SISTEMA TOTI, CON LE RIFORME SOVRANISTE NON SI SAPREBBE NIENTE
VERSO L’IMPUNITÀ, INCHIESTA MORTA E BAVAGLIO AI MEDIA
Il centrodestra di governo ha un sogno nel cuore: impedire che inchieste come quella di Genova possano ripetersi. Se infatti si prendono in blocco tutte le riforme della giustizia approvate o in via di approvazione, con il benestare del fu pubblico ministero, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ci si rende conto che sembrano studiate apposta per far morire nella culla le indagini sulla corruzione nel mondo politico-economico. A cominciare dalla norma che potrebbe stoppare l’uso del trojan, definito da Nordio “un’arma incivile, una porcheria”. La fine dei captatori informatici sui device degli indagati per reati contro la Pubblica amministrazione l’ha sempre chiesta Forza Italia ed è stato un ex forzista, il deputato di Azione, Enrico Costa, a infilare la norma tra gli emendamenti al ddl sulla cybersecurity. Si distruggerebbe così un punto cardine della Spazzacorrotti. Se la norma fosse già stata approvata non sarebbe stato possibile per i pm genovesi inoculare il trojan nel cellulare di Aldo Spinelli, né ascoltarne le conversazioni durante le colazioni di lavoro al “Caffè la Piazza” col presidente dell’autorità portuale di Genova Paolo Emilio Signorini, “restìo a interloquire telefonicamente con l’imprenditore”, scrive il Gip in un passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare. Così i due si vedevano al bar per incontri durante i quali Spinelli dava per approvato il rinnovo trentennale della concessione del Termine Rinfuse, una delibera che doveva ancora essere discussa dal comitato di gestione dell’Autorità Portuale.
Si dirà, senza trojan resterebbero comunque le intercettazioni “tradizionali”. Sono quasi preistoria se si pensa all’uso dei criptofonini e comunque vengono rese vane in caso di fuga di notizie. Pare esserci stata anche stavolta, almeno a sentire il dirigente bergamasco di Forza Italia Italo Maurizio Testa, cerniera di collegamento – secondo l’accusa – tra Toti e i voti, in odore del clan nisseno Cammarata, della comunità dei riesini nel quartiere di Certosa a Genova. Un giorno Testa viene avvicinato da un tizio in felpa rossa e un capellino con visiera blu “evidentemente conosciuto dal predetto”. Grazie al trojan si ascolta quel che gli dice il tizio in felpa: “Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono… Stanno indagando”. Testa non pare preso alla sprovvista: “Sì, lo so, non ti preoccupare… L’ho stutato (“spento” in dialetto siciliano, ndr)”. Un colpo mortale alle indagini lo avrebbe inferto anche l’emendamento al ddl intercettazioni della senatrice leghista Erika Stefani, approvato dalla commissione Giustizia che vieta ai pm di intercettare oltre i 45 giorni, eccetto che per mafia e terrorismo o per casi eccezionali in cui emergono nuovi e concreti elementi motivati. Con la legge attuale si può intercettare fino a due anni e per Toti i pm di Genova se li sono presi quasi tutti, dal 1º settembre 2021 in poi, seguendo come Pollicinole molliche degli indizi delle presunte mazzette travestite da finanziamenti elettorali a “Cambiamo con Toti”, a cui seguivano provvedimenti nell’interesse del mittente del bonifico. Con l’emendamento Stefani in vigore, magistrati e finanzieri avrebbero dovuto portare a casa un risultato investigativo durante il primo mese e mezzo di intercettazioni. Il periodo in cui Spinelli e Toti sono in freddo per i ritardi sulla delibera della concessione trentennale, e l’imprenditore non gli molla un euro per sostenere la campagna elettorale delle amministrative di ottobre 2021 (aprirà i cordoni della borsa solo a dicembre). Non solo, ma Signorini pare avvicinarsi allo schieramento nemico, circostanza che si concretizzerà con il “patto della lasagna” di fine ottobre 2021, il pranzo di Spinelli sul suo yacht con i dem Claudio Burlando e Giulio Schenone. L’esperienza giudiziaria insegna che le prime settimane di intercettazioni sono quelle dove è più complicato ascoltare conversazioni che rompono il patto di omertà tra corrotto e corruttore. Le cautele degli interlocutori si traducono in codici e prassi di comunicazioni che hanno bisogno di tempo per essere decodificati, quando gli indagati abbassano la guardia e parlano al telefono. Con limiti così stringenti sui tempi per intercettare e senza trojan, l’inchiesta di Genova si sarebbe interrotta agli albori.
Quando ci sono state le audizioni in Parlamento tutti gli esperti, non solo magistrati, hanno detto che senza il trojan non si può scoprire la corruzione, reato già di suo difficile da scovare. Ma con queste riforme non si disinnescano solo le indagini, si nega anche di diritto all’informazione. A febbraio è stata approvato il bavaglio che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, anche per estratto, all’interno della legge di delegazione europea. Se il governo eserciterà questa delega non si potrà citare alcuna ordinanza d’arresto eccellente (e non). Inoltre, il ddl Nordio, in via di approvazione definitiva alla Camera prevede forti limitazioni alla pubblicazione delle intercettazioni. Cala il sipario sulla mala politica.
(da il Fatto Quotidiano)
Leave a Reply