LA MELONI COME PIPPO BAUDO: “LA DESTRA SONO IO”
STOP AL NUOVO PARTITO, MEGLIO RESTARE A FARE LA BADANTE DI SALVINI E BERLUSCONI
È il ritorno dei “colonnelli”, dieci anni dopo. Gasparri, La Russa, Matteoli, stavolta tornati insieme per un solo giorno, giusto per sconfiggere (ancora una volta) il fantasma di Gianfranco Fini tornato ad aleggiare dietro il progetto di rifondare la destra.
Con lui, alla resa dei conti finale nell’assemblea della Fondazione An, il grande perdente è l’alleato Gianni Alemanno.
La due giorni decisiva sui destini del simbolo di An e dei 180 milioni di euro di patrimonio ( 50 in liquidità , il resto in cento immobili) ha un esito a sorpresa.
Lo scrutinio di ieri sera all’hotel Midas si chiude con la vittoria della mozione targata Fratelli d’Italia ( Meloni-La Russa) col sostegno dei forzisti Gasparri e Matteoli, appunto, che ha incassato 266 voti su 490 votanti, contro i 222 dei cosiddetti “quarantenni”, dietro i quali si muovevano appunto gli uomini di Fini.
Da Italo Bocchino a Roberto Menia, ma in sala si sono visti ieri anche la storica segretaria dell’ex leader, Rita Marino, e Flavia Perina, oltre ad Aleamanno e ai suoi, appunto.
Risultato: il partito della Meloni potrà continuare ad utilizzare il simbolo di An, ma si impegna a convocare un nuovo congresso, che si terrà prima delle amministrative.
E i soldi? Chi mette le mani sul bottino? Nessuno. O meglio, tutti.
Le decine di milioni di euro potranno essere utilizzati solo per finalità culturali, come in teoria è accaduto finora. In nessun modo la Fondazione potrà promuovere invece la nascita di un nuovo partito.
Trentasei ore per sancire ancora una diaspora, insomma, la lite a destra che non finisce mai e che può competere ormai solo con quella socialista.
Mozioni, contro mozioni, riunioni notturne e scintille.
Come quando nella notte tra sabato e domenica le due “fazioni” in lotta sono a un passo dall’accordo, La Russa smussa il suo documento di mediazione per convincere Alemanno e i finiani a rinunciare al loro.
Finchè alle 4,30 del mattino Menia rientra in sala dopo una telefonata che i bene informati (o i maliziosi) attribuiscono proprio a Gianfranco Fini e dice che loro rinunciano all’accordo, vogliono andare alla conta.
Sono convinti di spuntarla e di far proprio l’intero piatto. Si va al muro contro muro.
Dal palco del Midas in mattinata La Russa accusa i sei quarantenni firmatari della mozione di essere dei “manichini”, in sostanza dei prestanome dei veri registi dell’operazione, Fini e Alemanno.
L’ex sindaco di Roma perde le staffe, si alza e va a urlare sotto la tribuna, «non ti devi permettere di nominarmi». Seguono scuse e chiarimenti, ma il clima resta tesissimo.
Parlano Gasparri e Matteoli, ritirano la loro mozione pur di schierarsi con Fdi e sconfiggere Fini. Così pure Andrea Ronchi.
Giorgia Meloni prevede la sconfitta, non si presenta nemmeno e a ora di pranzo tira bordate dall’esterno: «La mia destra non è quella di Alemanno e di Fini e di chi vuole dilaniare per avere un ruolo».
Poi la votazione alle 19 e il colpo di scena. La Russa gongola: «Tocca a noi di Fdi adesso riaggregare la destra, faremo un congresso, cambieremo anche nome se necessario, il simbolo resta nella nostra disponibilità “.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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