CASSAZIONE, IL NODO CONCUSSIONE, MA PER I GIUDICI DI MILANO IL PROCESSO NON CAMBIERA’
COSI’ LA CASSAZIONE RILEGGE IL RUBY-GATE
I giuristi ci hanno versato fiumi di inchiostro. Adesso la parola “fine” sulla querelle tra concussione e induzione — il famoso reato diviso in due dall’ex Guardasigilli Paola Severino — la mette la Suprema Corte.
Il Ghota della Corte, le Sezioni unite, la cui parola conta più di una legge. Per un pomeriggio esaminano il caso e decidono che c’è sempre concussione.
M solo il pubblico ufficiale «limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario».
All’opposto c’è induzione quando si verifica «una pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio»
Ovviamente tutti gli occhi, alla luce di questa massima letta nell’aula magna della Cassazione quando sono passate da poco le 22, sono puntati su Berlusconi e sul processo Ruby, dove il Cavaliere è stato condannato a 7 anni dal tribunale di Milano, 6 per concussione e uno per prostituzione minorile.
La procura invece aveva chiesto 6 anni, 5 per induzione e uno per prostituzione.
Il tribunale era stato più severo della procura. Alla luce della Cassazione la prima impressione a Milano è che “vinca” l’interpretazione del tribunale.
Infatti l’allora premier, quando telefona al funzionario di polizia Pietro Ostuni per raccomandargli Ruby in quanto nipote di Mubarak, «limita radicalmente » la sua «libertà di autodeterminazione ».
Lo fa in forza del suo potere e della sua implicita potenzialità di minaccia.
Di certo la figura di Ostuni non è quella del destinatario «con un margine significativo di autodeterminazione», nè tantomeno egli poteva conseguire «un suo indebito vantaggio ».
Quindi, se questa è l’interpretazione corretta della massima della Cassazione applicata al processo Ruby, ciò significa che la sentenza di primo grado, di cui i giudici stanno ultimando le motivazioni, regge.
Comunque, ci sono anche fonti della Cassazione, citate dall’Ansa a fine udienza, che danno una lettura diversa, una decisione che aiuterebbe Berlusconi.
Collegio al top. Presidente Giorgio Santacroce, il primo magistrato della Cassazione, relatore Nicola Milo, i giudici Amedeo Franco (il relatore del caso Mediaset), Maurizio Fumo, Giovanni Diotallevi, Giovanni Conti, Margherita Cassano, Giuliano Ferrua, Rocco Blaiotta.
Alle spalle 37 sentenze della sesta già valutate dal Massimario. Una serie di dubbi interpretativi su che cosa è concussione e che cosa è induzione.
Una relazione di 70 pagine di Raffaele Cantone, l’ex pm anti-camorra che adesso lavora al Massimario della Corte. Tre letture possibili. Sottomano il caso Maldera più otto, altrettanti ispettori e consulenti del lavoro pugliesi che minacciavano denunce a imprenditori che usavano lavoratori in nero.
Per loro, accusati di concussione, la Suprema corte riconosce invece l’induzione perchè potevano anche «non pagare» e incassare un indebito vantaggio.
Tra i difensori Francesco Paolo Sisto, il presidente Pdl della commissione Affari costituzionali della Camera, convinto della distinzione tra i due reati e della loro «gradualità ».
Era stato durissimo, alle 12, il procuratore generale Vito D’Ambrosio che sullo “spacchettamento” della concussione ha detto testulamente: «Il legislatore ha posto più problemi di quanti ne voleva risolvere».
Ancora: «Non c’è un filo di Arianna». Poi: «Non si può essere bocca della legge se la legge ha più voci». Dopo un’ora di requisitoria, D’Ambrosio chiede di contestare la concussione agli imprenditori, richiesta poi non accolta.
Del nuovo reato “creato” da Severino dice: «Si resta in un campo vago ». Si chiede quale sia stata «la ragione profonda» dello spacchettamento. Risponde: «È fasulla l’interpretazione di chi dice che le leggi internazionali e l’Europa ci hanno chiesto di eliminare la concussione».
Che D’Ambrosio ritiene contestabile «tutte le volte che il pubblico ufficiale limita in maniera pesante, o comunque apprezzabile, la libertà del soggetto che vuole piegare ai suoi obiettivi, indipendentemente dalla prospettazione di un danno anche se esso è previsto dalla legge»
Il collegio, alla fine, rimette in piedi il reato originario, una concussione forte che si verifica sempre quando la minaccia del pubblico ufficiale non lascia alcun margine di scappatoia alla sua vittima.
Era la vecchia concussione e resta così.
Il nuovo reato inventato da Severino, molto contestato per il sospetto che, come nel caso di Filippo Penati per il processo di Sesto, potesse azzerare i vecchi processi, si delinea come una concussione «non irresistibile» in cui la vittima può anche dire di no.
Resta il problema della sua punibilità – 3 anni – che dipenderà , a questo punto, dal suo grado di arrendevolezza.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply