PSICODRAMMA PD IN CAMPIDOGLIO: “TENGO FAMIGLIA”
DEI 19 CONSIGLIERI “DIMISSIONATI” SOLO 5-6 RIENTRERANNO IN COMUNE… IL GIORNO DELLA COMPRAVENDITA
“Posso entrare per l’ultima volta qui in Campidoglio?”. Sono le 16 in punto quando il consigliere Pd, Orlando Corsetti, chiede ai vigili urbani, che stazionano davanti l’ingresso di palazzo Senatorio, se gli consentono il passaggio.
E loro, bonariamente, in quest’atmosfera da fine impero su Marte, rispondono: “Ultima volta per questa legislatura… alla prossima ci rivediamo”.
Il terrore, ma anche la certezza, di quasi tutti i 19 consiglieri del Pd è proprio quello di non tornare più a sedere nell’aula Giulio Cesare.
Con questo stato d’animo i dem hanno firmato la lettera di dimissioni, con la quale hanno messo fine, insieme ai gruppi di opposizione, all’era Marino. Le firme sono in tutto 26.
I gradi di separazione, dei consiglieri capitolini, dal sindaco ormai decaduto, ma soprattutto dalla propria carriera politica ormai incertissima, sono stati i seguenti in queste ore difficilissime.
Prima il coro del “dimettiamoci tutti”. Poi le litanie del “tengo famiglia”, ossia “mi devo in qualche modo salvare e mi devono dare qualche cosa in cambio del mio sacrificio”. E infine, appunto, il sacrificio.
Che per quasi tutti loro non prevede ricompense e contropartite. I calcoli che hanno fatto dicono, più o meno, che dei 19 posti Pd in consiglio comunale, dopo le prossime elezioni, ne resteranno 5 o 6.
“Ma non è vero”, cerca di rincuorare la truppa allo sbaraglio, la super orfiniana, Giulia Tempesta, che aggiunge: “Il nostro partito avrà tempo per recuperare e qui dentro ci ritroveremo di nuovo tutti insieme appassionatamente”.
Insomma, malumori, psicodramma, dubbi su dubbi, hanno caratterizzato i due giorni più lunghi dei consiglieri, che hanno ormai rinunciato al seggio.
Sono i giorni della detronizzazione del sindaco ma anche quelli della fine, per molti, della propria carriera politica.
Giovedì sono servite sette ore di riunione. Anzi, sette ore di urla prima di capire cosa fare. Dimissioni di massa o sfiducia? “Non possiamo votare con il centrodestra o con Gianni Alemanno. E neanche dimetterci in massa con loro”, andava dicendo, per esempio, Dario Nanni, colui che, con la morte nel cuore, almeno così viene descritto dai colleghi, si è lasciato convincere.
A lui rispondono i duri e puri, i fedelissimi alla linea Orfini: “Non importa con chi, l’importante è che lo mandiamo via”.
Marino chiede, tramite ambasciatori, un incontro ai gruppi di maggioranza. “Ascoltiamolo, diamogli questa possibilità “, dice timidamente qualcuno.
Lo psicodramma va avanti. Si aggiungono altri dubbi. Si susseguono gli interventi di chi vorrebbe dare al sindaco la possibilità di riferire. Ma nulla di fatto.
I più vogliono staccare la spina il prima possibile: “Non esiste. Neanche per idea. Basta”. Il sindaco ritira le dimissioni e formalmente è di nuovo in carica. “E adesso dimettiamoci tutti. Non lo vogliamo più vedere”, è la decisione finale.
Parte così la caccia ai voti grillini. I dem provano a sondare gli umori, ma si scontrano con un muro: “Marino deve riferire in Aula, non ci prestiamo ai vostri giochetti”. Telefonate su telefonate.
Si prova la carta Alfio Marchini. “L’importante è che l’esperienza fallimentare della giunta Marino finisca il prima possibile”, dirà il capogruppo Alessandro Onorato: “Lo facciamo per il bene di Roma”.
Alfio Marchini però è a Milano, quindi bisognerà aspettare le 15 del giorno successivo per poter formalizzare le dimissioni. I vertici del partito speravano di chiudere la partita già giovedì sera.
La notte, prima della fine, sarà lunghissima. Bisogna blindare tutti ed evitare ripensamenti. Nel mezzo c’è anche un incontro tra Matteo Renzi e il commissario del Pd romano.
L’appuntamento per il giorno seguente è alle 13 in via del Tritone, nella sede del gruppo consiliare. Adesso bisogna passare dalle parole ai fatti. E quindi, arriva il notaio per formalizzare e garantire la validità delle firme.
Orfini non può permettersi errori di alcun tipo. I dem si presentano alla spicciolata. Occhi bassi e musi lunghi.
Qualcuno si concede ai cronisti e ostenta serenità . È la presidente dell’assemblea, Valeria Baglio: “Stiamo compiendo un atto, firmeremo le dimissioni, segno di unità di un gruppo. Ognuno di noi ha riflettuto su una situazione complessa e con grande senso di responsabilità abbiamo pensato a Roma. Da oggi siamo pronti a guardare al futuro ed a provare a riconsegnare a Roma l’orgoglio che merita”.
Nella sede dei gruppi arrivano anche i consiglieri Roberto Cantiani dell’Ncd e Daniele Parrucci del Centro Democratico.
Si arriva a quota 26 con i consiglieri della lista Marchini e con le firme di Ignazio Cozzoli e Francesca Barbato del movimento politico che fa capo a Raffaele Fitto e di Svetlana Celli della Lista Marino.
Il notaio prepara l’atto e lo fa firmare in Campidoglio, dove i consiglieri nel frattempo si sono spostati e sono entrati per l’ultima volta.
Marino è nella stanza accanto, nel bunker espugnato.
(da “Huffingtonpost”)
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