LA TRIBÙ MELONIANA RIUSCIRÀ A DIFENDERE IL FORTINO ABRUZZESE? CAPITOLARE IN ABRUZZO SAREBBE PEGGIO CHE AVER PERSO IN SARDEGNA. PERCHÉ LA REGIONE, GUIDATA DAL ROMANO MARCO MARSILIO, OSPITA LA PIÙ NUTRITA COLONIA MELONIANA
NEGLI ULTIMI GIORNI È MONTATO IL NERVOSISMO IN FDI. I SONDAGGI DICONO CHE IL DIVARIO DALLO SFIDANTE SOSTENUTO DAL CAMPO LARGHISSIMO, LUCIANO D’AMICO, SI È RIDOTTO A UN MISERO 1,2%
Perdere in Abruzzo, per il potere di Giorgia Meloni, sarebbe peggio che aver perso in Sardegna. Nel cuore delle elezioni sarde Meloni era entrata per scelta, impuntandosi sulla candidatura del sindaco di Cagliari e fratello d’Italia Paolo Truzzu.
Nella partita abruzzese, invece, non deve fare nulla: c’è già dentro con tutte e due le scarpe. L’Abruzzo ospita la più nutrita colonia meloniana, tribù stanziale, distaccata o paracadutata, comunque pezzo importante dell’album di famiglia.
Alle ultime elezioni politiche, quelle che l’hanno portata a Palazzo Chigi, Meloni ha scelto di candidarsi alla Camera nel collegio L’Aquila-Teramo. L’ha fatto per potersi dedicare serenamente alla campagna nazionale, mentre a vigilare dall’alto sulla sua scontata elezione a Montecitorio provvedevano il presidente di Regione Marco Marsilio, che la conosce da quando lei minorenne bussò alla sezione di Garbatella per iscriversi al Movimento sociale e lui era il leader dell’organizzazione giovanile Fare fronte, e il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi, altra conoscenza vecchia di trent’anni, cose di Fronte della gioventù.
In Regione, con ruoli e incarichi vari, sono passati o sono ancora attivi altri personaggi della via Pal missina, come Riccardo Scurria, già europarlamentare eletto con il Popolo delle Libertà, poi Fratello della prima ora, che prima di essere eletto in Senato alle Politiche del settembre 2022 era stato mandato da Roma a fare il capo dello staff di Marsilio in Regione.
Nel giro della sezione di Colle Oppio Scurria — cognato dell’ex capo di tutta la comunità, il leader dei Gabbiani Fabio Rampelli — è detto il Noto, con spiccata e cameratesca autoironia, perché negli anni Novanta nei comunicati dei collettivi universitari di sinistra alla Sapienza era citato come “il noto fascista Scurria”.
Non servivano gli stretti rapporti personali tra il governatore e Meloni, che da ragazza lavorò a casa Marsilio per assisterne la madre malata, per spiegare come mai, a dieci giorni dal voto del 10 marzo, la presidente del Consiglio abbia ricevuto il presidente della Regione a Palazzo Chigi per mettergli ufficialmente in mano centinaia di milioni per infrastrutture che gli abruzzesi aspettano da decenni, a cominciare dalla ferrovia Roma- Pescara.
Difendere il fortino abruzzese è fondamentale e negli ultimi giorni è montato un certo nervosismo. Anche se, in pubblico e parole, lo stato maggiore meloniano si dice certo che non ci sarà alcuna onda sarda, in privato e di fatto nessuno è più sicuro dell’esito di un voto che fino a poche settimane fa pareva una formalità.
Dall’altra parte l’avversario è un tipo tanto mite quanto tosto: l’economista Luciano D’Amico, ex rettore dell’università di Teramo, figlio di contadini di Torricella Peligna, paese d’origine dello scrittore John Fante, sostenuto dal campo forse più largo mai messo insieme dal centrosinistra in un’elezione locale: da Renzi a Fratoianni, passando per Pd, Movimento 5 Stelle e Calenda.
A vantaggio di D’Amico c’è la sua freschezza civica, l’autorevolezza del suo passato da manager dell’azienda dei trasporti regionale, brillantemente risanata, e l’effetto Todde.
A vantaggio di Marsilio ci sono i favori del governo nazionale, la solidità delle liste che lo sostengono, zeppe di campioni delle preferenze, e l’impossibilità per legge del voto disgiunto, che forse avrebbe tentato l’alleato fin qui più angariato e cannibalizzato, la Lega, che in Abruzzo perde pezzi come un aereo in rotta.
Anni di diaspora, consiglieri usciti verso Forza Italia o verso FdI, fino all’episodio più clamoroso e significativo. Un mese fa l’assessora alla Sanità Nicoletta Verì, che come in ogni Regione custodisce il portafoglio più importante, ha salutato la Lega e Matteo Salvini e sarà candidata nel listino di Marsilio. Il quale, con Repubblica , si difende così dall’accusa di aver fatto un torto all’alleato e da quella di replicare su scala locale la disfida Meloni-Salvini: «Non pratico il cannibalismo politico. La maggior parte dei consiglieri usciti dalla Lega non sono venuti da noi. Comunque non c’è mai problema quando il giudizio su un cambio di casacca resta agli elettori».
La sanità resta uno dei problemi più gravi. Michele Fina, tesoriere del Partito democratico e segretario regionale dei dem fino a pochi mesi fa, racconta che «non c’è famiglia abruzzese che non abbia un caso di malasanità da raccontare».
Nonostante l’Abruzzo sia percepito come una regione agricola, è al settimo posto tra le regioni italiane per peso delle esportazioni in rapporto al prodotto interno lordo e l’industria manifatturiera pesa per più di un quarto del pil. C’è manodopera altamente specializzata, tecnologie proprietarie come quella dell’Ars Tech, che tra le colline teramane produce telai in carbonio per auto da corsa, la farmaceutica nell’aquilano, in Val di Sangro la Siv, la più grande vetreria d’Europa, e lo stabilimento Stellantis di Atessa, dal quale escono mille furgoni Ducato al giorno. Sistema produttivo a livelli tedeschi, infrastrutture da Paese in via di sviluppo.
La fusione tra industrialismo e Colle Oppio non ha funzionato e, anche se ai piani alti di Confindustria e Federfarma nessuno si sbilancia sul voto, l’ostentata neutralità ufficiale con la quale l’associazionismo segue quest’ultimo miglio di campagna elettorale è un altro indizio sul fatto che nessuno vuol rischiare di trovarsi sul carro sbagliato.
Anche le ultime feroci polemiche tra maggioranza e opposizione, come quella sulla riduzione della riserva naturale del Borsacchio da 1100 a 25 ettari grazie a un emendamento approvato nottetempo in Consiglio regionale, finiscono tutte dentro a una partita che si è fatta molto più grande.
Quanto grande lo ha sintetizzato al meglio proprio Marsilio con un’intervista alla testata storica di famiglia, Il Secolo d’Italia: «Questa è la prima Regione guidata da Fratelli d’Italia, è il collegio della nostra leader, per noi è una bandiera, per la sinistra un presidio da conquistare. Sarà una prova sul nostro governo, un sondaggio sul consenso dei cittadini». Se va bene, si assorbe la botta sarda. Se va male, non basterà un Truzzu da mandare davanti alle telecamere per dire «è tutta colpa mia».
(da La Repubblica)
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