INGLESI E SCOZZESI: FLEMMA CONTRO CUORE PER DUE NAZIONI VERE
TRA DIECI GIORNI POTREBBE NON ESISTERE PIU’ IL REGNO UNITO
Fa impressione pensarci: tra dieci giorni potrebbe non esistere più il Regno Unito. Nè la Gran Bretagna.
Resterebbe una Grande Inghilterra, ma sarebbe un’altra cosa. Metà dell’attuale territorio britannico potrebbe staccarsi da Londra.
Un’eventualità che, a giudizio di molti, gli inglesi non hanno preso molto sul serio. Di sicuro hanno fatto poco per mostrare il loro amore per l’Unione che resiste dal 1707.
Giusta flemma o calcoli sbagliati: tra poco vedremo. Bisogna dar atto ai britannici di aver affrontato un passaggio storico con grande civiltà .
Gli Unionisti hanno parlato al cervello e al portafoglio. Gli Indipendentisti si sono concentrati su quanto sta nel mezzo: fegato e cuore.
Ha riassunto The Economist (favorevole all’Unione): «La campagna per il “no” è una macchina, la campagna per il “sì” è un carnevale».
Ma gli scozzesi non sono inglesi. La festa potrebbe vincere sulla testa.
Inghilterra e Scozia. Chi le conosce sa che sono due nazioni vere.
Due storie, due bandiere, due nazionali di calcio, due caratteri, due modi di vedere se stessi e il mondo.
Solo in Belgio e in Spagna, forse, esistono differenze così marcate all’interno dello stesso Stato. In Italia, certamente no.
Se non siamo arrivati neppure vicini all’indipendenza della Padania è perchè la Padania non è mai esistita, se non nelle fantasie postprandiali di Umberto Bossi.
La Scozia esiste e resiste. Le pressioni per restare all’interno del Regno Unito sono state poco visibili, per nulla passionali, ma robuste.
La proposta, da parte del governo centrale, di mantenere il controllo sulle entrati fiscali è una tentazione difficile da respingere.
Ma potrebbe non bastare, come suggeriscono i sondaggi in queste ore.
Il cuore sente ragioni che la carta di credito non conosce. Saranno le emozioni a decidere questa partita storica (per una volta l’aggettivo non è abusato).
Per uno Stato che della propria tranquilla razionalità fa un punto d’onore, potrebbe scattare la legge del contrappasso.
Comunque vada, in Scozia una minoranza appassionata è riuscita a scuotere una maggioranza compassata.
È impressionante ciò che è accaduto tra gli elettori laburisti.
Secondo i sondaggi, quelli favorevoli all’indipendenza sono passati in poche settimane dal 18% al 30%.
Sorprendente? Solo chi non è mai stato in Scozia, e non conosce uno scozzese, poteva credere che questa decisione potesse ridursi a un’approvazione compassata dello status quo.
Orgoglio e rivendicazioni, entusiasmo e timore, superiorità e inferiorità : tutto si mescola, quando si vive a lungo insieme, o molto vicini.
Viaggiando ho ritrovato sentimenti simili in Portogallo, condizionato dalla Spagna; in Nuova Zelanda, schiacciata dall’Australia; in Uruguay, la «provincia orientale» legata all’immensa Argentina.
Ma questi tre Paesi sono indipendenti. La Scozia può decidere se diventarlo.
Immaginate le discussioni nelle case di Edimburgo, di Glasgow e di Aberdeen, in queste ore.
È come se la storia, dopo oltre tre secoli, tornasse a bussare alla porta. Bisogna aprire, e dirle qualcosa. Non si può ignorare e lasciare là fuori.
Nessuno, a questo punto, sa come andrà a finire. Si può solo tirare a indovinare.
Dovessi scommettere una birra in un pub, direi: vinceranno, di misura, i «sì» all’indipendenza.
Il cuore oltre l’ostacolo. Poi non sarà facile, certo.
Ma ci sarà l’Europa dei popoli ad aiutare. Perchè gli scozzesi, come gli inglesi, sono europei. Ma, a differenza di questi ultimi, lo sanno.
Beppe Severgnini
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