BERSANI: “NON E’ MATTEO CHE PUO’ CHIEDERE LEALTA'”
“NON SI POSSONO ACCETTARE PREDICHE DA OGNI PULPITO”
«La lealtà al governo è fuori discussione». Pierluigi Bersani parla di lealtà , come ha già fatto Renzi nell’Assemblea dem di domenica.
L’ex segretario non c’era; colpa di un mal di schiena. Ma torna ieri da Piacenza a Roma per la presentazione del libro di Luigi Agostini (“Ripensare la sinistra”) e non risparmia critiche al premier.
A cominciare dalla battuta sulla lealtà , appunto: «Non da tutti i pulpiti si possono accettare prediche… il Pd deve essere un partito organizzato e plurale, senza padroni».
È la prima stoccata. Ed è anche il segnale che la tregua natalizia che ha concluso la riunione del “parlamentino” democratico, è in realtà assai fragile. La sinistra dem non s’arrende.
Basta vedere gli emendamenti all’Italicum, la nuova legge elettorale, presentati dai bersaniani al Senato.
C’è quello contro i capilista bloccati, sottoscritto da una trentina di senatori dem e l’altro — primo firmatario Miguel Gotor, a seguire altre 33 firme, praticamente un terzo del gruppo del Pd — che prevede il sistema per quote, cioè il 25% di candidature bloccate e il restante 75% con le preferenze.
«Ma non facciamo per favore psicodrammi sulle minoranze… », esorta Bersani e ricorda l’episodio che ha portato i dem sull’orlo della rottura, perchè in commissione alla Camera la sinistra del partito aveva votato contro i 5 senatori nominati dal capo dello Stato.
«Cos’è, li vogliamo ammazzare? Nei paesi democratici le Costituzioni non le fa il governo. Di riforme ce n’è da fare, nessuno frena ma bisogna migliorarle dove si può. Il Patto del Nazareno con Berlusconi non è obbligatorio, ma ampiamente facoltativo anche per i numeri».
Ecco quindi che sul nuovo Senato e sulla legge elettorale la battaglia della minoranza dem è solo all’inizio, Renzi lo sappia. «L’Ulivo ad esempio, ha fatto il Mattarellum che è meglio del Porcellum e, secondo me, un filino meglio dell’Italicum », ricorda Bersani.
Anche questa è la risposta alle critiche mosse da Renzi alle troppe nostalgie uliviste, che hanno però dimenticato la palude in cui il centrosinistra si mise.
Bersani non ci sta. «Siamo tutti figli dell’Ulivo, tutti quanti anche Renzi lo è. L’Ulivo ha avuto la magia di mettere insieme diverse culture riformiste nel reciproco rispetto e dignità , non dividendo tra innovatori e cavernicoli ».
Un’altra frecciata a Renzi. Un appello affinchè il Pd sia un partito di sinistra, figlio appunto dell’Ulivo e della distinzione tra il berlusconismo che ha imperato per oltre dieci anni e i tentativi prodiani di cambiare il paese.
L’ex segretario del Pd — che del governo Prodi fu ministro — ricorda le “lenzuolate”, le sue riforme di politica industriale. Non gli piace il “grillismo” del premier che fa di tutta l’erba un fascio.
Del resto Prodi ha incontrato Renzi a Palazzo Chigi. «Bene, così il premier avrà avuto una visione più vera sugli ultimi 20 anni», ironizza il bersaniano Alfredo D’Attorre.
Ma è la partita intorno al Colle, per la successione a Napolitano, che quell’incontro apre.
Al Pd spetterà indicare un nome, utilizzando il “metodo Ciampi”: è la riflessione di Bersani.
Ai cronisti che gli chiedono cosa deve fare Renzi per evitare i 101 “franchi tiratori” che impallinarono Prodi, Bersani risponde con una battuta: «Renzi trovi parecchi Bersani in giro». Trovi, in pratica, dirittura di comportamento. Sul Quirinale però non si sbilancia: «Mi fa molto piacere, davvero che si siano incontrati. Non chiedete a me se possa correre di nuovo Prodi per il Colle», si sottrae.
La controffensiva dell’ex segretario comunque è a 360 gradi.
La politica non può ridursi a semplice comunicazione, deve essere altro. Insiste sull’autonomia e la necessità di guardarsi in faccia: «Bisogna essere un collettivo. Chiedo troppo?».
Racconta di quando disse a Giuliano Ferrara che un partito non può essere liquido: «Se è liquido, facciamoci una bella bevuta e non se ne parli più…».
Replica a stretto giro del ministro Maria Elena Boschi: «Sì, serve confrontarsi, ma anche comunicare bene, mentre il Pd precedente considerava di destra la comunicazione ».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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