C’ERA UNA VOLTA IL PACCHIANISSIMO TWIGA. E ORA? IL PASSAGGIO DI MANO DELLO STABILIMENTO DI FORTE DEI MARMI DA FLAVIO BRIATORE A LEONARDO MARIA DEL VECCHIO SEGNA LA FINE DI UN’EPOCA, ANCHE POLITICA
QUEL LOCALE RAPPRESENTAVA UNA DOPPIA SFIDA AL MORALISMO PAUPERISTA, MA ANCHE ALLA SOBRIA RISERVATEZZA DELLA VILLEGGIATURA BORGHESE
Di questo nostro mondo povero e sfarzoso il Twiga passato di mano è prisma, inganno, delizia, trappola, talismano e campo di battaglia. Oh, che esagerazione, diranno quanti giustamente diffidano dell’enfasi che il sistema dei media riserva ai luoghi idolatrici di questo tempo, spiagge, ristoranti, locali notturni esclusivissimi con garantita “experience”.
Quanto al suo valore, va considerato il potere fiabesco del brand. In questo Flavio Briatore, che all’inizio del secolo l’ha creato con Paolo Brosio, la famiglia juventina Lippi e la futura ministra Santanchè, conosce senz’altro il fatto suo. Nel 1998 aveva dato vita al Billionaire spiegando di aver scelto «questo nome arrogante perché funzionava».
Ma certo anche nel caso del suo fratello minore ha funzionato il tocco esotico battesimale giacché in lingua swahili “twiga” vuol dire giraffa, animale totemico che in macroscopica statua lignea si staglia sulla sabbia della Versilia, coerente con gli arredi etno-africani dei locali interni, ovviamente assai più coloniali che missionari, fascio- imperiali o neo Piano Mattei — ma tant’è, lì si va per divertirsi facendosi vedere e possibilmente notare.
L’idea di fondo era che il lusso dovesse mangiarsi tutto e con ragionevole probabilità tale provocatoria estetica ha contribuito al controverso successo del Twiga.
Vennero poi calciatori, campioni dello sport, nozze e gala di vips e aspiranti vips della tv, fra cui stelline, letterine e meteorine del berlusconismo maturo, ma ignaro dei suoi incombenti e incresciosissimi guai. Ma un giorno venne pure un vecchietto che abitava lì davanti e che per via del rumore tentò di dare fuoco al Twiga.
Furono registrati inesorabili abusi, fra cui la celebre Pagoda smobilitata sulla battigia fra gli alti lamenti di Santanchè. Colto da crocca mistica, Brosio si ritirò nel 2010. Ci fu un furto di champagne, per 25 mila bombi. Ci fu la rapina a mano armata con il bandito che a fine nottata indossava occhiali da sole d’ordinanza.
Ci fu la compilation di brani Twiga, ritmi deep e tropical house, in prestigiosa confezione premium con braccialetto personalizzato, a maggior gloria del marchio iconico eccetera.
In altre parole cominciò l’epopea dei ricconi e presunti tali asserragliati fra loro e lieti di spendere e spandere: dopo tutto che male c’era? Se provocati, sia pure a mezza bocca ricorrevano all’inedito, estremo e sdegnoso improperio dell’eterna, ma evoluta lotta di classe: «Ciao, poveri!».
Perché già allora quel benedetto locale pacchiano, energico e godereccio rappresentava, forse ancora a sua insaputa, una doppia sfida al moralismo pauperista, non di rado un po’ ipocrita, dei radical-chic di Capalbio, ma anche alla sobria riservatezza della villeggiatura borghese.
Di tanto in tanto si organizzavano al Twiga anche serate di solidarietà a scopo benefico, raccolta fondi sulla disabilità, le Olimpiadi del Cuore di Brosio: in fondo anche Briatore e Santanchè, ormai affiancata dallo pseudo principe d’Asburgo Kunz, “il Pitonesso”, avevano un cuore.
Quando nel 2023 una mareggiata spazzò via mezzo Twiga mettendo a repentaglio anche il simulacro della giraffona, i social progressisti graziosamente esultarono; al che, con la medesima grazia tribale, Briatore replicò chiamandoli «sfigati» e anche peggio.
Non molti mesi fa la polarizzazione portò lì davanti i superstiti comunisti di Rc a raccogliere firme per il salario minimo, poi anche un presidio contro la privatizzazione degli arenili. Nel frattempo Santanchè, nominata ministra proprio del Turismo, aveva mollato le sue quote a Kunz, forse illudendosi fosse una mossa decorosa e risolutiva.
L’ultima perlina del Twiga rimanda a una cena cui lieti parteciparono specchiati esponenti del renzismo (Boschi, Nobili e Bonifazi), per questo aspramente rimproverati da Calenda. Cronaca minima, appunto — sempre che questo tempo misero e sontuoso offra qualcosa di nobile, degno ed edificante.
(da la Repubblica)
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