LAMPEDUSA INSORGE, IL GOVERNO E’ ASSENTE: VERGOGNA ITALIA
L’ISOLA E’ AL COLLASSO E NON VUOLE LE TENDOPOLI…DOVEVA ESSERE UN POSTO DI TRANSITO PER I PROFUGHI, E’ FINITO PER ESSERE UN LAZZARETTO BLOCCATO… PRIMA NON VOLEVANO APRIRE IL CENTRO, ORA COSTRINGONO A STARCI 4.000 PERSONE INVECE DELLE 800 POSSIBILI: DELIRIO MARONIANO
Poi verrà un giorno in cui di tutto questo ci dovremo vergognare.
Vergognarci di aver lasciato solo Hamid dopo 38 ore in mezzo al mare, con soltanto una felpa addosso.
Tremava come sull’orlo di morire, due infermieri l’abbracciavano ma non bastava.
Allora uno dei due – grosso e con i capelli bianchi – si è sdraiato sopra di lui e sul cemento della banchina del porto, non avendo altro per scaldarlo.
Erano le 11 di ieri mattina, altri 320 immigrati stavano sbarcando.
Li contavano in fila per tre, ordinati. E qualcuno sorrideva e faceva il segno di vittoria, se ne aveva la forza, perchè ancora non aveva capito cosa lo stesse aspettando.
Tutto già successo, già raccontato, enorme e senza risposte.
Basterebbero gli aggettivi dei compassati documentaristi della Bbc, che da una settima stanno seguendo ogni ombra di Lampedusa, per spiegare come ci vede il resto del mondo.
«Pazzesco». «Assurdo». «Disumano». «Ma perchè non viene nessuno?». Come se davvero i collegamenti con l’Italia fossero interrotti.
Succede che alle 8 di sera vengono avvistati altri otto barconi.
Si annuncia l’ennesima notte al freddo a distribuire tozzi di pane e cartoni di latte, le ultime scarpe da ginnastica made in China.
Ormai si accucciano anche sotto i rimorchi dei camion, ovunque. C’è mare, vento, freddo, tutti i ragazzi arrivano fradici.
I tunisini sono più di 4000 mila. L’isola sta esplodendo.
E mentre succede tutto questo, va in scena la manifestazione dei lampedusani contro lo sbarco della tendopoli.
Anche loro lasciati soli.
Dalle 9 di mattina bloccano la strada di accesso al porto. La stessa di Hamid. La bloccano perchè non vogliono che dal traghetto Siremar scenda il tir con sopra le prime 37 tende che dovrebbero comporre il campo di emergenza, nella zona della vecchia base militare.
Hanno il terrore che quelle tende restino qui per sempre.
Paura di giocarsi la stagione turistica.
In prima fila, davanti ai carabinieri in tenuta antisommossa, ci sono Pina, Patrizia, Angela e Maria Luisa. Sedute di traverso occupano tutta la strada. Non passa nessuno. Dietro di loro, il paese si dà il cambio.
Così la scena è paradossale: in porto continuano ad arrivare vecchie carcasse di pescatori africani, ma non parte l’unica nave italiana che collega Lampedusa all’Europa.
Il sindaco Bernardino De Rubeis cerca di condurre la trattativa.
La protesta arriva al Governo. Telefona il ministro di Grazia e Giustizia, Angelino Alfano.
Il sindaco torna indietro con delle rassicurazioni: «Mi hanno assicurato che si terrà un Consiglio dei Ministri straordinario, forse già domani.
Lampedusa sarà una zona franca, avremo sconti sulle tasse, il territorio riceverà ristoro, faranno una campagna televisiva per promuovere il turismo. Metteranno anche una nave in mezzo al mare per la prima accoglienza.
E da domani incominciano le partenze: 300 al giorno. Ma quelle 37 tende devono sbarcare».
Lo aggrediscono, quasi lo insultano: «Non ci fidiamo, basta promesse! Noi non ci muoviamo da qui».
Poi va in scena quello che viene definito il ricatto del pesce. «Se non accettiamo le tende, il traghetto non porta il nostro pescato al mercato».
Ma anche il rischio economico non fa cambiare opinione ai lampedusani. Così alle 9 di sera la situazione è la stessa delle 9 di mattina. Sbarchi e tensione.
Va detto che gli agenti stanno facendo il massimo per tenere la situazione sotto controllo, come gli operatori della Croce Rossa e di Medici Senza Frontiere.
Ma è una tragedia molto più grande di loro.
In tutta questa solitudine si perdono migliaia di storie.
Come quella di Wissem Alayat, arrivato da Parigi in cerca di suo fratello: «L’ho sentito lunedì notte al telefono, era in mare. Felice, mi ha detto di salutare papà . Che ci saremmo visti presto. Ma l’attimo dopo ho sentito delle grida, panico a bordo. Il telefono staccato».
Wissem Alayat è qui perchè ha saputo che i pescatori di Lampedusa giovedì mattina hanno raccolto due cadaveri in mare.
Vorrebbe vederli, ma finora non c’è riuscito.
Gli hanno detto che le bare sono sigillate. Si è dovuto accontentare della descrizione dei corpi stilata dal medico legale.
Uno dei due è di età compatibile, ma indossava calze per vene varicose. Wissem Alayat non ha ancora capito se sia ciò che resta di suo fratello Jaouher.
Intanto da due giorni sta riprendendo con una piccola telecamera tutto quel che vede.
Ha dormito nel centro di accoglienza come un profugo, ammassato con più di duemila persone.
«Io devo mostrare l’Italia ai tunisini – spiega -, devo andare a fargli vedere come vengono accolti qui. Loro partono convinti di trovare il paradiso, ma finiscono peggio dei cani».
Niccolo’ Zancan
(da “La Stampa“)
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