LETTA-RENZI STAFFETTA AVVELENATA, POSSIBILE ADDIO AL PD .
L’EX PREMIER NON GUARDA IN FACCIA IL SUCCESSORE E TWITTA: “STACCO”
Così furioso da sembrare assente. La mano destra (che stringe poco) concessa a Matteo Renzi e il piede avanti per la fuga.
Venti secondi con lo sguardo verso il pavimento, corrucciato, nervoso e, chissà , vendicativo.
Quando Enrico Letta consegna la campanella, che fa suonare il Renzi I, il segretario democratico abbozza un sorriso, talmente forzato e plastico che le guance s’arricciano in rivoli di rughe.
L’ex presidente non biascica una parola, forse avrà sussurrato un simbolico “arrivederci” o un sospettoso “auguri”, neanche i collaboratori riescono a decifrare le sensazioni di Enrico che, mai commosso e mai loquace, saluta i dipendenti di Palazzo Chigi e lascia Renzi e ministri con un applauso di malinconia.
E si rifugia in un dilemma, ancora non risolto, che l’accompagna in viaggio a Londra con la famiglia: che fare, adesso, lasciare il Partito democratico? Non è escluso, anzi: è probabile.
L’agenda di Letta s’incrocia con l’insediamento di Renzi: martedì, giorno di fiducia a Montecitorio, il deputato Enrico Letta sarà presente. Così ha promesso.
Ma consegna una inequivocabile precisazione ai suoi interlocutori, una precisazione instillata di veleno per il successore: “Mi sento un uomo che serve le istituzioni, voterò sì al governo di Renzi perchè sostenuto da una maggioranza che conosco bene, la mia”.
L’ex vicesegretario democratico, che da ex democristiano compensava gli ex comunisti al vertice, non ha dimenticato la sfiducia in una pubblica direzione Pd e, soprattutto, non ha rimosso le conversioni miracolose di numerosi deputati e senatori. La corrente lettiana è ormai un ruscello, prosciugato: restano Francesco Boccia, Paola De Micheli, Guglielmo Vaccaro, Francesco Russo, Anna Ascani, Marco Leoni e Alessia Mosca.
Una minoranza insufficiente per muovere una battaglia interna. Ma le baruffe sono automatiche .
La senatrice (renziana) Rosa Maria Di Giorgi ha definito “inqualificabile” il comportamento di Letta e il deputato (lettiano) Boccia ha chiesto a Renzi di censurare la collega.
Sarà paradossale, eppure Di Giorgi e Boccia condividono la stessa tessera di partito. E ancora. Sarà un particolare, ma non è cas
uale, non è distrazione: il profilo Twitter di Letta recita “deputato della Repubblica”. Per esclusione: non un deputato democratico, non un politico che segue e insegue il segretario Renzi.
Non occorre una disquisizione accademica per confermare che Letta, in pubblico e in privato, s’allontana da quel Partito democratico che ha contribuito a fondare.
E l’ultimo messaggio, sempre su Twitter, scatena ipotesi e desideri: “Ora stacco via da Roma per prendere le migliori decisioni. Futuro”. In questa settimana di isolamento volontario, telefonino in disparte e (quasi) zero contatti politici, Letta ha riannodato le tappe di un esecutivo di larghe intese durato dieci mesi.
Non vuole usare improperi, ma l’ex premier è convinto di aver subito “un’operazione di palazzo”.
Per non cadere in revisionismo da complotti — come ovvio al mondo terracqueo — il pisano Letta indica il fiorentino Renzi, e il tradimento che ha generato la staffetta.
E non è riuscito a fingere un sentimento di amicizia per il successore, non voleva e non poteva. Ha attraversato il cortile di Palazzo Chigi con la faccia all’insù, stavolta, per il commiato ai funzionari e ai dipendenti affacciati; s’è portato il pugno al petto e s’è liberato da qualsiasi repulsione renziana: spontaneo e coreografico insieme. Sarà uomo di Stato, Letta, ma non ha risparmiato nulla a Renzi: doveva ricambiare, dicono. Quando torna a casa per fare i bagagli con la moglie e i bambini, dopo aver completato le formalità per i 300 giorni di governo, il primo gesto è chiaro: spegne il cellulare. Semplice.
Come sbolognare la campanella a Renzi e giurargli opposizione eterna.
Carlo Tecce
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