VANCE SCAPPA: LE SUE VACANZE ROMANE SONO STATE ROVINATE DAGLI INSULTI DEI TURISTI, INFEROCITI PER LA CHIUSURA ANTICIPATA DEL COLOSSEO, DECISA PER PERMETTERE ALLA FAMIGLIA VANCE DI VISITARE L’ANFITEATRO IN SICUREZZA
QUEL BURINO RIPULITO DEL VICE DI TRUMP, SCORTATO NELLA CAPITALE DA QUARANTA AUTO E CINQUANTA UOMINI, QUANDO HA SENTITO I FISCHI SE L’È FILATA IN AMBASCIATA E HA LASCIATO AL COLOSSEO LA MOGLIE USHA CON I TRE FIGLI
Si lascia alle spalle le mura vaticane e guarda il cielo. Il meteo sta mantenendo le promesse, raggi di sole e poche nuvole velate. James David Vance freme per togliersi di dosso il completo blu d’ordinanza, vuole il suo cappellino da baseball, vuole fare il turista, chissà per quanto tempo ha fantasticato sui libri di storia immaginando i monumenti della città eterna. Non era mai stato a Roma, il vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Sua moglie Usha a marzo era stata a Torino per gli Special Olimpics, accolta dalla folla con un misto di applausi e fischi.
Fischi sonori li avrebbe sentiti anche lui, ieri, nel tardo pomeriggio. Meglio:
vere e proprie urla dei turisti indiavolati al Colosseo che alle cinque viene chiuso per la visita esclusiva di tutta la famiglia Vance. C’è chi ha prenotato da mesi, anche venendo da lontano. Inutilmente. «Vergognatevi», urlano dalla folla.
JD Vance preferisce non sentirle quelle urla. Dai Fori Imperiali decide di tornare dritto a Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore che in queste ore è la residenza sua e della sua famiglia. Al Colosseo rimane la moglie e al seguito Evan, Vivek e Mirabel, i tre bimbi che in questa giornata romana sembrano non conoscere stanchezza.
È evidente che il vicepresidente non vuole rischiare, in questo suo tour ha una protezione speciale, quaranta auto di scorta, cinquanta uomini a proteggerlo, le minacce lo preoccupano. Una protezione imponente per il numero due dell’amministrazione americana. Eppure era andato tutto bene, fino a quel momento.
Nessuno a fargli presente quello che Matteo Renzi gli ricorda proprio mentre i turisti stanno urlando davanti al Colosseo: «Magari Vance si scusi con gli europei che ha definito parassiti».
Alle due del pomeriggio si è lasciato alle spalle le mura vaticane JD Vance, e non aveva indugiato nella scelta del ristorante per pranzare, i bimbi erano affamati e le poche ore libere a disposizione voleva usarle tutte, questa volta per fare il pieno delle bellezze della città. Dopo pranzo è tornato a Villa Taverna e si è fermato il tempo di indossare il cappellino, i jeans, la felpa aperta sulla camicia bianca, un semplice turista americano, se non fosse per la scorta da imperatore.
La città è blindata, per lui. Il quartiere Parioli, lì dove c’è Villa Taverna, è ostaggio del corteo di auto blu, di van, di macchine dell’intelligence. Ma uscendo dalla residenza dell’ambasciatore il vice di Trump non resiste al pistacchio della Sicilia, una coppetta per lui, panna e fragola per i bambini, e poi la corsa del corteo, un fuori programma, su verso il Gianicolo. È Usha che chiede aria, e verde, uno spazio dedicato ai bambini che di Roma fino a quel momento hanno visto soltanto le mura di palazzi.
Dalla culla del cattolicesimo alla culla della Roma antica. Nel suo programma Vance aveva messo al primo posto l’Anfiteatro Flavio come testimonianza della Roma Antica.
Una visita all’Orto botanico a Trastevere l’aveva voluta sempre per i bimbi e per Usha e alla fine si sono trattenuti a lungo in mezzo a quei fiori e quelle piante, lo zaino in spalla lui e, ironia della sorte, l’armatura da gladiatore il figlio più grande.
Al Colosseo non aveva voluto nessuno. Non il ministro della Cultura Alessandro Giuli, non il sopraintendente, nessuna istituzione. A un certo punto si era pensato di fare un punto stampa, sei giornalisti italiani, sei americani, proprio davanti al Colosseo, in mezzo ai gladiatori. Ma il vice di Trump non aveva voluto neanche questo. Sabato di vacanza. Sabato di visite. Dall’Orto botanico era arrivato ai Fori Imperiali. E lì erano arrivate anche le informazioni sulla protesta dei turisti: «Vergogna». Il sogno di JD Vance di vedere il simbolo della città eterna sfuma tra le urla.
(da Il Corriere della Sera)
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