CACCIARI: SE DOBBIAMO ARMARCI, L’EUROPA LO FACCIA COME CONTINENTE UNITO
LA DIFESA COMUNE DOVEVA ESSERE UN PILASTRO DELL’UE, TANTI STATERELLI NON POSSONO FARLA
Narra una versione tragica del grande mito che gli dèi fecero combattere tra di loro Greci e Troiani per svuotare la terra dalla moltitudine prepotente dei mortali. Questo è il rischio estremo che corrono i conflitti nell’epoca delle armi atomiche. Sembra che la propensione verso di esso cresca col crescere delle capacità dell’Homo technicus. La saggezza dell’Occidente sa fin dalle sue origini quanto insaziabile sia la nostra specie, quanto smisurata possa esserne la audacia. Anche senza massacrarsi in guerre, essa è in grado di architettare straordinarie vie per la propria distruzione, o almeno per la propria infelicità. Il suo rapporto con l’ambiente, con la propria “casa” è sempre stato difficile – oggi la stessa potenza delle armi, in ogni senso, di cui disponiamo potrebbe trasformarlo in un conflitto mortale.
Ma il rischio politico più ravvicinato sulla strada che sciaguratamente sembra abbiamo deciso di percorrere è quello che l’ennesima versione dell’interminabile bellum civile europeo porti per la terza volta l’umanità intera alla catastrofe. L’Europa, da quella cristiana medievale a quella della rivoluzione scientifica e industriale, fino a quella contemporanea della “morte di Dio”, si è sempre riconosciuta come una “famiglia”. Ed è appunto nelle “famiglie”, dal loro seno, che si formano i dissidi più implacabili, che esplodono le vere guerre, quelle in cui so chi è il mio nemico e perché lo combatto.
L’Unione europea, malgrado l’improba fatica di molti suoi rappresentanti del Dopoguerra, almeno fino agli anni Novanta, per costruire un’Europa che fosse protagonista di una politica di pace su scala globale, non è riuscita a eliminare le ragioni della guerra civile al suo interno. Ci siamo forse illusi bastassero interessi economici, aspettative di sviluppo derivanti da mercati e monete comuni, per bonificare le fonti che avevano portato a tante immani tragedie. Neppure sono bastate le guerre civili nella ex-Jugoslavia a farci vigili, pronti a disinnescare con ogni mezzo le nuove minacce. E quando alcuni Stati europei, ma senza coordinamento strategico autentico con l’insieme dell’Unione, hanno pure cercato di intervenire per giungere a un accordo nel conflitto tra Ucraina e Russia, la guerra civile era già esplosa nelle regioni del Donbass. Questa è ora a un passo dal trasformarsi in una Grande Guerra. Civile sempre, poiché l’idea che la Russia delle guerre napoleoniche, la Russia alleata a Francia e Gran Bretagna nella prima Grande Guerra, la Russia di Stalingrado, costituisca uno spazio culturale e politico estraneo all’Europa è solo indice o di ignoranza storica o di indecente malafede.
Escludiamo pure che il rischio sommo, di un confronto armato diretto tra un esercito o eserciti europei occidentali e la Russia, venga corso fino al precipizio. Quello di una definitiva rottura di relazioni non solo politiche, ma economiche e commerciali, col protrarsi della guerra in Ucraina non sarebbe tale, ma una certezza. E così altrettanto certe le sue conseguenze: un ulteriore indebolimento delle economie europee, l’aumento massiccio delle spese militari, l’impossibilità di sostenere spese sociali e i redditi più bassi. Politiche neo-liberiste, politiche neo-conservatrici mescolate ad altre di destra-destra, hanno minato le fondamenta dello Stato sociale uscito dalla tragedia della Seconda Guerra anche “a prescindere” dalle guerre civili nell’Europa dell’Est, questo è vero – ma è altrettanto vero che la guerra, per propria natura, tenderà a rafforzarle fino a renderle irresistibili. Se ne rendono conto gli oppositori alle varie Meloni?
Le nostre democrazie, quelle che abbiamo cercato di difendere e sviluppare in Europa nel corso del secondo dopoguerra, non potranno sopravvivere se la situazione continua a svolgersi nel segno della guerra. Di questa lapalissiana verità cerchiamo almeno di renderci e render conto. Abbiamo deciso che una grande iniziativa politico-diplomatica per il cessate il fuoco è impossibile? Che la Russia pensa di invadere il continente? Che il riarmo è indispensabile di fronte a una tale minaccia? Bene, smettiamola di cianciare non solo di servizi, di investimenti in scuola e sanità, di lotta alle disuguaglianze, ma anche di diritti. Una società in guerra è necessariamente una società chiusa, ultra-controllata, a caccia di idoli identitari, dominata dalla paura. E, per favore, non stupiamoci se poi l’Alleanza che vince è quella fuer Deutschland.
Potrebbe apparire confortante che in tale disastro l’Europa, ovvero la miriade di Stati e staterelli che la compongono, sembri volersi finalmente muovere verso una difesa comune (chiamarla riarmo non è espressione felice, ma fingiamo che i nomi contino poco). Quello della difesa comune avrebbe dovuto rappresentare, in tempi anni luce lontani, addirittura il primo passo dell’Unione. Rimane però misterioso come un simile piano possa reggersi senza comune politica internazionale, senza un vero Governo di una vera Federazione di Stati d’Europa. E senza un Esercito europeo. Buttare il cuore oltre l’ostacolo a volte può anche riuscire, ma a patto che almeno alcune condizioni elementari per il successo dell’audace impresa vengano rispettate. Se neppure le spese per il cosiddetto riarmo verranno decise e gestite unitariamente, se ognuno continuerà a sviluppare i propri personali sistemi, i propri carri armati, caccia, incrociatori e baionette, quale Arlecchino di esercito e di difesa comune ne uscirà? Basta per una politica autentica di difesa la decisione di aumentare la spesa per armi? È soltanto una questione di percentuali sul Pil e non di organizzazione e di strategia? La priorità è oggi finanziare la guerra e non sostenere salari e servizi? Armarsi è necessario? Evitiamo almeno, per favore, il rischio di bruciare risorse in ordine sparso a esclusivo vantaggio di chi le armi le produce e le vende.
Massimo Cacciari
(da lastampa.it)
Leave a Reply