protocanónigos honorarios. Quintali di oro, il primo proveniente dall’America appena scoperta, giunsero in dono dai re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, per rivestire il soffitto della chiesa. Dopo di loro importanti donazioni furono fatte da Carlo V e Felipe IV (una sua statua si trova nell’atrio).
4 È qui la tomba del Bernini?
Sì, anche Gian Lorenzo riposa qui. La sua pietra sepolcrale è ai piedi dell’altare maggiore.
In una notte d’estate del 1630 l’artista per gelosia fece sfregiare la sua amante. Lui fu graziato dal Papa e proseguì la sua carriera. Lei, Costanza Bonarelli, venne reclusa in un monastero con l’accusa di adulterio. Anche la sua tomba, di cui però si son perse le tracce, si trova nella chiesa.
5 Chi sono gli artisti che hanno lavorato nella Basilica?
Fra i pittori, il «divino» Guido Reni e Giovanni Baglione.
6 Chi era António Manuel ne Vunda, detto «Negrita»?
Fu il primo ambasciatore africano, del regno del Congo, a giungere a Roma per incontrare Paolo V. Dopo un viaggio durato quattro anni, morì poco dopo, la notte dell’Epifania. È sepolto qui e il busto del monumento sepolcrale, opera di Francesco Caporale (1608),
7 Quanti sono i Papi sepolti nella Basilica?
Otto, con Francesco. Tra loro anche Clemente VIII Aldobrandini, responsabile delle condanne a morte di Beatrice Cenci, decapitata, e Giordano Bruno, arso vivo in Campo de’ Fiori. E poi c’è Pio V Ghisleri, Grande Inquisitore, unico Papa proclamato santo in sei secoli (tra 1313 e 1954), ma che perseguitò gli ebrei in ogni modo, rinchiudendoli nei ghetti.
(da Corriere della Sera)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
I NUOVI REQUISITI PER I DIPENDENTI FEDERALI
Ne parla il Wall Street Journal: sarà questa la scala su cui verranno valutati i funzionari di alto livello
Sei assunto ma solo se sei fedele a Donald Trump. La Casa Bianca si sta muovendo per rafforzare il controllo sulle assunzioni e sui licenziamenti dei dipendenti federali, centralizzando nell’Ufficio di Gestione del Personale le decisioni in vista del ritiro di Elon Musk dal suo ruolo al Doge. A riportare la notizia è il Wsj, dimostrando in base a documenti che i funzionari di alto livello saranno valutati sulla loro «fedele amministrazione della legge e delle politiche del presidente», secondo due promemoria del direttore ad interim dell’ufficio del personale, Chuck Ezell. Le agenzie federali sono invitate ad adottare il nuovo piano entro l’inizio dell’anno fiscale 2026.
I nuovi assunti? Solo dopo la fine del blocco, prorogato fino a metà luglio
In precedenza, il personale veniva valutato in base alle sue competenze in ambiti quali l’acume aziendale, le capacità di leadership, la capacità di creare relazioni e i risultati. Musk ha dichiarato martedì che si sarebbe ritirato dalla guida del DOGE. Un funzionario dell’Ufficio per la Gestione del Personale (Office of Personnel Management) degli Stati Uniti ha detto in forma anonima al quotidiano che l’agenzia sta esaminando nuove posizioni, esenti dal blocco delle assunzioni a livello governativo istituito il primo giorno di mandato del Presidente Trump. Attualmente lo stop ai nuovi contratti è stato recentemente prorogato fino a metà luglio. La Casa Bianca non ha commentato al Wsj le indiscrezioni riportate.
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2025 Riccardo Fucile
LE RISORSE COLLETTIVE VENGONO UTILIZZATE PER COPRIRE IL RISCHIO DELLE AZIENDA PRIVATE, ASSICURAZIONI COMPRESE
Il mercato e la conseguente finanziarizzazione della salute avanzano inarrestabili,
svuotando il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e andando a riempire le tasche, già ricolme, dei privati.
Domani ha già raccontato di come il governo chieda alla cittadinanza di metter mano al portafogli per sottoscrivere polizze assicurative per avere servizi che dovrebbero essere già garantiti dallo Stato.
Ma, oltre a questo, il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato un decreto-legge che introduce una novità per il personale scolastico, tutta a vantaggio dei privati: un’assicurazione sanitaria integrativa finanziata dallo Stato con un investimento di 220 milioni in 5 anni.
La misura, fortemente voluta dal ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, sarà rivolta a circa un milione di docenti e personale Ata che operano nelle scuole italiane.
Pierino de Silverio, segretario nazionale del sindacato medico Anaao-Assomed, a Domani ha detto: «Un passo deciso verso una modifica, non positiva, del Ssn. Le cure nel nostro paese sono sempre state pubbliche e abbiamo combattuto per questo. Le polizze integrative, soprattutto se non regolamentate, vanno nella direzione opposta». D’altronde la deriva privatistica di questo paese la si evince dai numeri: circa 20 milioni di persone hanno stipulato una polizza sanitaria integrativa nel 2022, e sono in crescita anche gli iscritti a fondi e casse di assistenza.
Privatizzazione della sanità
Ma come si declina, in Italia, l’offerta sanitaria? Si articola su tre pilastri: il primo è rappresentato dal servizio sanitario pubblico, che eroga livelli essenziali di prestazioni (Lea) secondo criteri di universalità, uguaglianza ed equità nell’accesso alle cure.
Il secondo è costituito da schemi collettivi di assistenza sanitaria (fondi sanitari, società di mutuo soccorso, casse), che erogano prestazioni integrative rispetto ai Lea e agiscono sulla base della ripartizione del rischio fra gli aderenti. Il terzo pilastro è infine identificato da forme individuali di assistenza sanitaria, ovvero le polizze sanitarie individuali, che operano secondo una logica assicurativa sulla base di stime probabilistiche relative alle frequenze e al costo dei sinistri.
In sintesi, la spesa privata, in Italia, incide per quasi un quarto della spesa sanitaria complessiva.
Vittorio Agnoletto, medico di Medicina democratica, spiega che lo sviluppo della sanità privata è il risultato del continuo arretramento da parte del servizio sanitario pubblico: «Dal 2010 a oggi sono stati tagliati 36 miliardi di finanziamenti alla sanità, e questo ha fatto diminuire il livello, la qualità e la quantità dell’assistenza pubblica».
È stato permesso anche di inserire i servizi privati all’interno del Ssn attraverso i meccanismi della convenzione: «In parecchie regioni, con la Lombardia in testa, qualunque privato chieda di entrare in convenzione con il Ssn può entrarci. Vengono a fare concorrenza al pubblico, facilitate dal modo di gestione delle autorità che hanno la responsabilità a livello regionale e locale».
Questo corre di pari passo alla chiusura di strutture e ospedali pubblici: «Dove spesso, nello stesso territorio, un gruppo privato apre i battenti con una clinica che lavora proprio nel settore del presidio sanitario pubblico chiuso».
Il dato corrisponde, secondo Agnoletto, a una precisa scelta politica: «Il dato della regione Lombardia dopo la pandemia ci racconta che i posti letto sarebbero dovuti aumentare di 4.000 unità e, invece, sono diminuiti di 1.400 posti. Di fronte a questo dato, è evidente che il privato coglie l’opportunità». Questo accade quando chi gestisce la sanità pubblica lo fa privilegiando gli interessi dei privati e non quello della cittadinanza.
Le polizze salute
Secondo il report della Banca d’Italia del 2023, i consumi sanitari costituiscono, in media, il 4-5 per cento della spesa delle famiglie. In termini assoluti, la spesa sanitaria privata è molto concentrata tra le famiglie più abbienti.
I dati raccontano che il 13 per cento delle famiglie italiane aveva sottoscritto almeno un’assicurazione sanitaria. Circa il 75 per cento dei nuclei familiari risiede al Nord e il 53 per cento della famiglie titolari delle polizze sanitarie appartiene al quintile di reddito più alto della popolazione italiana.
Per Agnoletto ciò significa che le polizze diventano «uno strumento in mano alla popolazione più ricca per garantirsi un’assistenza sanitaria al di fuori delle regole del Ssn».
Questa è una cosa rischiosa, perché tutte le ricerche internazionali «dicono che un sistema sanitario funziona meglio quando tutta la popolazione ne beneficia. Se le classi sociali più ricche escono e vanno sulle assicurazioni private, il Ssn si svuota e c’è molto meno interesse politico a sostenerlo».
La stragrande maggioranza di queste assicurazioni «è a propria volta collegata a fondi finanziari. Questo modifica totalmente il concetto di mutualità del Ssn». Trasformando i fondi in canali di raccolta di premi, «si va a creare un meccanismo di universalismo differenziato: l’accesso alla prestazione la ottiene solo chi paga di tasca propria».
La finanziarizzazione
Nicoletta Dentico, responsabile del programma di salute globale Society for International Development (Sid), racconta a Domani che il paradigma assicurativo per la sanità è diventato un modello affermato su scala internazionale.
Non solo nei paesi industrializzati, ma anche nei paesi del Sud del mondo: «Specula e guadagna dalla capacità di pagamento dei pazienti del mondo ricco ma riesce, come un camaleonte, a mimetizzarsi come “benefico” per i paesi del
Sud del mondo, che non hanno sistemi sanitari pubblici, o quelli che avevano sono stati erosi da un’ingiustizia finanziaria strutturale; come l’asservimento del debito estero».
Il sistema globalizzato funziona ovunque nello stesso modo, crea una sorta di sartoria assicurativa, a beneficio dei ricchi: «Scatta a un certo punto un bonus più alto, per cui quello che ti veniva riconosciuto non viene più coperto dal secondo o terzo anno.
La spesa del premio aumenta e, per potersela permettere, bisogna rinunciare a essere coperti per alcune prestazioni». Per Dentico le formule assicurative sono strettamente associate «alla privatizzazione della salute e all’utilizzo delle finanze pubbliche per fare copertura di rischio dei privati, che investono in questo settore».
Spesso le stesse assicurazioni sono quelle che investono nella costruzione di ospedali privati, cliniche e centri di ricerca «che dovrebbero essere usati per dare maggiore copertura alle persone vulnerabili, e poi viene fuori che chi le usa di più sono le fasce di popolazione più abbienti».
C’è anche una questione di disparità di classe, dunque: le polizze vanno a salvaguardare la cura delle persone più benestanti, a scapito di chi ne avrebbe davvero bisogno. C’è una spinta del mercato dei privati che hanno visto, nella crisi e nel depotenziamento dei governi al sistema sanitario nazionale, una ghiotta occasione di guadagno. Dentico conclude: «Il mercato risponde a tutti i bisogni, senza scrupoli e a pagamento. La persona che paga dieci euro al mese una polizza è invitata al banchetto, con tanto di tavola della sanità privata imbandita, in cui avrà molto meno rispetto a chi paga 100 o 200 euro al mese».
A coloro che pagano si può dare tutto. Agli altri arrivano le briciole, mentre il sistema sanitario pubblico arranca: «La salute, soprattutto dopo il Covid, è diventata un settore di grande profittabilità».
I soldi pubblici, per Dentico, «sono spesso utilizzati per i privati. Servono a fare il derisking degli investimenti». I fondi pubblici, dunque, invece di essere usati per fare investimenti nella salute pubblica, vengono utilizzati per la copertura del rischio dei privati, assicurazioni comprese. Pertanto queste ultime spopolano: «La finanziarizzazione della salute è mercificazione della salute».
Non è più luogo di diritto, ma un posto dove si fanno profitti, che spesso sono di natura speculativa: i pochi gruppi esistenti controllano il mercato. Salute Spa
non è solo una profezia, ma una realtà preoccupante e tangibile.
(da editorialedomani.it)
argomento: Politica | Commenta »