LA RETE DI POTERE E LE MANI DEL CREMLINO DIETRO L’ASCESA DI ABRAMOVICH
ORFANO DA GIOVANISSIMO, NEGLI ANNI ’90 SI GUADAGNA DA VIVERE VENDENDO PAPERELLE O JEANS DI CONTRABBANDO… NEL ’95 LA SVOLTA, QUANDO FONDA LA “SIBNEFT”, INSIEME A BEREZOVSKY, POTENTE DELL’AUTOMOTIVE VICINO A ELTSIN, CHE E’ STATA RIVENDUTA NEL 2005 A GAZPROM PER 13 MILIARDI DI DOLLARI
Una sera il consigliere Voloshin (Alexandr Voloshin, l’allora capo dell’amministrazione presidenziale di Vladimir Putin) mi chiama e mi dice: “Tra un’ora annunceremo che Abramovich sta comprando il Chelsea. Puoi diffondere la notizia?”». Chi parla così,[…] è Aleksey Venediktov, il direttore di Echo Moscow, la radio poi chiusa da Putin nel 2022 dopo che Venediktov si era espresso contro la guerra in Ucraina.
Per tanti anni, però, Venediktov è anche stato uno dei giornalisti più influenti di Mosca e più introdotti nei circoli del potere, nella transizione oscura da Boris Eltsin a Putin Voloshin dice a Veneditov «annunceremo», non «Abramovich annuncerà». Perché lo Stato russo doveva prendersi la briga di fare l’annuncio di una operazione di mercato di un libero imprenditore?
Abramovich ha sempre negato di aver acquistato il Chelsea dietro richiesta di Putin o della verticale di potere del Cremlino
La ricostruzione che giunge adesso da parte di Venediktov è una delle tante chicche contenute in un nuovo documentario evento francese-italiano, domani sera, lunedì 20 novembre, su Raitre in seconda serata, Roman Abramovich: l’equilibrista (tratto dal francese Un oligarque dans l’ombre de Poutine di Stéphane Bentura).
Con diverse rivelazioni. «La decisione di acquistare il Chelsea – spiega appunto Venediktov in uno dei passaggi chiave del film – fu chiaramente di natura politica. E Abramovich sapeva che gli avrebbe permesso di entrare nell’alta società britannica». Ma senza sconti, dietro Abramovich si staglia la figura di Vladimir Putin
È qui che si spiegano alcuni passaggi strabilianti dell’ascesa di Abramovich, per esempio la fondazione di Sibneft, con cui nasce la fortuna di Abramovich, nel 1995. Prima di allora, s’inventa un business (la costruzione di giocattoli per bambini, per lo più anatre di plastica). O il mercato nero di jeans, che importava da Mosca a Komi, orfano di madre e padre da piccolissimo, conosce durante una crociera ai Caraibi, nel 1994, Boris Berezovsky, più grande di lui, già potente nell’automotive, con forti entrature politiche. Gli sta simpatico.
Propone a Berezovsky di creare un’azienda capace di controllare tutto il flusso del greggio, dalla produzione alla raffineria. Berezovsky, come altri in seguito, si fa incantare da quel ragazzo dalla faccia pulita, che poi lo accoltellerà, e a sua volta convince Eltsin a far fondere un’azienda produttrice di petrolio greggio con una raffineria e a cederne il controllo a Berezovsky e Abramovich.
In cambio, Berezovsky avrebbe dovuto usare una parte dei proventi della nuova società petrolifera per fondare una stazione tv, Ort, deputata sostanzialmente a una cosa sola: fare propaganda pro Eltsin. Abramovich compra il 90 per cento a 240 milioni di dollari, ma di questi solo 18,8 milioni appartengono con certezza al suo capitale (il team Navalny ritiene che Sibneft costi complessivamente ad Abramovich cento milioni). Dieci anni dopo, nel 2005, rivende il 72 per cento di Sibneft a Gazprom, cioè allo Stato russo, che gli paga quelli che allora sono 13 miliardi di dollari.
Per Putin è il «consolidamento degli asset economici russi» sotto lo Stato. Per Abramovich l’affare che lo rende stramiliardario: un affare interamente dentro il perimetro del Cremlino. «Putin non ha messo in riga gli oligarchi – spiega Luke Harding nel film – è il più potente degli oligarchi. Siede al di sopra di questa struttura dove potere e denaro si fondono, dove il denaro è potere in contanti, e da dove arbitra tra le diverse fazioni, i diversi clan del Cremlino». Con Abramovich come una specie di jolly. «Abramovich – sostiene Parkomenko – ha costruito e progettato questa simbiosi tra denaro e potere».
Il mediatore nel primo mese della guerra russa in Ucraina. Venediktov racconta: «Per quello che ha fatto in Ucraina non posso dire che ha un mandato di Putin, ma ha l’autorizzazione di Putin, a trattare con Zelensky». Una figura statuale, insomma. Molto più che un businessman. Abramovich non ha voluto rispondere alle domande degli autori del documentario.
Nel film la deputata britannica Margaret Hodge racconta un episodio rivelatore. I russi, dice, hanno versato tre milioni di sterline a vari soggetti dei Tories, compresi ministri: «È stata una enorme operazione di soft power. Un giorno Abramovich mi mandò un emissario russo a convincermi che poteva e stava finanziando tante opere di carità. Io dissi: “Con quali soldi?”. Non rispose». In tanti, anche in Italia, in quel frangente scoprirono di tifare per il Chelsea.
(da La Stampa)
Leave a Reply