MELONI FINISCE ALL’ANGOLO CON L’EUROPA: PRONTA A CEDERE SU SPIAGGE E MIGRANTI
ALTRO SGANASSONE SULL’IMMIGRAZIONE: IERI FDI E LEGA, CHE INVOCANO IL BLOCCO NAVALE E CHIUSURA DEI PORTI, SONO STATI COSTRETTI AD ACCETTARE UNA PROPOSTA DEGLI EUROPARLAMENTARI CHE RENDE OBBLIGATORIE LE QUOTE DI REDISTRIBUZIONE
«Tenteremo di bloccare la direttiva». È Giorgia Meloni a dichiararlo. Non oggi. Poco più di un anno fa. Non ancora premier, la leader di Fratelli d’Italia si intestava una battaglia sulle concessioni balneari anche per smarcarsi dai futuri alleati di governo, Forza Italia e Lega, soci dell’esecutivo Draghi e colpevoli, a suo dire, di assecondare Bruxelles.
Quattordici mesi dopo, Meloni è alla ricerca di un modo per uscire dall’angolo in cui si è infilata con tutta la sua coalizione.
La premier non può bloccare alcunché. Deve trovare una strada percorribile per rendere accettabile la sua giravolta a un blocco elettorale furioso. Ci sarà un provvedimento, forse un decreto, che accoglierà le indicazioni della Corte di Giustizia europea e straccerà la norma del Milleproroghe che rinvia la validità delle concessioni demaniali fino a fine 2024.
Ma l’intenzione del governo Meloni resta comunque quella di usare tutto il tempo che la sentenza lascia all’Italia, trattando con la Commissione perché non faccia partire subito la procedura d’infrazione.
In questo senso, nella direzione di un clima che si vuole il più collaborativo possibile, si deve intendere anche la plateale retromarcia dell’esecutivo Ue.
Ieri, la Commissione si è dovuta rimangiare in serata quello che aveva sostenuto un portavoce nel consueto briefing di mezzogiorno: e cioè che nell’incontro del 13 aprile a Roma, con il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, la premier italiana si era impegnata ad adeguare la normativa italiana a quella comunitaria. Un’iniziativa che non è piaciuta a Roma e che dal governo hanno letto come ulteriore pressione. Meloni non smentisce la notizia ma chiede, attraverso gli sherpa, che sia la Commissione a farlo. Cosa che avviene. «L’incontro – viene precisato – non riguardava questo tema e nessuna delle due parti si è impegnata in merito ai prossimi passi».
Una modalità insolita per la Commissione, un inedito quasi assoluto. Segno che l’interlocuzione sul dossier tra l’Italia e l’esecutivo guidato da Ursula Von der Leyen è delicata. La maggioranza di destra intende sfruttare ogni spiraglio possibile. La Corte ne lascia qualcuno, tant’è che per tutta la giornata i commenti di parlamentari e ministri si concentrano sul fatto che all’Italia verrà concesso tempo per la nuova mappatura. […] L’obiettivo è costruire una mappa delle spiagge libere per dimostrare che viene meno il principio della scarsità delle risorse, alla base della direttiva Bolkestein.
Nel frattempo il governo cercherà di rosicchiare mesi e impostare una nuova proposta per Bruxelles. L’idea è tornare a una distinzione tra le concessioni rilasciate prima e dopo la direttiva, a tutela degli investimenti precedenti il 2009, fatti cioè senza mai pensare a possibili revoche imposte dall’Ue. È una strada difficile, perché l’Europa ha già detto di non gradirla.
Non è facile piegare l’Ue ai desideri italiani, quando si è Palazzo Chigi. Meloni lo ha imparato in questi sei mesi di governo. I problemi si moltiplicano e in appena 48 ore da Bruxelles sono piovuti, uno dopo l’altro, decisioni e atti che ricordano all’Italia ritardi, contraddizioni e inciampi. Tra una settimana, all’Ecofin, i colleghi ministri dell’Economia ribadiranno a Giancarlo Giorgetti che si era impegnato a ratificare la riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, perché tutti i Paesi dell’eurozona attendono l’Italia, unica a non aver ancora dato il via libera.
L’altra contraddizione evidente che sta subendo il governo di Roma è sull’immigrazione.
Ieri FdI e Lega sono stati costretti a scendere dalle barricate e accettare una proposta degli europarlamentari che rende obbligatorie le quote di redistribuzione, contrariamente a quanto vorrebbero i sovranisti e conservatori alleati di Meloni e Salvini. Leghisti e meloniani hanno votato per evitare l’accusa di non voler seriamente alleggerire l’Italia dall’emergenza migranti ma, allo stesso tempo, per difendersi dalla critica di essere stati incoerenti con quanto sostenuto per anni (no alla redistribuzione, sì al blocco navale o dei porti), hanno aggiunto di aver detto sì nella convinzione che il testo sarà migliorato dal Consiglio dell’Unione europea, l’altro braccio legislativo.
Gli sherpa che lavorano quotidianamente al dossier e ai negoziati sono convinti che sia impossibile che il Consiglio approvi una proposta migliore. Su ricollocamenti e solidarietà peserà la volontà dei governi non mediterranei, dei duri dell’Est – cechi, slovacchi, polacchi e ungheresi – e dei leader che accarezzano sensibilità xenofobe.
Per questo, i diplomatici si stanno sgolando per convincere la politica, partiti e governo, a non scostarsi troppo dal compromesso dell’Europarlamento e a non restare agganciati alle vecchie amicizie, se vuole ottenere un accordo entro la fine della legislatura. I mesi rimasti, ormai, sono pochi.
(da La Repubblica)
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