â€CI HANNO LASCIATO SOLI, NON VOGLIAMO CERIMONIE”
CINQUE ANNI FA, A GENOVA, LA TRAGEDIA DEL CROLLO DELLA STRUTTURA DEL GALATA E LA MORTE DI UN OPERAIO ALBANESE… I PARENTI DENUNCIANO “TUTTI LIBERI, COME SE NON FOSSE SUCCESSO NULLA”… ANCHE IL RISARCIMENTO DIMEZZATO PERCHE’ L’ASSICURAZIONE NON COPRE L’INTERA CIFRA
Per il quinto anniversario della tragedia in porto che provocò la morte del giovane operaio albanese Albert Kolgjegja, i familiari hanno chiesto silenzio e rispetto.
Parla per tutti il fratello Ilrjan che afferma: ” Non vogliamo cerimonie, ci hanno lasciati soli. Dopo le tante visite da parte di politici, italiani ed albanesi, subito dopo il fatto, sono spariti tutti. Mio fratello ha pagato con la vita e ci sentiamo presi in giro”.
Quello che fa rabbia è il contrasto tra la realtà concreta, ovvero il “tutti liberi, come se nulla fosse successo”, e le parole di una sentenza della magistratura arrivata a sancire la responsabilità della tragedia e che indica Andrea Pepe come “unico colpevole” e “capro espiatorio”.
Era l’ingegnere all’epoca responsabile dei lavori eseguiti per conto di Comune, Galata e Porto Antico Spa.
Condannato a due anni con la condizionale e la non menzione nel casello giudiziario.
Assolti gli altri imputati: l’architetto spagnolo Guillermo Vasquez Consuegra (vincitore del concorso bandito dal Comune di Genova), l’ingegnere che aveva firmato il progetto strutturale dell’opera, il direttore tecnico del cantiere e il collaudatore in corso d’opera.
Il giudice aveva poi quantificato in 325mila euro la prima tranche di risarcimenti a favore dei genitori e dei sette tra fratelli e sorelle di Kolgjegja, più le spese processuali e altri 38mila euro destinati agli altri tre operai rimasti feriti nel crollo.
E qui arriva la sorpresa: l’assicurazione coprirà solo la metà della cifra fissata dal tribunale e nulla di più otterranno i parenti, in quanto non risultano beni di proprietà dell’unico condannato su cui rivalersi.
I congiunti si sentono presi in giro, sono anche disposti a rinunciare ai soldi, ma pretendono giustizia. Dopo la sofferenza, anni di udienze e perizie, alla fine la vita di un uomo verrebbe liquidata con 15mila euro a testa, una cifra che brucia sulla pelle come uno schiaffo.
L’avvocato difensore dell’albanese va oltre e denuncia un sistema ingiusto vigente in Italia in casi analoghi.
Se chiunque possiede un’auto, si chiede, ha un’assicurazione con un massimale di un milione, un milione e mezzo di euro, come è possibile che un’impresa che dovrebbe tutelare se stessa e i suoi dipendenti, stipuli un contratto che copre le conseguenze di un incidente in modo così tragicamente insufficiente?
Come è possibile che le autorità non richiedano, come condizione di assegnazione dei lavori, una copertura assicurativa tale da garantire completamente in caso di incidenti sul lavoro?
Anche questo elemento dovrebbe essere oggetto di discussione nel dibattito sulla sicurezza dei cantieri.
Altrimenti si unisce al dolore di una tragedia e alla mancanza di responsabili, anche la beffa di un risarcimento solo virtuale, perchè c’è chi ha risparmiato sul premio assicurativo e chi non ha intestato nulla.
Alla fine rimane sul selciato solo un operaio vittima di un crollo, una vita umana che conta sempre di meno, nell’indifferenza di tutti.
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