TUTTI GIU’ DAL CARRO DEL CAPITANO
IL CAPITONE NON NE AZZECCA UNA E I MARINAI PRONTI A SCENDERE DALLA NAVE
La solitudine di Matteo Salvini. Non c’è solo la grana Istat. Prendete ieri: nel centrodestra è riemerso anche un fronte trasversale che vuole rinviare la votazione sull’Autonomia, mettendogli l’ennesimo bastone fra le ruote in vista delle Europee. Ma è soprattutto dentro la Lega che molti gli stanno voltando le spalle. Le motivazioni sono varie. C’è la questione ormai sclerotizzata del cattivo rapporto con i “territori”
«Vedete nostri gazebo in giro? Se ne vedete uno andate a controllare: sotto se va bene ci troverete il segretario di sezione con lo zio» sintetizza con amarezza un esponente di primo piano della Liga veneta. La sua mappa sbiadita dell’Italia leghista è pure peggio: «Il Veneto è una polveriera, in Lombardia stanno più attenti a nascondere la polvere sotto il tappeto ma la sostanza è la stessa. E cosa dobbiamo dire della Toscana o dell’Emilia-Romagna? Non cresce più un filo d’erba. Quanto al Sud, ormai si sarà accorto pure Salvini che lì dirigenti e voti vanno e vengono a seconda del vento».
Ma c’è pure il tema, che non è più un tabù nemmeno fra i 95 parlamentari che sono il nocciolo duro del salvinismo, del posizionamento a destra in Europa e delle candidature per Strasburgo.
Con l’avvicinarsi del voto di giugno, infatti, aumentano i dubbi sia sull’alleanza con Marine Le Pen e i tedeschi dell’Afd, sia sulla scelta “disperata” di provare a raggranellare voti schierando il generale Roberto Vannacci o accordandosi con l’Udc di Lorenzo Cesa, l’Mpa di Raffaele Lombardo o “Italia del Meridione” di Orlandino Greco.
Poi c’è chi critica Salvini a parole e chi, invece, lo indebolisce stando in silenzio.
Martedì a Verona, ad esempio, non è sfuggita a nessuno la distanza, anche fisica, che separa ormai Salvini dal governatore veneto Luca Zaia. Raccontano che il segretario gli abbia chiesto un faccia a faccia di cinque minuti e che il Doge abbia provato in tutti i modi a svicolare. Discorso simile per il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, che da tempo si limita a una difesa d’ufficio del segretario. Molti, poi, sono rimasti colpiti dall’intervista rilasciata ieri a Libero dal capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. Titolo: «Matteo non si discute. Alla nostra Lega serve una linea più chiara».
Sommario: «Dobbiamo parlare agli elettori di Nord, autonomia e imprese». I toni sono soft, il perimetro delle critiche è circoscritto, ma basta leggere tra le righe per cogliere perplessità e timori. E che pensare invece delle esternazioni via Instagram di Filippo Champagne, al secolo Filippo Romeo, fratello del capogruppo del Carroccio al Senato Massimiliano Romeo? In un video l’influencer si rivolge al Salvini ministro dei Trasporti con queste parole: «Facciamo il Ponte, facciamo le autostrade. Fai sempre il cinema. Dove sei, fenomeno? Sono 20 anni che sulla Como-Chiasso fanno i lavori e la galleria è chiusa quasi tutte le sere».
Indizi, con pesi politici diversi, che però portano tutti nella stessa direzione: nell’ultimo partito leninista italiano è iniziato l’assedio al segretario federale, in vista di una sua sostituzione qualora le Europee dovessero confermare la fine di un ciclo. I risultati infelici delle regionali in Sardegna e in Abruzzo (3,7 e 8,4%) sono stati un catalizzatore. Si è tornati a parlare di triumvirati (con il partito affidato ai tre governatori Attilio Fontana, Massimiliano Fedriga e Luca Zaia), gestioni collegiali e traghettatori super partes (il ministro Roberto Calderoli). «Chi si aspetta una sfida congressuale, però, ha sbagliato film, anche perché da quel punto di vista Matteo è blindato – ragiona un deputato -. Qui piuttosto lo stanno lavorando ai fianchi, e andranno avanti finché non sarà lui a mollare il colpo».
A inaugurare la guerra di logoramento sono stati i bossiani. Il Senatur ha rilasciato una delle sue ormai rare interviste a Malpensa24.it dicendo di voler «rimettere a posto la Lega».
Paolo Grimoldi, coordinatore del Comitato Nord lanciato dallo stesso Bossi, ha chiesto al segretario «un passo di lato» e gli ha suggerito di togliere il suo nome dal simbolo per evitare ulteriori crolli. Ma non è finita. Ci sono l’ex ministro Roberto Castelli pronto ad allearsi con “Sud chiama Nord” di Cateno De Luca e l’ex capogruppo Marco Reguzzoni che pensa di candidarsi da indipendente nelle liste di Forza Italia. Ovvero con gli alleati-rivali che ora sognano di superare il Carroccio anche in Lombardia e di fare campagna acquisti pure fra i consiglieri leghisti del Pirellone e di palazzo Marino. Provando a lasciare Salvini un po’ più solo anche nella sua Milano.
(da La Repubblica)
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