CHE COSA INSEGNANO LE LISTE ESCLUSE DI FASSINA A ROMA E DI FDI A MILANO
I VANTAGGI SONO TUTTI PER I CANDIDATI RENZIANI: A GIACHETTI VIENE TOLTA UNA SPINA ALLA SUA SINISTRA… A MILANO DIFFICOLTA’ IN PIU’ PER PARISI
Nella politica che guarda al dito anzichè alla luna, l’esclusione di due liste a Roma e a Milano solleva subito l’interrogativo malizioso: a chi conviene?
Risposta non difficile, i vantaggi sono probabilmente tutti per Renzi. In quanto l’assenza di Fassina nella corsa per il Campidoglio (se sarà confermata dopo i ricorsi) toglierà una spina nel fianco sinistro a Giachetti, il candidato Pd.
Stessa cosa a Milano: senza l’apporto dei Fratelli d’Italia, il campione del centrodestra Parisi avrà qualche difficoltà in più a battere Sala, sul quale punta fortissimo il premier.
Ma queste sono, appunto, le deformazioni di una certa politica che vive di calcoli un po’ mediocri, e nella presentazione delle liste vede l’occasione per qualche sgambetto agli avversari più sprovveduti.
I precedenti non mancano, sei anni fa nel Lazio venne addirittura cassata la lista del Pdl, con grande scorno di Berlusconi.
A chi guarda invece la luna, cioè la sostanza delle cose, interessa un po’ meno sapere se le firme raccolte da Fassina a Roma recavano tutte quante data e timbro, oppure se gli sciagurati presentatori del simbolo FdI a Milano hanno utilizzato moduli vecchi anzichè quelli nuovi.
Le forme certo contano, e sarà il Tar a decidere se sono state rispettate con la doverosa attenzione.
Però bisogna aver chiaro che qui si sta parlando di controlli molto terra terra, da cui nulla veniamo a scoprire circa la qualità delle candidature messe in campo, sulle persone in carne e ossa che domandano il nostro voto, e nemmeno sul minimo indispensabile per giudicarle: la fedina penale.
Sembra incredibile, eppure al tempo della cosiddetta «antipolitica», quando l’onestà viene sbandierata come principale e talvolta unico metro di giudizio, ai 150 mila candidati delle prossime elezioni Comunali la legge richiede niente più che un’autocertificazione.
Nella quali debbono dichiararsi a posto con la Severino, in altre parole di non avere avuto condanne negli ultimi 6 anni tali da renderli incandidabili. I controlli svolti ieri dalle Commissioni elettorali non sono andati nemmeno a verificare se l’autocertificazione è vera o falsa; si sono limitati a constatare che ci sia, e stop. Qualche prefettura più zelante farà una verifica, però si tratta di eccezioni. E comunque, all’applicazione della legge Severino sfuggono tutti quei casi su cui la politica si è scoperta improvvisamente ipersensibile e attenta.
Per esempio, può candidarsi chi è sotto inchiesta. Chi è stato già rinviato a giudizio. Chi risulta condannato in primo o in secondo grado (salvo essere sospeso da sindaco o da assessore, casomai venisse eletto).
Può concorrere ai parlamentini locali come a quello nazionale chiunque abbia «carichi pendenti», di cui peraltro non esiste neppure un Casellario nazionale.
Unica eccezione, i casi su cui ha posato l’occhio la Commissione parlamentare antimafia. Lì non solo verranno accertati i carichi pendenti, ma verranno chiesti lumi alle varie Procure sulle indagini in corso e perfino relazioni alle forze dell’ordine. Peccato che l’Antimafia non abbia il tempo, e nemmeno i mezzi, per battere a tappeto i 1400 comuni dove secondo la presidente, Rosy Bindi, il crimine organizzato ha la pessima abitudine di infiltrarsi.
Dunque le verifiche della Commissione si concentreranno su una quindicina di città piccole e grandi, tra cui lodevolmente Roma.
Troppo poco? Meglio che niente.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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