L’INCHIESTA SU DONZELLI NON È SOLTANTO “UN ATTO DOVUTO”: SE LA PROCURA DI ROMA HA DECISO DI ISCRIVERE IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI SIGNIFICA CHE HA RACCOLTO ABBASTANZA ELEMENTI PER SOSTENERE L’IPOTESI DI VIOLAZIONE DI SEGRETO D’UFFICIO
NORDIO DICE CHE LE CARTE CHE DELMASTRO HA GIRATO AL COINQUILINO DELMASTRO NON AVEVANO VINCOLI DI SEGRETEZZA. MA È DAVVERO COSÌ? NON PROPRIO: DELMASTRO POTEVA RICHIEDERLE E OTTENERLE, MA DOVEVA RISPETTARE IL SEGRETO D’UFFICIO
L’inchiesta a carico di Andrea Delmastro delle Vedove è nata dall’esposto del deputato Angelo Bonelli, di Alleanza Verdi e Sinistra, ma l’iscrizione del sottosegretario alla Giustizia sul registro degli indagati non è il classico «atto dovuto» seguito a una denuncia (in questo caso di un avversario politico).
Prima di procedere alla convocazione dell’interessato accompagnato da un avvocato difensore, la Procura di Roma ha acquisito documenti e ascoltato testimoni, arrivando a una ricostruzione dei fatti abbastanza completa; solo successivamente i sostituti procuratori Gennaro Varone e Rosalia Affinito, coordinati dall’aggiunto Paolo Ielo e dal capo dell’ufficio Francesco Lo Voi, hanno costruito un’ipotesi d’accusa — violazione di segreto d’ufficio — considerata sufficientemente solida da chiedere spiegazioni all’inquisito. Di qui la decisione dell’interrogatorio, fissato per oggi.
Il deputato Giovanni Donzelli sarà ascoltato in seguito, presumibilmente come testimone. Perché tutta la vicenda nasce dal suo intervento del 31 gennaio scorso nell’aula di Montecitorio, quando accusò quattro parlamentari del Pd di «incoraggiare» l’anarchico «nella sua battaglia» contro il «41 bis».
In quell’occasione Donzelli svelò i dialoghi tra Cospito e due compagni di detenzione affiliati a camorra e ‘ndrangheta, nei quali l’anarchico diceva che la protesta contro il «carcere duro» doveva essere in favore di tutti; sostenuto dagli altri due che lo invitavano ad «andare avanti» perché «pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato».
Donzelli parlava leggendo i resoconti di due «documenti presenti al ministero della Giustizia», e subito si scoprì che a darglieli era stato proprio il suo collega e coinquilino Delmastro.
È il nocciolo dell’indagine svolta fin qui dai pm che ruota intorno a una domanda: il sottosegretario alla Giustizia poteva avere quei documenti e rivelarne il contenuto a un collega che ne ha fatto un uso politico?
In Parlamento il ministro Carlo Nordio ha spiegato che sulle carte non c’era alcun vincolo legato a «segreti di Stato» o altre «classificazioni di segretezza», nonostante la dicitura «di limitata divulgazione» apposta su quei documenti. Dunque niente di illecito. Questione chiarita e caso chiuso da «parole chiare e definitive», come ha ripetuto l’altro ieri Delmastro. Non per gli inquirenti, però. Perché al di là del «segreto di Stato» e formule correlate, esiste un segreto d’ufficio, per l’appunto, che non ha niente a che fare con le norme citate da Nordio ma vale per tutti gli uffici pubblici. Compreso il ministero della Giustizia.
Dove Delmastro ha sì la delega su una parte degli affari relativi alle carceri , ma non quella sul «trattamento detenuti», a cui invece si riferivano le conversazioni ascoltate dagli agenti penitenziari e riferite nelle relazioni di servizio inviate al vertice del Dipartimento di quell’amministrazione, il Dap. Che quindi non sono state trasmesse a Delmastro per ragioni d’ufficio, ma perché è stato lui a chiederle. […] Perché Delmastro ha chiesto quelle relazioni? Chi l’aveva avvisato della loro esistenza?
La visita di deputati del Pd a Sassari del 12 gennaio era nota, ma i colloqui tra Cospito e i boss di ‘ndrangheta e camorra no. Questo è uno degli snodi della vicenda, l’antefatto che serve a spiegare il fatto: la diffusione di documenti che non solo non possono essere divulgati secondo le regole interne agli uffici pubblici, ma che un apposito decreto ministeriale del 1996 definisce «inaccessibili» dall’esterno anche per chi ne facesse formale richiesta.
(da Il Corriere della Sera)
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