“CHICO FORTI E’ UN PRIVILEGIATO. VOLEVA AMMAZZARMI? NON SONO PREOCCUPATO”
NON SOLO TRAVAGLIO E LUCARELLI, E’ IL SEGRETARIO DEL SINDACATO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA IL TERZO SOGGETTO DA “FAR TACERE”
La terza persona che Chico Forti avrebbe chiesto di far “silenziare” tramite un detenuto legato alla ‘ndrangheta, insieme a Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli, sarebbe Aldo Di Giacomo, il segretario generale dell’Spp (il sindacato della Polizia Penitenziaria). Il sindacalista nei mesi scorsi era più volte intervenuto sulla vicenda, lamentando il trattamento di favore ricevuto da Forti, un trattamento che avrebbe creato forti malumori tra gli stessi detenuti. “Io non sono mai stato contattato dalla procura di Verona – spiega Di Giacomo a Today.it – né formalmente, né informalmente. Il giornalista mi ha assicurato che la sua è una fonte certa ma non posso confermare”.
Ritiene però verosimile che il terzo nome possa essere il suo?
“Potrebbe anche essere, dato che ho scritto un sacco di cose contro Chico Forti, non perché ce l’abbia con lui, ma perché pensavo delle cose sul suo caso e le ho dette. Non sono state molte le persone che hanno detto e scritto contro di lui, io sono una di quelle. Voglio però aggiungere una cosa: se domani Chico Forti dovesse uscire dal carcere nessuno potrebbe gridare troppo allo scandalo perché in Italia, chi commette omicidi, solitamente dopo 26 anni esce, perché il sistema giudiziario italiano prevede questo. Per me lui è l’omicida per molte ragioni e lo dico con cognizione di causa perché mi sono letto tutte le carte. È uno che mistifica la realtà e ha più volte mentito, anche questo si legge dagli atti. Gli informatori della polizia americana sono dei professionisti e sono ritenuti attendibili. E uno di questi dice chiaramente che Forti gli chiese, previo pagamento, di trovare un sicario per uccidere l’avvocato. Questo è agli atti del processo, non lo dico io. La sua difesa si può riassumere con ‘ha detto bugie perché aveva paura’ e secondo me non è verosimile perché non ci sono elementi oggettivi che possano scagionarlo”.
È preoccupato?
“Assolutamente no. Non è quello il luogo in cui un detenuto può incontrare persone che in qualche modo possono creare problemi all’esterno. L’area in cui si trova è quella in cui ci sono gli “articoli 21″, quelli in cui l’amministrazione penitenziaria si adopera per assicurare ai detenuti un lavoro fuori o dentro gli istituti. Se mi avessero detto che aveva parlato con un detenuto al 41 bis… beh, lì mi sarei preoccupato un po’ di più. È come se uno va al giornalaio a chiedere se gli trova qualcuno perché vuole uccidere la moglie, lascia il tempo per trova. Quando mi hanno detto che forse ero io il terzo mi sono andato a informare, il carcerato in questione è condannato per truffa, non è mai stato accertato che abbia rapporti con alte sfere della mafia. Fosse stata una persona pericolosa, non lo avrebbe mai detto a nessuno; magari avrebbe dato un cazzotto a Chico Forti ma non avrebbe parlato. Nel carcere vigono regole ben precise e si sa bene chi è pericoloso e chi comanda”.
Lei ha più volte lamentato il trattamento di favore ricevuto da Chico Forti rispetto agli altri detenuti. Può spiegare cosa intende?
“Noi abbiamo 2.424 italiani detenuti all’estero, di cui 200 con pena lunga, dove per lunga si intende più di 10 anni. Lei ha mai sentito di un governo che si è mobilitato per uno di loro? Lei ha mai visto un presidente del Consiglio che va a prendere un detenuto che ha una condanna definitiva per omicidio non in un Paese qualsiasi, ma in Usa che – ci piaccia o no – è uno degli Stati più civili al mondo? Chico forti è condannato per omicidio e io penso che Giorgia Meloni non si sia neanche letta le carte, ma sarebbe ora che qualcuno le leggesse”.
“La premier lo ha accolto in aeroporto – spiega ancora Di Giacomo – dopodiché lo hanno portato a Verona dove è stato prima nel reparto infermeria, dove va chi sta male o chi ha commesso reati gravi come l’infanticidio ed è in attesa di una sistemazione, poi dove stanno gli “articoli 21″, che in sostanza è il luogo dove si arriva alla fine della carcerazione e ci sono i detenuti che in carcere vanno solo a dormire perché durante la giornata lavorano fuori; è l’anticamera della scarcerazione. E ancora: dopo due giorni gli è stata concessa un’intervista con Bruno Vespa, quando un detenuto normale deve attendere almeno quattro mesi per un’autorizzazione che non è detto che arrivi. Quando ancora non era arrivato in Italia, già era stata inoltrata la richiesta – subito accettata – per farlo andare a incontrare la madre: di media un detenuto che ha gravi problemi – ovvero un parente stretto che sta per morire – deve attendere 3 giorni in caso di decesso, altrimenti la media è 18 giorni. Lui l’ha ottenuta in due”.
“A Chico Forti è stata concessa un’intervista a Bruno Vespa in due giorni, mentre un normale detenuto può aspettare anche 4 mesi e non è detto che ottenga l’autorizzazione. Ha potuto vedere subito la madre, mentre l’attesa media, in caso di morte imminente o decesso del parente stretto, va dai 3 ai 18 giorni”
Così Aldo Di Giacomo, segretario generale dell’Spp, a Today.i
Insomma, pensa che Chico Forti uscirà presto dal carcere?
“In Italia chi è condannato per omicidio resta in carcere non meno di 22 anni, lui in Usa – dove non ha mai creato problemi per cattiva condotta – si è già fatto 25 anni. Quindi lui è sicuro di poter uscire presto, come tutti gli altri detenuti per reati analoghi. E non è assolutamente vero che l’Italia debba attenersi alle applicazioni degli altri Stati: in Italia si applica solo la legge italiana e lui ora è sotto la competenza del magistrato di sorveglianza, che potrebbe farlo uscire senza difficoltà. Quindi ribadisco: non ci sarà nulla di anomalo se Chico Forti uscirà dal carcere a breve, ma è fastidioso quello che è successo prima”.
(da Today.it)
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