STOP REFERENDUM EUTANASIA, PARLA LA MADRE DEL DJ FABO:”VERGOGNA, E’ UNA DECISIONE POLITICA CONTRO CAPPATO”
”SAPEVO GIA’ COME SAREBBE FINITA”
Sono passati cinque anni dalla morte di suo figlio, Fabiano Antoniani conosciuto da tutti come Dj Fabo – il quarantenne che ha scelto di morire grazie al suicidio assistito in Svizzera dopo essere rimasto tetraplegico in seguito a un incidente.
Eppure per Carmen Carollo l’Italia è ancora ferma lì. Non riusciva a crederci quando ieri, 15 febbraio, ha appreso la notizia della bocciatura del referendum sull’eutanasia da parte della Consulta. «Che vergogna, non capiscono la sofferenza dei malati irreversibili. Ho provato una rabbia terribile, ogni volta il dolore si acutizza. Quella non è vita, bisogna provarle certe situazioni per capire cosa significhino. Dovrebbero vedere coi propri occhi, non star seduti a dare sentenze. Tanto loro stanno bene e quindi cosa gli importa…».
Carollo ha subito mandato un messaggio a Marco Cappato, da sempre in prima fila in questa difficile battaglia, colui che ha accompagnato dj Fabo a morire in Svizzera il 27 febbraio del 2017.
«Gli ho detto che ero avvilita, ma che non finisce qui. Andremo avanti», assicura lei che, sulla riuscita di questo referendum, ha sempre avuto dubbi. «Sapevo che non ce l’avremmo fatta perché siamo ottusi: pensiamo che l’eutanasia possa servire a far morire un’anziana o chi soffre di esaurimento nervoso. Non è così».
«Quella di mio figlio non era più vita – precisa – lui che era un dj, che viaggiava. Vederlo con quei dolori, tutto il giorno al letto, cieco…Insomma era diventato un vegetale. E non diamo la colpa solo al Vaticano: se si vuol fare una cosa, gli ostacoli si superano come già accaduto in passato con aborto e divorzio».
La questione – continua Carollo – potrebbe essere «politica»: «A me sembra quasi una decisione contro Cappato, è diventato un personaggio scomodo, a cui è stato fatto anche un processo che poi ha vinto».
Dj Fabo, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale e senza alcuna speranza di guarigione, lo aveva detto in tutti i modi: «Voleva morire a casa sua». E, invece, non gli è stato consentito, o meglio le leggi italiane non gliel’hanno permesso. «Lo Stato non mi accetta», diceva sempre.
Così Cappato, insieme a tutta la famiglia Antoniani, sfidando le leggi, lo ha accompagnato in Svizzera dove Fabo è morto. «”Mamma, ma posso vivere così? Tu mi vorresti così?”, mi ripeteva più volte. Non potevo che essere d’accordo. Mio figlio aveva la perso la dignità, per lui era umiliante doversi far accudire in tutto a 37 anni. Era davvero troppo. Mi diceva sempre “Mamma, non è la quantità ma la qualità”», racconta la signora. Quando è uscito dall’ospedale Niguarda, continua, «gli ho fatto capire che la sua decisione fosse giusta, che non potevo essere egoista, che non potevo né volevo vederlo ancora così. Poi in Svizzera, nei momenti precedenti alla sua morte, gli ho detto: “Fabiano, la mamma vuole che tu vada”. Prima non lo avevo fatto esplicitamente. Come fa una madre a dire al proprio figlio “preferisco che muori”?».
Carmen Carollo non riesce a parlare del figlio senza commuoversi: è come se fosse andato via ieri. Ancora oggi è troppo il dolore, troppa la rabbia per un uomo che avrebbe potuto morire come desiderava: nel suo Paese, nella sua casa.
«Mi creda, prendere una macchina, portare il proprio figlio in un altro Paese e sapere poi che, da quel posto, tornerai da sola e lui non sarà più con te perché lo hai lasciato lì, ti stanca il cuore».
«Dura è stata la preparazione, vederlo in macchina così silenzioso, con gli occhi chiusi. Io lo guardavo da dietro e mi dicevo: “Tra un po’ non lo vedrò più”. Ma dovevo farlo per lui, non potevo essere egoista. Fabiano voleva morire e in Italia non poteva. Mi sono detta “se tu gli vuoi bene devi lasciarlo andare”. Lui sarà sempre dentro di me». Un fine vita «dignitoso», quello in Svizzera, così lo definisce Carollo, che nulla ha a che vedere con la morte da soffocamento a cui sarebbe andato incontro in Italia semmai avesse optato per staccare la spina. «Non esiste», ripeteva lui. «Non voleva morire soffocato».
Fino alla fine Carmen Carollo se n’è presa cura, 24 ore su 24. Ma a vederlo in quelle condizioni, con quella vita negata, non ce la faceva più. Per aiutarlo ha anche «piantato i semini di cannabis in casa». Da quello, poi, veniva creato «un liquido da somministrare a gocce a dj Fabo» così da alleviare il suo dolore. «Io mi occupavo solo di curare la pianta. Con la cannabis Fabo, mi piace chiamarlo così, stava un po’ meglio. Grazie a quelle goccine lo portavo almeno al mercato. Certo, ammetto che nascondere quella pianta a casa non sia stato affatto facile, temevo che dal terrazzo si potesse vedere qualcosa. Mi creda, è stato davvero un incubo».
Le sue parole arrivano in un giorno delicatissimo per il nostro Paese visto che oggi 16 febbraio si deciderà anche del referendum sulla cannabis: «Rendiamola legale. Lo Stato sa bene che questo racket adesso è in mano ai mafiosi. Non possiamo accettare tutto questo. A chi stiamo dando questi soldi?». La madre di dj Fabo non si arrende. Anzi, è più forte che mai.
(da Open)
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