LA MELONI HA IL FUTURO ASSICURATO CON LA DOPPIA PENSIONE
LA CASTA: I CONTRIBUTI DI GIORGIA MELONI TRA VITALIZIO PARLAMENTARE CONTEGGIATO CON IL METODO RETRIBUTIVO E LA PENSIONE DA GIORNALISTA DEL “SECOLO D’ITALIA” IN ASPETTATIVA
Qualora diventasse sindaco di Roma, la Meloni dovrà affrontare tanti problemi soprattutto per la gestione della macchina burocratica della Capitale.
Di certo non dovrà preoccuparsi del proprio futuro: una pensione la Meloni per esempio se l’è già assicurata.
Forse due addirittura due: al vitalizio da parlamentare infatti si potrebbe aggiungere una seconda pensione da giornalista assunta al Secolo d’Italia, testata dalla quale è in aspettativa dal 2006.
Come tutti gli onorevoli e i senatori entrati nelle precedenti legislature, l’aspirante sindaco avrà diritto a “ritirarsi” prima dei comuni mortali, con il vitalizio conteggiato — per il periodo 2006-2011 — con il metodo retributivo: cioè non calcolato sui contributi versati e quindi superiore.
Inoltre, come cronista, ha diritto a chiedere una seconda pensione versando una quota di contributi all’Inpgi per tutto il periodo in cui è stata in aspettativa per il mandato parlamentare.
Il consigliere dell’Ordine nazionale dei giornalisti e componente del collegio sindacale dell’ente di previdenza di categoria, Pierluigi Roesler, ci spiega il meccanismo: «È un privilegio consentito in base a una interpretazione stravagante e inesatta dell’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori correttamente creato proprio per garantire a qualunque cittadino eletto di mettersi in aspettativa e di poter conservare il precedente posto di lavoro fino al termine del mandato, mantenendo anche una adeguata copertura previdenziale. In pratica, un lavoratore dipendente pubblico o privato eletto deputato, una volta cessato l’incarico a Montecitorio, potrà tranquillamente tornare al suo vecchio posto in azienda senza perdere il diritto all’anzianità contributiva per il periodo trascorso in Parlamento. Fino al 1999 la doppia pensione per i deputati era interamente gratis, in quanto l’intero costo dei contributi era a carico di ciascun ente previdenziale presso cui questi era già iscritto. Nel 1999, a seguito di forti campagne di protesta, si è fatto un primo passo: adesso il parlamentare in scadenza di mandato ma in aspettativa da un qualsiasi giornale, oltre al vitalizio della Camera o del Senato, ha diritto anche alla pensione da giornalista ma solo se riscatta di tasca propria la quota del 9 per cento. In tal caso, il restante 24 per cento lo pagherà per lui l’Inpgi. Questo vale anche per la Meloni».
Meloni dal 2004 al 2006 ha lavorato al Secolo versando i contributi come tutti.
Poi però, per il periodo di aspettativa parlamentare 2006-2008, ha pagato i contributi figurativi per il 9 per cento.
Inoltre può contare sui contributi che le spettano nel periodo 2008-2011 come ministro della Gioventù, equiparato a un dipendente di Palazzo Chigi.
Infine, nulla vieta a Giorgia Meloni ora di pagare retroattivamente i suoi contributi figurativi del 9 per cento per l’ultimo quinquennio con una sanzione modica e ottenere così il diritto alla doppia pensione.
C’è un solo modo per evitare questo privilegio, ovvero dimettersi dal Secolo d’Italia. Abbiamo chiesto al candidato sindaco se ha intenzione di scrivere la lettera di dimissioni o se davvero pensa di tornare un giorno al quotidiano (…): «Ho smesso di versare i contributi figurativi nel 2008, proprio per evitare di prestare il fianco ad attacchi pretestuosi. Se un domani dovessi riprendere il lavoro di giornalista, non intendo riscattare gli anni di “buco”, anche perchè questo non comporterebbe alcun vantaggio. Quindi non ho nessun problema: dichiaro pubblicamente di rinunciare al diritto di ottenere l’anzianità degli anni passati in Parlamento»
Giorgia Meloni però non la racconta tutta quando dice di avere rinunciato ai contributi figurativi dal 2008 perchè non voleva prestare il fianco alle critiche.
La spiegazione potrebbe essere un’altra: dal 2008 diventa ministro ed è inutile per lei pagare ancora l’obolo del 9 per cento all’Inpgi: i contributi per tre anni e mezzo le verranno versati dalla Presidenza del Consiglio all’Inpdap, come per tutti i ministri, nella cassa speciale C.t.p.s..
(da “il Fatto Quotidiano“)
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