OTTANTA EURO, MA NON PER TUTTI: SGRAVI A SCALARE PER REDDITI DAI 25.000 AGLI 8.000 EURO
I TAGLI INDIVIDUATI FINORA NON SUPERANO I 4 MILIARDI, BEN LONTANI DAI 10 PROMESSI DA RENZI
Sul tavolo di Matteo Renzi ci sono tre opzioni. La decisione finale su quale scegliere non è stata ancora presa.
Poichè una parte cospicua degli sgravi alle famiglie dovrà venire dalla riduzione delle spese, tutto dipende dai numeri che Carlo Cottarelli alla fine valuterà possibili almeno per quest’anno.
Ma al Tesoro e a Palazzo Chigi tutti scommettono che alla fine la decisione finale cadrà sulla ipotesi più prudente: uno sgravio crescente per tutti i redditi fra gli ottomila e i venticinquemila euro e un tetto massimo di 80 euro.
La ragione della scelta è intuibile: i tagli individuati finora non superano i quattro miliardi di euro, uno in meno delle previsioni più ottimistiche.
Verranno da una stretta sugli acquisti pubblici – anche sulla spesa per attrezzature sanitarie e farmaceutica – una sforbiciata ai cosiddetti contributi alle imprese, un taglio del 10% agli stipendi più alti dei dirigenti pubblici.
Per avere il dettaglio occorrerà comunque attendere almeno un paio di settimane. Perchè prima della riforma fiscale e dei nuovi sgravi il governo deve tassativamente presentare all’Europa i suoi obiettivi di medio termine, ovvero il documento di economia e finanza (Def) e il programma nazionale delle riforme (Pnr).
«Se non scriviamo nero su bianco gli obiettivi triennali della revisione della spesa Bruxelles non dirà mai sì al finanziamento degli sgravi con coperture diverse», ammette una fonte di governo che chiede di non essere citata.
Fra le ipotesi c’è quella di computare i risparmi dalla minore spesa per interessi dovuta al calo dello spread, oppure parte dei proventi che verranno dal rientro dei capitali all’estero.
Quanto più il governo vorrà ottenere in flessibilità sul rispetto dei vincoli europei, tanto più dovrà risultare convincente sugli obiettivi di rigore nel medio periodo.
Per questo il viceministro Enrico Morando sta cercando di convincere Renzi e Padoan a scrivere nero su bianco nel Def che d’ora in poi le nuove spese dovranno essere coperte solo da corrispondenti riduzioni di spesa.
Un vincolo che per quest’anno avrebbe valore politico, mentre dal prossimo, in applicazione del fiscal compact, diventerà un vincolo giuridico.
«In ogni caso non seguiremo la strada scelta dalla Francia», sottolinea la fonte anonima del governo.
«Non è nostra intenzione chiedere deroghe sul deficit, semmai sul percorso di rientro del debito secondo lo schema del fiscal compact». Il 3,1% del deficit «non lo faremo. Punto», conferma Renzi ospite di Lilli Gruber.
Il premier ieri ha avuto una lunga riunione a Palazzo Chigi con Padoan per definire i dettagli del documento. Una delle decisioni più importanti da prendere è dove fissare l’asticella della crescita di quest’anno.
I documenti ufficiali del governo Letta stimano ancora un prodotto positivo dell’1,1%, molto di più dello 0,6-0,7% ipotizzato da tutti gli organismi internazionali.
È ormai deciso che sarà indicato lo 0,8%.
Gli altri due provvedimenti che il governo sta mettendo a punto e che arriveranno prima della riforma fiscale sono quelli che puntano ad accelerare il pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione e il taglia-bollette al quale sta lavorando Federica Guidi.
In entrambi i casi ci sono resistenze da superare: per il primo restano da definire diversi punti con le banche, l’altro deve fare i conti con le resistenze dei produttori di energia rinnovabile, i quali dovranno accettare una riduzione lineare di almeno il 10% di quanto avuto finora, l’unica via per ottenere una riduzione della bolletta almeno per le imprese, tuttora la più alta d’Europa.
Alessandro Barbera
(da “La Stampa“)
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