L’OPPOSITORE AI PROFUGHI DOPO DUE ANNI REGALA LA SUA TERRA AI MIGRANTI
GENOVA, ERA IN PRIMA LINEA PER FERMARE LA STRUTTURA DEI CEIS, ORA LA “CONVERSIONE”
Non ci sono più buoni e cattivi, in questa storia dall’incipit cupo e dal finale capovolto: ribaltato a tal punto da sembrare una favola.
E invece non è una favola, anzi: perchè è la realtà , a riuscire sempre a spiazzare sul serio.
Tutto inizia in cima alla collina di un quartiere difficile, dove anche l’autobus fa fatica a inerpicarsi e la collina si sfarina appena piove.
È qui, in fondo alla salita, davanti a un piccolo parcheggio e proprio in faccia alle palazzine, che due anni fa il Ceis, il Centro di solidarietà di Genova, aprì Casa Bozzo: il centro di accoglienza dei migranti di via Edera, a Quezzi.
Appena la voce si sparse, i residenti organizzarono una mezza sollevazione: assemblee sotto la pioggia battente, gruppi whatsapp di cittadini terrorizzati, passeggiate notturne, liti su Facebook dove qualcuno buttava lì persino la proposta di dotarsi di dissuasori elettrici scaccia-profughi.
E poi, dopo sit-in e confronti e pure la passerella di Forza Nuova, con Roberto Fiore intervenuto in comizio, alla fine eccoli, i profughi.
Sono arrivati, al centro di una guerra già scoppiata e combattuta in loro assenza, si sono sistemati nelle stanze bianche e azzurre e nessuno ha più cercato di scacciarli.
Da quel momento sono passati due anni.
E ieri, ecco spuntare il lieto fine più azzardato che ci si sarebbe potuti inventare: uno dei più fieri oppositori della protesta, proprietario di alcuni appartamenti del quartiere, ha deciso di mettere a disposizione dei migranti un intero bosco: 1.500 metri quadri del suo terreno, che sovrasta il centro di accoglienza. In comodato d’uso gratuito al Ceis per cinque anni.
In questa fiaba vera, dunque, il bosco pieno di sterpaglie, impenetrabile da anni, potrà tornare percorribile: è l’obiettivo del Ceis, che con la collaborazione di Orto Collettivo sta già guidando i cinquanta migranti di Casa Bozzo nella risistemazione del verde. «Non ho parole per ringraziare il proprietario di questo terreno boschivo — spiega Enrico Costa, presidente del Centro di Solidarietà di Genova — spero che questa storia possa fare da apripista, da esempio, anche per altre zone della città ».
Non scriviamo il nome del proprietario, che preferisce restare nell’ombra. Ma nel quartiere è molto conosciuto.
C’è anche un paradosso, in questa vicenda cominciata con un muro contro muro: a proporsi per primo nel mettere a disposizione un terreno limitrofo a Casa Bozzo era stato il Municipio Bassa Val Bisagno.
L’idea era di recuperare l’area, attraverso il lavoro dei migranti, e metterla in sicurezza dal pericolo di smottamenti in caso di forte pioggia. L’entusiasmo istituzionale era forte, ma «purtroppo per difficoltà tecniche e burocratiche quel progetto si è arenato», ricorda Enrico Costa.
Alla fine, più che il pubblico volenteroso, potè il privato (inizialmente) riottoso. «Speriamo che in futuro diventi sempre più agevole attivare percorsi di questo tipo», sottolinea Costa.
«Inizieremo a lavorare sul terreno tra nemmeno quindici giorni — sorride Andrea Pescino di Orto Collettivo — quel bosco è in stato d’abbandono, durante l’ultima pioggia il piazzale era invaso dalla terra. Eppure, era un’area bellissima: c’era un sentiero che va fino a Pianderlino, dotato di illuminazione pubblica: ma da anni neppure i cinghiali riescono a passare di lì. Grazie ai migranti, ora ripristineremo i percorsi, mettendoli di nuovo a disposizione dei residenti».
Intanto, intorno alla casa dei migranti di via Edera si lavora già .
I richiedenti asilo hanno strappato le erbacce infestanti, messo a punto le vasche di contenimento dell’acqua, piantato quaranta alberi da frutta: meli, peri, ciliegi.
«Il nostro obiettivo — spiega Pescino — è aprire i cancelli di Casa Bozzo ogni settimana, e offrire frutta e ortaggi agli abitanti del quartiere».
(da “La Repubblica”)
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