L’ASSE TRA SILVIO E LEGA SPAVENTA IL GOVERNO: “TORNA LA VECCHIA COALIZIONE”
PALAZZO CHIGI TEME INCIDENTI IN PARLAMENTO SUI DECRETI IN ESAME
“Ma siamo sicuri che quel voto al Senato riguardi soltanto le riforme costituzionali?”. Seppur preso dall’urgenza del Consiglio europeo, prima di partire per Bruxelles, Mario Monti si è chiesto (e ha chiesto) quale potesse essere il vero significato della sorprendente rinascita dell’asse del Nord.
Quel voto a palazzo Madama sul Senato federale – 153 sì contro 136 no – ha fatto resuscitare per un giorno lo zombie della vecchia maggioranza berlusconiana, Pdl più Lega.
E a palazzo Chigi e al Quirinale hanno subito alzato le antenne.
Anche perchè, come spiega il capogruppo Udc Gianpiero D’Alia, “i primi a sapere che quella roba non andrà da nessuna parte sono loro. L’unica riforma costituzionale praticabile è quella nata dall’intesa “ABC”, il resto è propaganda”.
È questo l’indizio numero uno che ha fatto scattare l’allarme di Monti e Napolitano: perchè Berlusconi e Bossi riscoprono ora l’asse del Nord se il voto sarà solo – come ha puntualizzato ieri la lunga nota del Colle – nell’aprile del 2013?
Tanto più che non c’è nemmeno la più remota possibilità che siano approvati nè il Senato federale nè l’elezione diretta del capo dello Stato.
Se è vero dunque che solo in una logica elettorale ha senso questa riedizione del vecchio centrodestra, il premier ha fondate ragioni di temere qualche colpo di testa che possa portare a un voto anticipato.
Anche perchè, con quei numeri, è chiaro che a palazzo Madama la maggioranza berlusconiana può fare catenaccio e bloccare tutto.
Un incubo per Monti, visto che, da qui alla pausa estiva, il calendario concordato dai capigruppo prevede la conversione di 13 decreti legge.
Oltre all’approvazione del Fiscal Compact e della spending review, capisaldi del programma europeo di Monti.
Perchè è vero che il Cavaliere ha dato rassicurazioni sia al premier che al capo dello Stato sulla sua volontà di andare fino in fondo alla legislatura appoggiando il governo. Ma nel gioco tattico di questi giorni davvero tutto è possibile.
“L’accordo con la Lega sulle riforme costituzionali – sospetta un esponente del governo avvezzo più del premier ai giochi di palazzo – è solo la parte emersa dell’iceberg. A noi preoccupa quello che sta sotto. Se l’accordo con Bossi è più ampio e riguarda le prossime elezioni, allora il prezzo da pagare per Berlusconi potrebbe essere la crisi di governo”.
Pier Ferdinando Casini ha spiegato al presidente del Ppe, Wilfried Martens, quanto sia precario l’equilibrio politico in Italia.
Preoccupazioni che Martens ha poi girato al Cavaliere, incontrandolo dopo Casini a Bruxelles per il meeting dei popolari europei. Ma anche in questo colloquio, a cui Berlusconi si è presentato accompagnato da Mario Mauro, il Cavaliere ha messo su la maschera dello statista responsabile. Eppure…
Eppure i timori di palazzo Chigi restano.
E certo non ha contribuito a rasserenare il clima la notizia dell’accordo quasi chiuso tra Bersani e Alfano sulla legge elettorale.
I due segretari si sarebbero intesi su un sistema misto – 1/3 liste bloccate, 2/3 collegi provinciali – elaborato in gran segreto da Denis Verdini e Maurizio Migliavacca.
Ma perchè tutta questa fretta di portare a casa la riforma del Porcellum se alle elezioni mancano ancora dieci mesi? Alle orecchie del premier è arrivata oltretutto una notizia che doveva restare riservata.
Il fatto è che alcuni giorni fa, incontrando un gruppo di imprenditori a villa Gernetto, Berlusconi non avrebbe fatto nulla per nascondere la sua convinzione che si andrà al voto in autunno, “perchè così la situazione non la regge nessuno”.
E proprio a villa Gernetto, nella brianzola “università del pensiero liberale”, si troveranno a metà luglio una serie di professori anti-euro per un convegno affidato da Berlusconi alla regia di Antonio Martino.
Un’altra iniziativa che porterà il Cavaliere a riavvicinarsi alla Lega, prendendo ulteriormente le distanze dal governo.
Anche per questo ieri Monti ha indurito i toni della trattativa al Consiglio europeo, arrivando di fatto a minacciare il veto italiano a tutto il piano crescita se non sarà preso in considerazione il meccanismo abbassa-spread.
Un segnale al fronte del Nord Europa, ma anche un modo per non dare alibi a chi a Roma sta già oliando le armi.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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