IL PONTIFICATO “POP” DI FRANCESCO: DALLE INCURSIONI IN TV DA FAZIO ALLO SBARCO SU “X”, DALLA TELEFONATA A RITA PAVONE AL BLITZ NEL NEGOZIO DI DISCHI CHE FREQUENTAVA DA CARDINALE
ABBIAMO ASSISTITO A UN COLOSSALE SFORZO DI EVANGELIZZAZIONE ATTRAVERSO L’EMPATIA O A UNA VOLGARIZZAZIONE DEL MARCHIO PONTIFICIO? LA DENUNCIA CONTRO LE OLIGARCHIE DEL TECNOCAPITALISMO
Una delle tante facce del “Prisma Francesco” è stata quella della comunicazione. Sembra quasi un luogo comune oggi, ma Jorge Mario Bergoglio è stato il vero grande comunicatore contemporaneo di una comunità di credenti in viaggio (e in transizione).
Ora, nel corso della loro storia, con modalità naturalmente diverse, le ultramillenarie istituzioni cattoliche hanno sempre comunicato – al punto che la parola “propaganda” è nata nel loro ambito (la Congregazione de Propaganda Fide, nell’orbita del Sant’Uffizio) –, con l’inesauribile finalità di fare proselitismo; un concetto, per inciso, che il pontefice latinoamericano non sopportava affatto, e rigettava dicendo che la Chiesa «si sviluppa piuttosto per attrazione».
Insieme a Giovanni Paolo II (all’insegna di caratteristiche decisamente differenti sotto molti profili), Bergoglio è stato in tutto e per tutto l’altro formidabile performer comunicativo del cristianesimo romano entrato nella postmodernità.
Non per nulla, il suo primo atto comunicativo ha coinciso con l’autobattesimo della denominazione: un gesuita che ha assunto il nome pontificale di Francesco – come ha ricordato nel suo accorato messaggio di cordoglio il Presidente Mattarella –, e così facendo ha indicato da subito la direzione di marcia e i destinatari a cui intendeva innanzitutto rivolgere il suo apostolato.
Del resto, “nomina sunt consequentia rerum”: in tal modo, Bergoglio annunciava un magistero che voleva andare al di là dei confini (occidentali) e dei pubblici dei fedeli più abituali. Insomma, lo storyteller di una Chiesa in cammino, “in” e “di movimento” rispetto a quella del predecessore Benedetto XVI
Un approccio sicuramente dettato anche (gli uomini sono le loro biografie) dalla tempra sudamericana e dal carattere espansivo, che ne spiegano svariate espressioni assai poco ortodosse – e pure qualche infelice scivolone lessicale sul tema dell’omosessualità, ovvero (parole sue, giustappunto), della «frociaggine».
Il «Papa dei poveri» – etichetta a volte un po’ abusata, ma che rende la sostanza delle cose – ha fatto dell’autenticità e della schiettezza le cifre comunicative per eccellenza del suo pontificato proprio nella convinzione che quelle fossero le strade per (sempre parole sue) «andare nelle periferie» arrivando ai più deboli, bisognosi della consolazione della religione e del supporto della Chiesa. E, più in generale, essendo persuaso che un linguaggio diretto e una comunicazione popolare (e pop), di cui è stato un maestro insuperabile, consentissero di parlare al cuore di tutti, ossia di un popolo concepito come organismo unitario, ma deprivato della sua armonia per cause esterne, nel quale alcuni osservatori hanno ravvisato i segni di una visione populista (di nuovo, le radici argentine).
Di qui, la denuncia dei rischi delle piattaforme social e del negazionismo climatico e la predicazione contro l’individualismo iperconsumistico ed edonistico e le oligarchie del tecnocapitalismo. Come pure la sua polemica di fondo verso tutto ciò che il trumpismo incarna, e le tensioni con una certa gerarchia ecclesiastica Usa di orientamento reazionario – fino allo scherzo del destino del suo ultimo incontro con il “viceTrump”, il neoconvertito J.D. Vance. E, ancora, l’invito, contenuto nel suo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali del gennaio di quest’anno, a «disarmare la comunicazione» generatrice di odio, rancore e incivility.
Francesco è stato un talento naturale nel comunicare, una forza tranquilla capace di ascoltare e parlare alle persone del proprio tempo (anche al telefono o al Festival di Sanremo). In grado di ripetere autorevolmente cose normali, nel più puro spirito evangelico, e narrare microstorie quotidiane e di vita vissuta
(che diventavano gli equivalenti di una parabola).
(da La Stampa)
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