IL PAPA DICE SI’ ALLE UNIONI CIVILI PER I GAY
UNA FORTE E NECESSARIA PRESA DI POSIZIONE PUBBLICA
Che Bergoglio fosse d’accordo con le unioni civili per le persone dello stesso sesso, lo si sapeva, almeno da dieci anni. Ma certamente una presa di posizione pubblica così forte, come quella di oggi, sia pure attraverso uno strumento “liquido”, come un documentario anticipato alla stampa durante la Festa del Cinema di Roma, non era però pensabile.
Tanto che il Papa parla di diritto delle coppie gay ad avere una famiglia, e per i figli di poter frequentare la chiesa.
Bisogna ricordare che già il 19 marzo del 2013, che il giorno stesso dell’inizio del pontificato di papa Francesco, il «New York Times» ha riferito che nel 2009 e nel 2010, durante il dibattito nazionale in Argentina sui matrimoni gay, il cardinale Bergoglio dietro le quinte avrebbe cercato di favorire una soluzione di compromesso che avrebbe incluso le unioni civili per le coppie dello stesso sesso.
Una fonte di questa storia era stato stata il giornalista argentino Sergio Rubin, coautore con Francesca Ambrogetti del primo libro-intervista con Bergoglio intitolato “Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta “(Salani, Milano 2013). La versione di Rubin era stata però smentita dal direttore dell’Agenzia di informazione cattolica argentina (Aica), l’agenzia di stampa della diocesi di Buenos Aires, Miguel Woites. In particolare Woites ha negato “che il cardinale Bergoglio abbia mai favorito le unioni civili”.
Ma John Allen, il più influente vaticanista di lingua inglese, direttore del sito Crux, interpellò allora tre diverse fonti che gli avevano confermato che Bergoglio aveva lavorato, di fatto, per le unioni civili, considerandole il male minore. Tra loro “due funzionari della Conferenza episcopale argentina e almeno altri due giornalisti, Mariano de Vedia, de «La Nacià³n», e Guillermo Villarreal, secondo il quale a quel tempo era ben noto come la posizione moderata di Bergoglio fosse osteggiata dall’arcivescovo di La Plata, Hèctor Rubèn Agà¼er. Non c’erano divergenze sul fatto che occorresse opporsi ai matrimoni gay, ma le posizioni differivano sulla durezza dell’opposizione e sulla possibilità di raggiungere una posizione di compromesso sulle unioni civili. Villarreal ha descritto la situazione di stallo sulle unioni civili come l’unica votazione che Bergoglio abbia perso durante i sei anni della sua presidenza della Conferenza episcopale argentina.
«Quel voto respinse a maggioranza l’endorsement a favore delle unioni civili avanzata dall’allora cardinale.» In ogni caso Bergoglio pubblicamente non ruppe mai l’unità della posizione della Conferenza episcopale argentina. Nè fece mai dichiarazioni pubbliche.
Da allora sono passati dieci anni e soprattutto Bergoglio è diventato Papa.
Del resto bisogna riferirsi alla esperienza dell’arcivescovo di Buenos Aires per comprendere come papa Francesco abbia orientato nel 2015 e nel 2016 la posizione della Conferenza episcopale italiana sulla legge voluta dal governo italiano di Matteo Renzi, accettandone la formulazione.
Resta il fatto che il più recente documento della Chiesa cattolica che contiene valutazioni sulle unioni gay, l’esortazione apostolica postsinodale “ Amoris laetitia” di papa Francesco, firmata il 19 marzo 2016, abbia toni molto differenti.
Essa costituisce il documento in cui il Papa prende posizione con la forza del magistero, con il quale ha tirato le somme dei due Sinodi convocati sulla famiglia (straordinario del 2014 e ordinario del 2015). E anche qui le affermazioni sono diverse da quelle contenute nel documentario di oggi.
Innnanzitutto, l’esortazione tratta del tema dei matrimoni gay solo in un paragrafo, il 251, che nella versione italiana (Libreria Editrice Vaticana) è composto di appena tredici righe. In esso il pontefice afferma che: «Nel corso del dibattito sulla dignità e missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia”; ed è inaccettabile “che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi[…]”. E questo con gli occhi rivolti alla situazione dei Paesi emergenti, e in particolare africani.
Ma nel paragrafo 172 (“Amore di padre e di madre”) Francesco richiama per ben due pagine il «diritto» di ogni bambino di «ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra ed armoniosa», visto che «essi insieme insegnano il valore della reciprocità , dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro».
Mentre a pagina 53 della versione italiana, nel paragrafo 56, il documento affronta la sfida che emerge «da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che “nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia» – così papa Francesco continua la citazione della Relatio finalis del Sinodo del 2015 «induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”».
Quanto al referendum parzialmente abrogativo della nuova legge italiana sulle unioni civili annunciato da alcuni esponenti dello schieramento politico italiano di centro-destra per evitare l’equiparazione di fatto delle unioni civili al matrimonio, le adozioni gay e la stepchild adoption, (un’iniziativa sostanzialmente orientata a bloccare anche ogni possibilità di pratica di utero in affitto), il presidente della Conferenza episcopale italiana ha detto che si trattava di iniziative «doverosamente portate avanti dai laici», annunciando però che non ci sarebbe stata alcuna mobilitazione ufficiale della Conferenza episcopale. E infatti il referendum non si è fatto.
Papa Francesco, in un’intervista al quotidiano cattolico francese «La Croix» (16 maggio 2016) ha «consigliato» una strada da seguire (che non è citata oggi oggi dal documentario): l’obiezione di coscienza dei funzionari chiamati a registrare le unioni omosessuali. Alla domanda: «In un contesto laico, come i cattolici dovrebbero difendere le loro preoccupazioni su materie quali l’eutanasia o il matrimonio tra persone dello stesso sesso?», questa è stata la risposta del papa: «È al Parlamento che spetta discutere, argomentare, spiegare, ragionare. Così cresce una società . Una volta che la legge è votata, lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica, l’obiezione di coscienza deve essere presente, perchè è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana”.
Eppure nel corso della visita negli Usa del settembre 2015, l’allora nunzio Carlo Maria Viganò aveva presentato al Papa una donna, funzionario di stato civile, che aveva fatto obiezione di coscienza negli Usa, ma l’iniziativa non fu considerata particolarmente felice da parte del Papa che aveva invece parallelamente accordato un colloquio privato ad un suo ex alunno argentino gay e al suo compagno.
Due notazioni geopolitiche infine. Innanzitutto il documentario presentato oggi a Roma è opera del regista russo Evgeny Afineevsky, candidato all’Oscar, e se c’è una chiesa cristiana contraria fortemente alle unioni omosessuali , essa è sicuramente la Chiesa ortodossa russa (con pieno appoggio di Putin). Quindi queste nuove dichiarazioni del Papa lo allontaneranno ulteriormente da Mosca.
In secondo luogo, casualmente, il documentario è stato presentato alla vigilia della proroga dell’accordo provvisorio tra Vaticano e Cina sulla nomina dei vescovi (che, lungamente prevista, sarà ufficialmente annunciata domani, data in cui ricorrono i due anni della prima firma).
Continua l’esperimento cinese, ma ormai è chiaro che l’Ostpolitik di Oltretevere non guarda più alla Russia, ma più ad Oriente.
(da “Huffingtonpost”)
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