“PRESIDENTE, DOVREMMO ESSERCI, VIENE A VEDERE?”, “GUARDATE VOI, INTANTO, IO POI ARRIVO”: BERLUSCONI HA PREFERITO NON ASSISTERE ALLA DIRETTA TV DI GIORGIA MELONI AL QUIRINALE
ATTENZIONE: I PROSSIMI MESI POTREBBERO ESSERE QUELLI IN CUI IL CAV DARA’ LE SUE “PICCONATE”
«Presidente, dovremmo esserci, viene a vedere?». «Guardate voi, intanto, io poi arrivo». Lo spettacolo d’arte varia, come lo avrebbe chiamato Paolo Conte, ha raggiunto un numero significativo di repliche. Per ora. E i numeri da trasformista navigato, disseminati in ogni dove per i lunghi decenni di una carriera da «numero uno», si sono visti anche adesso che nel campionato della politica quel gradino più alto del podio da secondo (dopo il sorpasso della Lega nel 2018) s’ è fatto terzo (elezioni 2022).
Ma nel giorno della vera «destituzione», quello in cui la prima figura del centrodestra italiano che non è lui riceve nientemeno che l’incarico di guidare il governo del Paese, ecco, del Silvio Berlusconi «picconatore» degli ultimi giorni non c’è traccia.
Niente «vaffa» come quello riferito in pubblico a Ignazio La Russa perché Giorgia Meloni intendesse, niente liti al chiuso delle stanze di Montecitorio, niente aggettivi messi in fila in un foglio in bella vista per i fotografi, niente fuori onda, audio più o meno rubati, niente «signora Meloni», nulla.
Più semplicemente, ma anche sorprendentemente, quando alle 16.30 sono iniziate in tv le dirette dal Quirinale, nella lunghissima attesa che separava l’ingresso della leader di Fratelli d’Italia nella stanza del presidente della Repubblica dall’uscita della stessa con la lista dei ministri, il Cavaliere ha preferito non vedere. «Guardate voi, io poi arrivo». Al pari di Salvini, aveva provato a mettersi in contatto Giorgia Meloni per scongiurare «qualche scherzo dell’ultimo secondo», poi rassegnandosi a un telefono muto.
Qualche ora prima, attraversando i lunghi corridoi del Quirinale insieme alle delegazioni del centrodestra e alla designanda presidente del Consiglio, Berlusconi invece non era riuscito a frenare l’insopprimibile voglia di mostrarsi ancora una volta come il «primus» che relega gli altri al ruolo di «pares» (pari tra di loro, mica con lui), quello che le cose le conosce non per averle studiate ma per averle vissute, e prima e meglio e più volte degli altri.
E quando, passando dalla Sala degli Arazzi di Lille, aveva iniziato a dire rivolto a Meloni «sai, la prima volta che sono passato di qua…» – con implicito richiamo alla primavera inoltrata del 1994, il suo primo governo – all’altra, che evidentemente temeva interventi scomposti nel colloquio con Mattarella, erano venuti i sudori freddi.
Poi qualcosa è successo, di significativo: il silenzio durante la consultazione collettiva, qualche secondo di rassicurazioni sulla politica estera appartato col solo capo dello Stato e infine quel sopracciglio inarcato, con diabolico scambio di sguardi con Matteo Salvini, mentre Meloni parlava ai giornalisti della «indicazione unanime sul mio nome».
È possibile che neanche Berlusconi sappia quale, delle tante volte che la vita gli si è presentata davanti con la scritta «the end», sia stata più dolorosa delle altre.
Se la bruciante caduta per mano di Bossi del primo governo del ’94, gli scandali del 2009, il «golpe» ( copyright suo) del 2011 col passaggio della campanella a Mario Monti, la condanna definitiva del 2013, il sorpasso della Lega nel 2018 o adesso che una donna cresciuta nel centrodestra da lui fondato per la prima volta prende il suo posto a capotavola, relegandolo lontano dalla tv nel momento dell’annuncio finale. Nel corso degli anni la scena nella sua testa era un’altra: «Io presidente della Repubblica che do l’incarico al miglior presidente del Consiglio possibile, e cioè Gianni Letta».
Ecco, da questo sogno è passato talmente tanto tempo che ora è ingiallito come una vecchia fotografia. A colori, adesso, c’è quella televisione che Berlusconi ha raggiunto in tempo per assistere senza alcuna voglia, e con apparente distrazione, al momento clou del grande giorno di Meloni.
Per tornare a mettere in pratica lo stile delle «picconate» mutuato dal suo compianto amico Francesco Cossiga, stile che ha usato per apporre (insieme a Conte e Salvini) anche la sua firma sulla fine anticipata del governo di Mario Draghi, ci sarà spazio e tempo nei prossimi mesi. D’altronde, a quelli che lo guardano come se fosse al tappeto, ha ricominciato a raccontare la vecchia storiella sull’origine della sua fortuna, quando si sdraiava per terra su un terreno appena acquistato, per mostrare ai possibili acquirenti l’esatta metratura del soggiorno nella casa che gli avrebbe venduto. Fedele Confalonieri, accanto a lui, reggeva un metro.
(da il Corriere della Sera)
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