IL FLOP DEL PIANO CARCERI: SOLO 4.000 NUOVI POSTI INVECE DEI 12.000 PROMESSI
DEI 462 MILIONI ASSEGNATI, SOLO L’11% E’ STATO SPESO IN 4 ANNI, MENTRE I PENITENZIARI CADONO A PEZZI
Assegnati: 462 milioni e 769 mila euro. Spesi: poco più di 52. Percentuale di utilizzo: solo l’11,32 per cento in 4 anni.
Risultato: bocciatura senz’appello per i commissari straordinari che dal 2010 al 2014 hanno gestito quel piano carceri che, secondo le promesse del ministro Alfano, avrebbe dovuto risparmiare ai detenuti italiani l’onta di vivere in un sovraffollamento che nel 2013 la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha addirittura definito inumano e degradante, al limite della tortura.
La Corte dei Conti non fa sconti a nessuno.
E in una relazione diffusa a metà ottobre mette nero su bianco che gli interventi immobiliari finanziati dallo Stato, invece di creare 11.934 posti detentivi come previsto, ne hanno realizzati soltanto 4.415, «che entro il 2016 dovrebbero raggiungere il totale di 6.183 (pari al 51,81 per cento delle previsioni)». Insomma, un flop.
SALVA ITALIA
A salvare l’Italia dall’ennesima condanna della Cedu, che proprio nel 2013 ci aveva pesantemente censurato dandoci un anno di tempo per adeguarci agli standard minimi dell’Ue e garantire ai reclusi uno spazio vitale minimo di 3 metri quadrati, sono stati il decreto “svuotacarceri” del dicembre 2013 e le misure alternative alla detenzione votate nel 2014.
Quasi zero, invece, l’apporto dei commissari Franco Ionta, capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) e responsabile del piano carceri dal 2008 alla fine del 2012, e Angelo Sinesio, prefetto molto stimato dall’ex ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, nominato il 1 gennaio 2013 e dimissionato il 31 luglio 2014 dopo essere stato indagato dalla procura di Roma per falso e abuso d’ufficio.
AVANTI PIANO
Sono stati loro, per 6 anni, i responsabili dell’attuazione di quel piano carceri messo a punto nel 2008 da Angelino Alfano (all’epoca ministro della Giustizia), e poi approvato nel 2010 con una spesa inizialmente prevista di 675 milioni.
Un piano che prevedeva la costruzione di 11 nuovi istituti e 20 nuovi padiglioni, per un totale di 18 mila nuovi posti, ma che finora ha partorito, a quanto pare, poco arrosto e molto fumo.
A furia di taglia, cuci, aggiungi, elimina, correggi, oggi 54 mila reclusi (altri 35 mila sono in esecuzione penale esterna) si ritrovano infatti a vivere in 202 istituti di pena che fanno pena anche loro.
CONTRATTI MILIONARI
Ecco come li descrive il blog del sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, il Sappe: «Acqua che si infiltra dai tetti facendo staccare gli intonaci inzuppati», «cornicioni che si sbriciolano», «tetti che si spaccano per mancanza di manutenzione», «cessi delle celle otturati nei quali l’acqua sfonda le tubature marce causando danni in altre celle», mentre i «poliziotti penitenziari lavorano in uffici in cui si raccoglie l’acqua piovana con catini e bacinelle poste sulle scrivanie».
Un’esagerazione? Macchè. «Il nostro patrimonio edilizio si sta completamente deteriorando per un’assenza di manutenzione ordinaria», confermava Santi Consolo, il nuovo direttore del Dap, in audizione davanti all’Antimafia il 1° febbraio scorso.
«A volte si tralascia di riparare una piccola infiltrazione d’acqua proveniente dal tetto, che si può sistemare con manodopera detenuta e con poche centinaia di euro; ma poi, per effetto di questo malgoverno che si protrae per anni, bisogna intervenire con un contratto di appalto che costa milioni»
NODI AL PETTINE
Ed è questo il nodo della questione, secondo Francesca Businarolo e Andrea Colletti, deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Giustizia: «Si trascura la manutenzione ordinaria e si crea una situazione esplosiva di sovraffollamento e disagio che permette poi di distribuire appalti da centinaia di milioni in affidamento diretto, senza nessuna gara ad evidenza pubblica, con l’alibi della somma urgenza e appalti suddivisi in due parti, con costi raddoppiati e con possibile violazione delle norme antimafia».
E’ proprio quello che è successo col piano carceri. «Poco chiari, lì, sono stati pure i ribassi delle gare: in media pari al 48 per cento, hanno toccato punte del 54, cioè percentuali talmente basse da comportare il rischio di non poter ultimare i lavori.»
APPALTI SEGRETATI
Il tutto nella massima segretezza, visto che si è trattato di appalti che, per ragioni di sicurezza, sono stati quasi regolarmente segretati.
Perchè? Cosa c’è dietro? Businarolo e Colletti, insieme ai colleghi Agostinelli, Sarti, Bonafede, Ferraresi e Turco, nel maggio 2014 hanno addirittura chiesto di istituire una commissione di inchiesta per capirlo.
Non è stata neanche presa in considerazione, anche se la realtà è ormai sotto gli occhi di tutti: i lavori di completamento dei nuovi padiglioni di Modena, Terni, Santa Maria Capua Vetere, Livorno, Catanzaro e Nuoro, nonchè il carcere Arghillà di Reggio Calabria, presentano già «infiltrazioni, infissi pericolanti, strutture arrugginite, per non parlare di interruzioni dei lavori in seguito a contenziosi», scrivono i deputati 5 Stelle.
«Il nuovo padiglione del carcere di Modena, inaugurato all’inizio 2013, ha subito presentato criticità : disfunzioni incomprensibili per una struttura nuova, come il malfunzionamento dell’impianto idraulico con conseguente mancanza di acqua calda, la fatiscenza degli infissi, dei cardini delle inferriate e del sistema di apertura dei cancelli, tutti segni della cattiva qualità dei materiali impiegati per la costruzione».
NIENTE DI PERSONALE
Ancora peggio va nel carcere di Rovigo, realizzato tra il 2010 e il 2013 e mai aperto, ma costato 30 milioni di euro.
Eppure, racconta la Businarolo in un’interrogazione, in Veneto ci sono nove carceri e ospitano 2.227 detenuti, «ben 528 in più rispetto a quelli previsti dalla capienza regolamentare». Solo il vecchio carcere di Rovigo, in via Verdi, ospita 74 persone nello spazio previsto per 33. «In Italia ci sono ben 40 strutture come Rovigo, quasi del tutto ultimate ma non operative», s’indigna la deputata, «perchè molto spesso manca il personale per gestirle». Uno scandalo, questo, su cui oggi si esprime anche la relazione della Corte dei Conti: «la mancanza di agenti penitenziari non consente il completo o il miglior utilizzo delle strutture carcerarie».
TUTTO IN PROCURA
Forse hanno ragione i 40 mila agenti che in galera ci vivono tutti i giorni, insieme ai detenuti.
Forse si poteva fare di meglio che sprecare milioni nella stesura di piani faraonici, con uffici speciali, consulenti a rischio di indagine (c’è un fascicolo aperto alla procura della Repubblica di Roma), amici e clientes assortiti, tra cui spicca la figura di Andrea Gemma, attuale membro del cda Eni in quota Ncd, nonchè «stretto amico di Alfano, come rivelano i giornali, fin dai tempi dell’università », ricorda Andrea Colletti.
Infatti «è stato nominato consulente giuridico per il piano carceri nel 2010, non appena il piano è stato approvato»: 100 mila euro in due anni, aggiunge il parlamentare.
Forse era meglio fare qualche assunzione in più e magari, come sostiene la polizia penitenziaria, «dividere i 450 milioni di euro (circa) per il numero di carceri esistenti e farli ristrutturare in economia con manodopera detenuta».
Forse, a questo punto, starebbero molto meglio in tanti: le guardie e i detenuti.
E anche le tasche dei contribuenti.
Anna Morgantini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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