FRANCIA SENZA GOVERNO, COSA SUCCEDE ORA
LE FORZE IN CAMPO: SINISTRA 182 SEGGI. CENTRISTI 168 SEGGI, LEPENIANI 143 SEGGI
Con la sfiducia a Michel Barnier il Paese ripiomba nel tunnel dell’instabilità. Ecco cosa può accadere (e cosa no)
Con il voto all’Assemblea nazionale della mozione di censura al governo guidato da Michel Barnier, la Francia piomba di nuovo nel tunnel dell’incertezza politica. Situazione inedita per la Quinta repubblica voluta nel 1958 dal Generale Charles De Gaulle per dare forza e stabilità al sistema politico francese, ma che i cittadini d’Oltralpe hanno imparato a conoscere negli ultimi sei mesi. La decisione di Emmanuel Macron di sciogliere il Parlamento lo scorso 9 giugno dopo la batosta elettorale delle Europee ha terremotato il Paese. «Serve un chiarimento politico tramite il voto», disse quella sera il capo dello Stato. È andata all’opposto, con elezioni legislative anticipate che hanno consegnato un Parlamento ingovernabile, spaccato in tre blocchi che se la giurano l’un l’altro: il Nouveau Front Populaire (sinistre, 182 seggi), Ensemble (centristi, 168 seggi) e Rassemblement National (destra radicale, 143 seggi). Dopo aver mantenuto al governo ad interim Gabriel Attal per l’estate, in cui Parigi era chiamata anche all’appuntamento internazionale delle Olimpiadi, Macron ai primi di settembre aveva estratto dal cilindro il coniglio Michel Barnier: politico conservatore di lunga esperienza in grado di guidare un governo di centrodestra e di assicurare la «non-opposizione» in Parlamento del Rassemblement National. Sino ad oggi. Cos’è cambiato nel frattempo? E ora che succede? Oltre a Barnier rischia pure Macron? E la Francia? Domande e risposte.
Il Rassemblement National aveva consentito la nascita e la navigazione del governo-Barnier. Perché ora ha staccato la spina?
Ufficialmente per la contrarietà alle misure previste nel progetto di bilancio 2025, che comprende aumenti di tasse e tagli alle spese dello Stato per ridurre il deficit pubblico, esploso oltre il 6% del Pil quest’anno. Marine Le Pen si è presentata davanti alle telecamere lunedì pomeriggio per sottolineare come l’assenza di passi indietro convincenti di Barnier sulle «linee rosse» fissate dall’RN (sul costo di elettricità, farmaci, pensioni) ha condotto il partito a sfiduciarlo. Dietro le quinte a Parigi circola però anche un’altra interpretazione, tra il politico e il giudiziario: Le Pen avrebbe alzato la posta con Barnier, presentandogli richieste sempre più pressanti e inaccettabili sino a farlo cadere perché ha fretta. Sulla sua testa pende la spada di Damocle di una possibile condanna per la vicenda dell’uso improprio di fondi europei, che potrebbe comportare anche l’ineleggibilità a cariche pubbliche per 5 anni. La sentenza è attesa per il 31 marzo. Anche per questo Le Pen ha una gran fretta di spingere Macron a gettare definitivamente la spugna.
Michel Barnier è obbligato a dimettersi?
Sì. L’articolo 50 della Costituzione francese afferma chiaramente che quando l’Assemblea nazionale adotta una mozione di censura dell’esecutivo «il primo ministro deve rimettere al Presidente della Repubblica la dimissioni del Governo»: anche se non detta i tempi di tale atto, si desume le dimissioni debbano essere presentate senza indugio.
Quindi ora chi governerà la Francia?
Barnier resta alla guida del governo solo per la gestione degli affari correnti. Per il resto il pallino ora torna nelle mani di Macron, chiamato come detto dalla Costituzione a indicare un nuovo primo ministro. Può essere chiunque (non necessariamente un parlamentare), purché in grado di formare un governo che possa contare su una maggioranza all’Assemblea nazionale. Missione complicatissima nell’attuale Parlamento uscito spaccato in tre dalle legislative di giugno/luglio. Sui media francesi circolano in queste ore i nomi di alcuni politici che Macron starebbe considerando per tentare di sbloccare la situazione – l’ex socialista Bernard Cazeneuve, il centrista François Bayrou, l’attuale ministro della Difesa Sébastien Lecornu – ma anche l’ipotesi di un governo tecnico. Sarebbe una prima volta assoluta per la Quinta Repubblica. Sulle chances di successo di queste diverse strade, al momento nessuno in Francia è disposto a scommettere.
Macron potrebbe sciogliere il Parlamento per cercare di far emergere una nuova, chiara maggioranza?
No. O meglio, non subito. Il 9 giugno, dopo la dura sconfitta alle elezioni europee, Macron ha sciolto il precedente Parlamento e convocato elezioni anticipate, svoltesi poi in doppio turno il 30 giugno e il 7 luglio. A norma di Costituzione (articolo 12), «non si può procedere a una nuova dissoluzione nell’anno che segue queste elezioni», ossia quelle anticipate per una precedente dissoluzione. Tradotto: il Parlamento attualmente in funzione non può essere sciolto prima dell’8 luglio 2025.
Le opposizioni chiedono le dimissioni dello stesso Emmanuel Macron. Anche lui è obbligato a darle?
No, in Francia il presidente della Repubblica sceglie il primo ministro e presiede il consiglio dei ministri, ma la sua funzione di guida dello Stato è tutelata dalla Costituzione: non è tenuto a dimettersi in caso di crisi di governo, né di fatto in alcun altro caso. Può ovviamente scegliere di lasciare l’incarico per proprie autonome valutazioni politiche, ma in questi mesi Macron ha più volte messo in chiaro di non prendere in considerazione quest’ipotesi («fantapolitica», ha ribadito ieri dall’Arabia Saudita). Il suo mandato scade nella primavera del 2027.
E se cambiasse idea?
Se Macron dovesse a sorpresa cambiare idea e dimettersi, a norma dell’articolo 7 della Costituzione, nuove elezioni presidenziali sarebbero indette in tempi rapidi: «non meno di 20 giorni e non oltre 35 giorni» dopo la constatazione della vacanza di potere da parte del Consiglio costituzionale. Nel frattempo, le funzioni di presidente della Repubblica sono svolte ad interim dal presidente del Senato.
La Francia rischia di affrontare il 2025 senza una legge di bilancio?
Il rischio c’è. I giuristi francesi si dividono sul destino del progetto di legge di bilancio che Barnier aveva appena presentato: c’è chi sostiene che decada con le dimissioni del governo e chi che potrebbe essere ripreso in mano dal successivo esecutivo. Ma è evidente che i tempi per la formazione di un nuovo governo e l’elaborazione di una manovra – la precedente rimaneggiata o una nuova – prima della fine del 2024 sono strettissimi. Al limite dell’impossibile. Per questo partiti di centro e media da settimane paventavano il rischio di una seria crisi finanziaria in caso di caduta di Barnier. Di fronte a tale rischio, l’articolo 47 della Costituzione indica che il governo (dimissionario o nuovo) può chiedere l’autorizzazione d’urgenza al Parlamento per estendere provvisoriamente al 2025 lo stesso progetto di bilancio applicatosi nel 2024. È la strada apertamente indicata anche negli ultimi giorni da Marine Le Pen. Se anche su questo non dovesse trovarsi un accordo, esiste ancora l’extrema ratio disegnata dall’articolo 16, che dà al Presidente della Repubblica la possibilità di prendere misure straordinarie «quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione dei suoi impegni internazionali sono minacciati». L’incapacità dello Stato di operare sul terreno economico-finanziario sembra poter ricadere in quest’ambito: Macron potrebbe dunque promulgare una sorta di manovra d’emergenza, se non altro per il tempo strettamente indispensabile prima dell’adozione di un progetto di bilancio strutturato da parte di un nuovo governo nella pienezza dei poteri.
(da agenzie)
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