SHAMSUL ISLAM E IL RICORSO ALLA CORTE UE SUL DECRETO “PAESI SICURI”: “IN BANGLADESH RISCHIO LA VITA”
LA STORIA DEL 30ENNE IL CUI RICORSO HA FATTO SCATTARE IL RINVIO PREGIUDIZIALE DEL TRIBUNALE DI BOLOGNA
È una storia di povertà, malattia e debiti usurari non pagati, che gli farebbero rischiare seri pericoli qualora fosse rimpatriato, quella di Shamsul Islam, il 30enne del Bangladesh il cui ricorso ha fatto scattare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sul decreto cosiddetto “Paesi sicuri”.
Nei giorni scorsi infatti il Tribunale di Bologna, rispondendo al ricorso contro il diniego della protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Forlì, ha interpellato la Corte di giustizia europea per dirimere la controversia sorta tra il decreto del governo Meloni che individua 19 Paesi sicuri, tra cui appunto il Bangladesh, e le sentenze e le direttive europee che stabiliscono come innanzitutto i casi siano da discernere volta per volta dal giudice incaricato, ma soprattutto un Paese non possa essere considerato sicuro se anche solo una piccola minoranza di cittadini è a rischio.
Gli avvocati Francesco Umberto Furnari e Vanessa Di Gregorio avevano evidenziato nel ricorso al tribunale che il diniego della Commissione era motivato solo dall’inserimento del Bangladesh nella lista del governo, senza entrare nel merito della vicenda di Islam e avevano chiesto una sospensiva del rimpatrio.
Sospensiva scattata in automatico con il rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Bologna, il quale ha osservato che, paradossalmente, «anche la Germania nazista era sicura per milioni di tedeschi, ma il concetto di sicurezza non può essere parziale».
Shamsul Islam, che oggi vive a Ravenna, sarebbe invece in pericolo in patria perché, a causa dei gravi problemi di salute dei genitori, avrebbe contratto debiti sia con le banche che con gli usurai e adesso, in quanto capofamiglia, rischiererebbe sia il carcere che la vita.
Il 30enne aveva studiato in Bangladesh per una decina d’anni per poi lavorare in un negozio di telefonia. Quindi, dopo che i suoi genitori si erano ammalati gravemente, si era ritrovato a fare fronte da solo ai bisogni di tutta la famiglia.
Non potendo più restare in patria per i debiti non onorati, ha deciso di cercare fortuna in Europa: nell’ottobre 2023 è arrivato in Romania dove ha lavorato per sei mesi ma senza regolare paga. E così il 24 agosto scorso è entrato in Italia e, per timore di tornare in Bangladesh e subire le conseguenze per la mancata restituzione dei soldi, ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale.
In questura a Ravenna aveva ottenuto il 9 settembre un permesso provvisorio. Ma in seguito la commissione territoriale di Forlì-Cesena aveva rigettato la sua richiesta, trattata con procedura accelerata come prevede il decreto Parsi sicuri.
La decisione del Tribunale di Bologna di chiamare in causa la Corte europea per capire se quel decreto, come prevedono le norme comunitarie, vada disapplicato, ha scatenato un vespaio di polemiche, con la maggioranza di governo che accusa i giudici bolognesi di fare politica. «Si tolgano la toga e si candidino» ha detto il ministro del Trasporti Matteo Salvini, mentre per la premier Giorgia Meloni il provvedimento è «propagandistico». Anche il giudice Marco Gattuso, presidente del collegio che ha firmato il procedimento, è stato attaccato e l’Anm è insorta in sua difesa.
(da Il Corriere della Sera)
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