IL TESORO FA UNA FIGURACCIA SUL FISCO: IL MEF AMMETTE L’ERRORE SULL’ACCONTO IRPEF, HA APPLICATO LE VECCHIE REGOLE DELL’IRPEF, CHE PREVEDONO ALIQUOTE PIÙ ALTE E DETRAZIONI PIÙ BASSE
IN QUESTO MODO QUASI TUTTI RISCHIANO DI PAGARE TASSE NON DOVUTE
Una norma varata e dimenticata. Quella che imponeva di calcolare l’acconto Irpef
con aliquote e detrazioni del 2023, meno favorevoli. E così, di fronte al concreto rischio di far pagare più tasse del dovuto quest’anno a milioni di lavoratori e pensionati, il governo fa retromarcia.
Ammette l’errore. E annuncia di «intervenire in via normativa per consentire l’applicazione delle nuove aliquote del 2025». Lo farà «in tempo utile per evitare ai contribuenti aggravi» in sede di dichiarazione dei redditi.
«Siamo soddisfatti di aver difeso le persone che rappresentiamo, inducendo il governo a rivedere una norma profondamente ingiusta», dicono ora sollevati Christian Ferrari, segretario confederale Cgil, e Monica Iviglia, presidente del consorzio nazionale dei Caaf Cgil. Esultano perché il paventato taglio fino a 4,3
miliardi, nei loro calcoli, avrebbe colpito 19,5 milioni di lavoratori e 9,2 milioni di pensionati con aggravi di tasse non dovute da 75 a 260 euro. Nella speranza di vederle rimborsate l’anno prossimo.
Il ministero dell’Economia si giustifica ricordando la genesi dell’ormai incriminato comma 4 dell’articolo 1 contenuto nel decreto legislativo 216 del 2023. In quel decreto attuativo della riforma fiscale il governo riduceva gli scaglioni Irpef da quattro a tre, abbassando l’aliquota dal 25 al 23% fino a 28 mila euro e alzando da 1.880 a 1.955 euro la detrazione da lavoro per i redditi bassi.
Un intervento da 4,3 miliardi a lungo rivendicato – la stessa cifra che nei calcoli Cgil ora sarebbe tornata indietro – ma all’epoca temporaneo, varato per il solo 2024. È proprio per questo, per la finitezza dello sgravio, che viene inserito il comma 4. Una sorta di clausola di salvaguardia: gli acconti guardano a un futuro senza quel taglio Irpef e quindi più tartassati.
Verrebbe da dire che neanche il governo credeva fino in fondo alla sua riforma, alla possibilità di confermare il nuovo assetto. E invece, nella manovra di dicembre, rende strutturale l’Irpef a tre aliquote. Dimenticando o trascurando quel comma 4. Lasciando così che il ricalcolo dell’acconto venga determinato con l’Irpef a quattro aliquote e risulti quindi più gravoso. Un vero pasticcio.
E un cortocircuito fiscale pericoloso. Avrebbe aperto la strada a un «prestito a tasso zero» dei contribuenti verso lo Stato, come denunciato dalla Cgil. Eppure non si può dire che nessuno ignorasse. Almeno non dopo il 17 marzo scorso, all’indomani cioè della pubblicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate delle istruzioni alla dichiarazione dei redditi.
Non era questa l’intenzione, prova a spiegare il ministero dell’Economia. Si volevano colpire solo i lavoratori dipendenti con altri redditi – e quindi obbligati a presentare il 730 – già in debito con lo Stato per un importo superiore a 52 euro. Ma anche qui non si capisce perché avrebbero dovuto pagare più tasse del dovuto.
La Cgil ha dimostrato però che non era così. Si sarebbero ricalcolate le dichiarazioni di tutti, anche di autonomi e pensionati senza altri redditi che fanno il 730 per andare a credito di qualche rimborso. Chissà quanti l’avrebbero notato, in una dichiarazione precompilata dove tutto è già calcolato. «L’incongruenza evidenziata dai Caf», come la definisce il ministero dell’Economia senza mai ci tare la Cgil, era dunque vera. Si attende la modifica normativa promessa. Nessun cenno al possibile buco di bilancio da 250 milioni rilanciato dall’agenzia Agi. Solo una norma da cancellare.
(da agenzie)
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