TRENORD FEUDO LEGHISTA: I BUCHI NELLA RETE DEI CONTROLLI
E CHI AVEVA DENUNCIATO IL MALAFFARE E’ STATO TRASFERITO
Per i pendolari lombardi si è appena chiuso un mese di passione. A giugno, la media giornaliera dei treni soppressi, che in genere si ferma all’1%, è arrivata al 3,5%. L’azienda dice che è colpa del caldo e dei treni vecchi, ma la risposta è più complessa di così e si può riassumere, alla fine, in un vizio d’origine: i manager che negli scorsi anni hanno guidato Fnm — la società per azioni di Regione Lombardia che controlla Trenord — hanno sbagliato strategie, usando spesso l’azienda per arricchirsi e per accrescere il proprio potere e la propria rete di influenze.
L’attuale ad di Trenord, Cinzia Farisè, si è ritrovata a gestire una società in grande difficoltà e — nonostante qualche miglioramento — il servizio ancora oggi fa acqua da tutte le parti
Nella seconda parte dell’inchiesta vi raccontiamo come funzionava il sistema dei controlli che avrebbe dovuto prevenire e denunciare gli episodi di malaffare.
Lo scorso aprile, Consob ha sanzionato gli ex componenti del collegio sindacale di Fnm — l’organo che aveva il compito di vigilare sul rispetto della legalità — per non aver comunicato le numerose irregolarità riscontrate nell’esercizio della propria attività .
La delibera sottolinea “una rilevante carenza strutturale nel sistema di controllo interno” di Fnm. Un sistema nel quale tutti tacevano su tutto perchè tutti, persino alcuni controllori, avevano qualche scheletro nascosto nell’armadio: tra questi Carlo Alberto Belloni, che di quel collegio sindacale era stato il presidente per oltre un ventennio. Il suo punto debole sono i telefoni aziendali.
Quando nel 2015 scoppiò lo scandalo Achille e i carabinieri iniziarono a spulciare i documenti aziendali, Belloni si “ricordò” improvvisamente di dover restituire circa 37mila euro di spese, maturate tra il 2009 e il 2014. Di questi 37 mila euro:
3.259 euro Belloni li aveva spesi in ristoranti nel 2011;
34 mila euro erano stati spesi in telefonate partite tra il 2009 e il 2014 da due utenze telefoniche aziendali che Fnm aveva dato come benefit a Belloni.
L’11 febbraio 2015, Belloni in tutta fretta rimborsa la prima tranche di spese; un mese dopo, il 12 marzo 2015, salda il conto con un assegno da 20.090 euro. Per Fnm e per la procura di Milano, che hanno puntato la lente soltanto sugli anni che vanno dal 2011 al 2014, la vicenda si chiude qui.
Ma cosa ne è stato delle spese precedenti al 2009? È possibile che Belloni non abbia saldato tutti i conti in sospeso con la società , sui quali non è mai stata fatta luce? Guardando le spese telefoniche, sembrerebbe di sì.
Durante un’intervista, Belloni aveva dichiarato di aver ricevuto la prima sim telefonica aziendale nel 2003 e la seconda nel 2011.
Tuttavia, un report di NordCom, la società che gestisce la telefonia del gruppo, racconta un’altra storia: la prima sim assegnata all’ex capo dei controllori di Fnm sarebbe stata attivata il 17 novembre del 1998; la seconda risulterebbe attiva dal 17 settembre 2003. Abbiamo chiesto a Belloni di spiegare la discrepanza tra le informazioni contenute nel documento di NordCom e quelle che ha fornito durante l’intervista: “Belloni — ha scritto il suo legale — conferma di aver pagato per intero le somme quantificate dalla società (ma le spese precedenti al 2009 non sono mai state quantificate, ndr) e che la seconda utenza, all’ottobre del 2003, era registrata come apparato accessorio a un’autovettura societaria e pertanto non era in suo possesso”. Ovvero, era un telefono fisso, piazzato su un’automobile. Ma di questo fatto non c’è traccia nel documento di NordCom.
Cosa ne è stato dei soldi spesi tra il 1997 e il 2008 dalla prima utenza e tra il 2003 e il 2008 dalla seconda?
Perchè, sul report di NordCom che Belloni non ha mai contestato, non c’è alcun riferimento all’utenza telefonica installata su un’autovettura? A quanto ammontano le spese maturate da queste due sim aziendali pagate con i soldi pubblici? Sono state restituite o sono finite nel dimenticatoio semplicemente perchè non sono mai state oggetto di un audit o di un’indagine della magistratura?
Scivoli d’oro
A controllare gli atti della società non c’erano solo i sindaci, ma anche il servizio di Internal Audit, diretto da un ex finanziere, Alessandro Orlandini, autore dei dossier più scottanti sugli amministratori della società . Il 27 aprile 2015, quando lo scandalo “spese pazze” è scoppiato e la società è ormai sotto l’occhio dei magistrati, Belloni si lamenta con il whistleblower Franzoso (che aveva lavorato col dirigente dell’Internal Audit al dossier su Achille), accusandolo di non aver adottato il presunto “metodo Orlandini”:
“Quando io dicevo che non bisognava scrivere determinate cose (nei report, ndr) — dice Belloni — non dicevo che non bisognava trovarle. Bisognava trovarle, fare come faceva Orlandini (…) che veniva dal presidente (Achille, ndr) e le mediava a suo vantaggio… che Orlandini, fosse un figlio di puttana lo sapevate”.
Per Belloni, quindi, Orlandini era a conoscenza delle malefatte di Achille, ma anzichè denunciarle, le usava per ottenere vantaggi personali.
È impossibile sapere se ciò che dice Belloni sia vero. Di certo c’è che l’ex capo dell’Internal Audit è stato al centro di una “bizzarra” risoluzione del rapporto di lavoro, cominciata con un procedimento disciplinare finalizzato a un licenziamento per giusta causa e finito con un accordo stragiudiziale accompagnato da una ricca e segreta buonuscita.
Il 18 giugno 2014 Alessandro Orlandini viene arrestato su ordine della Procura di Palmi (allora coordinata dal procuratore Giuseppe Creazzo), in provincia di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Profondo nero”, un’inchiesta su riciclaggio di denaro e frode fiscale che non aveva nulla a che vedere con Fnm, per la quale il 10 febbraio 2017 — quasi tre anni dopo l’avvio delle indagini — Orlandini è stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver compiuto “operazioni finanziarie fittizie […], operando diversi bonifici per ingenti somme di denaro in favore di società estere […] a fronte dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti”.
Quando in Fnm vengono a sapere dell’arresto del dirigente, la società chiede il verbale dell’interrogatorio reso da Orlandini ai magistrati di Palmi. Dalle carte, stando al verbale della riunione del Comitato Controllo e Rischi di Fnm del 28 luglio 2014, emerge:
che l’allora capo dell’Internal Audit sarebbe stato consapevole di aver agito “in contrasto con la propria attività lavorativa svolta in Fnm”;
che avrebbe ammesso “le proprie responsabilità in ordine alla commissione di fatti delittuosi”;
che ammette di aver compiuto una violazione del codice etico di Fnm per conflitto di interessi. Orlandini, infatti, confessa di aver “consigliato all’Ad di Ferrovie nord di firmare un contratto di consulenza con la società Geax, il cui Amministratore Unico risulta essere socio della [società ] 4Value insieme allo stesso Orlandini”. In poche parole, Orlandini si sarebbe fatto affidare una consulenza da Fnm.
Vista la gravità delle affermazioni, il Comitato Controllo e rischi decide di avviare un procedimento disciplinare in previsione di un licenziamento per giusta causa, ma poi — inspiegabilmente — la società torna sui suoi passi:
“al fine di prevenire un contenzioso giudiziale — ha spiegato Fnm — è stato riconosciuto al dott. Orlandini un importo (secretato, ndr) per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in linea con i paramentri del CCNL dirigenti industria”.
Insomma, davanti all’uomo che per anni ha gestito tutti i dossier più scottanti sugli amministratori, Fnm cambia velocemente idea: da un licenziamento praticamente ormai scritto a una buonuscita.
Il caso di Orlandini non è isolato. Anche all’ex storica dirigente affari legali di Fnm, l’avvocato Antonella Tiraboschi — un’altra che di dossier esplosivi se ne intendeva parecchio — è toccata una sorte simile: un licenziamento in tronco che si trasforma in un ricco “accordo transattivo teso ad evitare l’insorgenda controversia” e protetto da clausola di riservatezza.
Il 1° ottobre 2015 Tiraboschi viene licenziata formalmente perchè la posizione alla quale era preposta era stata “soppressa”. Sei mesi prima, nella sua ultima uscita pubblica all’assemblea degli azionisti del 2015 (un’assemblea movimentata dall’intervento di Beppe Grillo e di Stefano Buffagni, del Movimento 5 Stelle lombardo che avevano puntato il dito su alcune “discrepanze” di bilancio e gestionali), la dirigente aveva messo la società in forte imbarazzo, dicendo… la verità .
Interpellata dal giornalista del Fatto Marco Lillo sulle consulenze affidate da Fnm a Domenico Aiello, legale e uomo di fiducia di Roberto Maroni, Tiraboschi aveva confermato l’esistenza di “un incarico giudiziale” con un compenso massimo di “100 mila euro” e di un’altra consulenza “avente un tetto massimo di 50 mila euro”. Poche ore prima, lo stesso Aiello, intervistato da Lillo, aveva negato l’esistenza di tali consulenze.
Sei mesi dopo quel fatto Fnm ha chiuso un rapporto di lavoro che andava avanti da 23 anni.
All’inizio del suo mandato Gibelli aveva promesso trasparenza ma agli azionisti e al pubblico la notizia dell’addio del legale viene data con un comunicato stampa “farlocco”: “Il direttore Affari Legali del Gruppo Fnm — si legge — ha deciso, dopo 23 anni di carriera, di intraprendere una nuova attività libero-professionale aprendo un proprio studio legale”.
La storia vera è racchiusa in un verbale di accordo firmato nel novembre successivo, di cui Business Insider è entrata in possesso.
In quel verbale, “Fnm revoca il licenziamento del 1 ottobre 2015 di cui in premessa” e offre alla sua ex dirigente una via d’uscita lastricata d’oro:
“Quale corrispettivo del consenso […] allo scioglimento del rapporto — si legge — [la società ] si impegna a versare alla dirigente a titolo di incentivo all’esodo la somma lorda di euro 260 mila”, a cui vanno ad aggiungersi altri 45 mila euro tra consulenze e benefit. Il totale fa 305 mila euro lordi, a fronte dei quali l’ex dirigente affari legali accetta di rinunciare “a ogni pretesa o richiesta economica” e, soprattutto, di mantenere il silenzio su tutto ciò che riguarda la galassia Fnm.
Il conflitto di interessi
La pagina dedicata ai controlli non è ancora finita: l’ultimo capitolo riguarda Deloitte, la società che per anni ha certificato i bilanci della holding Fnm e della controllata Trenord. Accanto all’attività di controllore, Deloitte ha svolto anche quella di consulente.
Tra il 2012 e il 2016, infatti, ha ottenuto — sempre senza gara — cinque appalti da Trenord per complessivi 647 mila euro. La società le commissiona: due consulenze per “L’assistenza del modello 231” (65 mila euro una, 115 mila l’altra), una “Consulenza per vendita e assistenza” (230 mila euro), un’altra per “Prestazioni di servizi professionali” (115 mila), “Il bilancio di sostenibilità per gli anni 2014, 2015 e 2016” (altri 122 mila euro)
§La domanda è scontata: come può una società che deve certificare il bilancio di un’impresa pubblica vincere, senza gara, appalti di quella stessa impresa pubblica? Lo abbiamo chiesto direttamente a Deloitte, che ci ha risposto così:
“Deloitte & Touche S.p.A. e altre società del network Deloitte hanno svolto servizi professionali nel pieno rispetto dei principi e delle norme professionali di riferimento e in piena conformità a quanto consentito dal DL 39/2010”.
Una procedura conforme alla legge, certamente, tuttavia poco cristallina.
Il finale di questa storia riguarda chi i controlli aveva tentato di farli davvero e che, vista l’impossibilità di bonificare dall’interno, ha scelto di denunciare il malaffare alle autorità : Andrea Franzoso.
Col suo intervento, Franzoso ha permesso a Fnm di recuperare quasi 500 mila euro. Per un dipendente così, ci si aspetterebbe una promozione.
Ma in Fnm, anche in quella di Maroni-Gibelli, la normalità è merce rara. Tanto che Franzoso è stato rimosso dal suo incarico e messo nelle condizioni di non nuocere. Oggi non lavora più per Fnm.
(da “Business Insider”)
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