SANITA’, SPECIALIZZANDI IN FUGA: 40 MILIONI DI “BUCO” IL COSTO ANNUO DELL’ADDIO DEI NUOVI MEDICI
IL COSTO ANNUO DELL’ADDIO DEI NUOVI MEDICI
La loro resa ci costa fino a 40 milioni l’anno e un danno sociale e sanitario incalcolabile. Vita da “specializzandi”, questi sconosciuti che tengono in piedi gli ospedali ma che il “sistema” non vuol vedere. Ogni anno il ministero dell’Università bandisce borse di studio di 4/5 anni per le specializzazioni mediche in 1.400 scuole. Nel 2024 sono stati finanziati dallo Stato 14.576 posti per 350 milioni. Il 10-13% però lascia il percorso formativo prima del tempo, per sempre o per intraprenderne altri, con una perdita di risorse calcolabile in 36-40 milioni l’anno. In quattro anni, dal 2020 al 2023, si sono perse per strada 6.009 borse e 100 milioni.
Addio 6.009 borse in 4 anni
L’emorragia non dipende solo da scelte individuali ma dall’incapacità di programmazione tra la conferenza Stato-Regioni, che stima il fabbisogno di borse per specialità, e il ministero dell’Università decide quali e quante finanziare. L’attribuzione reale dei posti però avviene sempre senza considerare i “tassi di abbandono” delle singole scuole, anche laddove sono macroscopici e le cause ben individuabili nei questionari che il ministero somministra ogni anno, e tuttavia ignora. Questi dati, elaborati per Il Fatto dall’Associazione Liberi Specializzandi, nessuno li guarda, e infatti non c’è ministero che sappia quantificare lo “spreco”.
1 su 3 -31% cardiochirurgia e -29% radioterapia
Ogni borsa costa in media 25 mila euro l’anno. Se viene abbandonata prima dei 4/5 anni previsti la parte non utilizzata, le cosiddette “evenienze”, torna al Mef e già qui c’è un problema di programmazione: nell’anno accademico 2023/2024 sono andati a vuoto 958 milioni di euro, un terzo dei fondi stanziati. Ma lo scandalo vero è quello dei percorsi di formazione interrotti, che non porteranno al titolo e alla competenza sanitaria. Nel 2021, ultimo anno di graduatoria ancora aperto, l’abbandono è costato 35,8 milioni. I tassi più forti si registrano in specialità essenziali: cardiochirurgia (31%), radioterapia (29%) e medicina nucleare (29%) dove uno su tre se ne va. Un po’ meno gli anatomopatologi (23%).
In alcune scuole l’abbandono arriva al 100%: a Parma, ad esempio, sono stati banditi 29 posti per l’emergenza-urgenza, si sono iscritti in due ed entrambi hanno lasciato prima del tempo, con una perdita di 112 mila euro. A Bari su 60 anestesisti e rianimatori se ne sono andati in 13 e sono costati 347 mila euro, a Verona 317 mila e così via, fino al totale di 36 milioni buttati al vento. “L’assegnazione di risorse dovrebbe essere vincolata alla capacità della struttura di formare gli specializzandi che le vengono affidati – dice Massimo Minerva di ALS – Ma non lo si fa”.
Indispensabili Mancano almeno 30 mila camici
Oltre alla cifra spaventosa, in gioco c’è la qualità stessa del servizio sanitario. L’effetto a cascata degli abbandoni è che in alcune zone/strutture sanitarie manchino cronicamente gli specialisti, che abbondano inutilmente altrove. Ma questo sembra non interessare gli ospedali universitari, che sono più preoccupati della possibilità di continuare a disporre di forza lavoro “a buon mercato” per colmare le carenze di medici strutturati, dato che non sono loro a pagarli, ma il ministero
Quanto siano essenziali alla “tenuta” del SSN lo rivela un dato: attualmente sono in formazione qualcosa come 50 mila specializzandi, quando il numero di medici del SSN è di 110 mila. Se ne mancano 30 mila, quei 6 mila che “mollano” per sempre o per ricominciare sono un numero considerevole.
Orari e retribuzione 14 ore al giorno per 1.600 lordi
Sulla scelta soggettiva poco si può fare, ma su altri fronti sì. Ogni anno il ministero somministra agli specializzandi un questionario e quasi la metà dichiara di essere obbligata a lavorare più delle 38 ore previste dal contratto firmato dalle università, con punte del 57% a Padova, del 48% a Verona. In 18 scuole il 100% dichiara l’obbligo di orari eccessivi. “Nessuno guarda le risposte benché siano direttamente collegate alle cause di abbandono”, insiste Minerva. “Delle ginecologie, Ferrara è la più abbandonata. Dalle risposte si capisce perché scappano: il 58,3% dichiara che il tutor c’è raramente o mai. E infatti dal 2020 al 2023 su 37 iscritti 11 hanno lasciato la specializzazione, quasi il 30% a fronte di abbandoni medi di ginecologia del 10,7%”.
Gli ospedali italiani sono pieni di storie così. Silvia, 29 anni, per due è stata iscritta a una scuola di Neurochirurgia. “Il tutor non c’era mai, i turni erano da 14-15 ore al giorno e se volevi rimanere dovevi stare 36 ore di fila, col rischio di sbagliare e danneggiare i pazienti. Nei primi cinque mesi mai vista una sala operatoria, in compenso facevo le fatture per il primario”. Dopo due anni ha interrotto il percorso iniziato per ricominciare la stessa specializzazione altrove. Il danno per lo Stato è di 50 mila euro. E Silvia sarà formata con due anni di ritardo.
Altra causa di abbandono sono le retribuzioni: 1.652 euro lordi al mese, meno 200 di tasse universitarie. Spesso sono fuorisede, per cui bastano per l’affitto e poco più. Chi fa 300 ore al mese guadagna 4-5 euro l’ora. La legge di Bilancio ha messo 120 milioni per aumentare del 5% la parte fissa e del 50% il variabile nelle specializzazioni meno “attrattive”. Ma gli aumenti sono modesti (da 75 a 190 euro) e scatteranno tra due anni, a fronte di stipendi fermi da 15, nei quali han perso il 40% del valore reale.
Problema cronico Stessa musica almeno dal 2008
Dalle serie storiche sull’abbandono il sistema di assegnazione pare fuori controllo da sempre, che al governo fossero Prodi, Berlusconi o Meloni. Dal 2008 i posti sono stati sempre sottofinanziati rispetto al fabbisogno dichiarato dalle Regioni: se nel 2008 c’era bisogno di 8.848 medici venivano finanziati 5 mila posti (-43%), nel 2013 su 8.189 solo 4.500 (-45%) e così via. Nella medicina d’urgenza nel decennio 2009-2018, su 3 mila posti ne sono stati banditi 800 (-73%). In compenso quelli per oculisti, che non mancano, sono stati abbattuti solo del 22%. È così che si è arrivati alla cronica carenza di 30 mila medici e al cosiddetto “imbuto formativo”, per cui i posti erano meno di quanto servisse e pochi passavano. Solo con il Covid si scopre il prezzo di questa politica, a cosa servano un anestesista, un rianimatore, uno pneumologo. La sirena dell’urgenza fa però piombare la programmazione nell’errore opposto dell’eccesso. In Italia ci sono circa 16 mila anestesisti. Negli ultimi 5 anni sono stati banditi 7.800 posti e gli attuali iscritti sono 5.200. Ma circa 2.500 andranno in pensione, cosicché i 2.700 in più saranno utili per coprire i fabbisogni attuali, ma nel 2030 la specialità sarà in sovrannumero e non potrà essere assorbita, alzando ancora il livello e il costo sociale degli abbandoni. La domanda finale: qualcuno ha mai comunicato al Mef il danno da 40 milioni, visto che nulla si fa per evitarlo?
(da agenzie)
Leave a Reply