BAGARRE SU BOCCHINO REGGENTE: LE COLOMBE MINACCIANO L’ADDIO
URSO E VIESPOLI GUIDANO LA PROTESTA, FINI SBOTTA: “LASCIATEMI SOLO”… OGGI RIUNIONE DEI SENATORI DISSIDENTI, LA SOLITA FAIDA DI CHI PENSA DI VIVERE DI RICATTI E DI POLTRONE, SALVO NON FARSI CONTARE….FINI: “QUA CI STIAMO GIOCANDO IL FUTURO DELLA DESTRA IN ITALIA E QUESTI STANNO A LITIGARE PER DUE POLTRONCINE”
Doveva essere il giorno della sua rinascita.
Nuovo partito, nuova sigla, nuova avventura.
In poche ore, Gianfranco Fini si ritrova invece risucchiato nel suo passato: nella faida dei colonnelli.
Volti e nuovi nomi, ma la dannazione è la stessa.
Stavolta col rischio di far saltare tutto per aria proprio all’atto di nascita di Futuro e Libertà . Il presidente (autosospeso) impone Italo Bocchino suo vice e reggente plenipotenziario.
Sfida le resistenze della”colombe”Viespoli, Urso, Ronchi e di alcuni senatori. Di più.
Sceglie a sorpesa il laico, ex radicale, Benedetto Della Vedova capogruppo a Montecitorio al posto di Bocchino, «per segnare l’apertura a esperienze diverse dalle nostre origini».
Ma sarà la goccia che scatenerà la “rivolta”.
Tre giorni di congresso non bastano a comporre i dissidi interni. Inconcludente perfino il lungo “caminetto” di sabato notte al Principe di Savoia.
I dissidenti non accettano «l’opa di Bocchino sul partito», nemmeno a ridosso dell’intervento di chiusura, quando Fini ha l’urgenza di annunciare dal palco il nuovo organigramma.
Il vero congresso, così, si apre alle 15 in Fiera, quando gli operai stanno già smontando la scenografia e i delegati sono partiti.
Ennesimo vertice tra i big.
Dal palco Fini era stato risoluto: «È di tutta evidenza che non potrò esercitare il ruolo di presidente, mi autosospenderò – spiega il leader alla platea – ma proprio perchè dobbiamo organizzare il partito non si devono ripetere gli errori del passato: ci vuole una governance definita».
Non si torna a correnti e colonnelli.
«Questa volta dirò di meno ma farò di più, non è pensabile un bilancino o la paralisi» è l’avvertimento.
L’idea di un coordinamento collegiale non gli piace affatto.
«Serve un ufficio di presidenza, un vicepresidente che avrà il compito di coordinare, poi un portavoce e una segreteria in cui non ci sarà un solo parlamentare» scandisce dalla tribuna.
Nel frattempo, Briguglio, Granata, Menia, Moroni e Buonfiglio hanno raccolto una quindicina di firme di altrettanti deputati per un documento di sostegno a Bocchino. Niente da fare.
E la frattura permarrà anche nel vertice post congresso.
Urso lascia la sala riunioni del retropalco indispettito.
Alle 17 Fini ha un volo privato che lo attende da Linate e sbotta: «Andatevene via tutti, lasciatemi da solo con Bocchino e Menia».
La tensione è alle stelle.
Trapela la notizia che Urso è il nuovo capogruppo, gli animi si rasserenano. Sarà un bluff.
Solo nel tardo pomeriggio, i diretti interessati apprenderanno il nuovo organigramma dal comunicato ufficiale, appena rientrati a Roma.
E scatta la rivolta dei dissidenti.
Viespoli e Urso fanno sapere di essere «sconcertati» dal tandem Bocchino-Della Vedova. E passano al contrattacco.
Il capogruppo al Senato convoca i colleghi di Palazzo Madama per oggi e preannuncia le dimissioni da presidente.
Lui, Saia, Menardi, Valditara, Pontone sono a rischio addio.
Anche Baldassarri è in rotta.
Urso indice per oggi pomeriggio una conferenza stampa. «Ho abbandonato il governo, non ho paura di rinunciare adesso auna poltroncina» dice ai suoi: non sarà portavoce.
In fibrillazione anche i coordinatori regionali di Campania, Sicilia, Piemonte, Veneto. Un terremoto.
Berlusconi gongola: «Si azzannano già per le poltrone, Fli implode».
Proprio quello che Fini avrebbe voluto scongiurare: «Vanno via? Sarebbe da irresponsabili – è il rammarico serali coi fedelissimi–Qui ci stiamo giocando tutto, siamo usciti dal governo e ora litigano per due incarichi».
Aveva detto che le correnti sono metastasi, lo ripete e non intende tornare indietro
Lopapa Carmelo
(da “La Repubblica“)
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