A BERLUSCONI CONVIENE DAVVERO VINCERE LE ELEZIONI?
TUTTE LE RAGIONI CHE INDUCONO A RISPONDERE NO
La coalizione di centro-destra arriverà prima alle elezioni del 4 marzo ma difficilmente otterrà la maggioranza del Parlamento, poichè l’impianto in larga misura proporzionale della nuova legge elettorale ci consegnerà una sostanziale “tripartizione” dei seggi (in coerenza con la divisione in tre grandi blocchi del voto popolare).
La crisi del Pd (non tanto di consensi, che sono più o meno sul livello del 2013, quanto di capacità di aggregazione nei collegi uninominali) può però portare a un risultato sì improbabile ma non impossibile, cioè la vittoria dell’alleanza Berlusconi-Salvini-Meloni e altri anche in termini assoluti, con maggioranza nei due rami del Parlamento.
Ecco perchè ha senso porsi una semplice domanda: è questa alleanza elettorale in grado di governare con sufficiente spirito di condivisione degli obiettivi e forza della compagine ministeriale?
La risposta è molto più vicina al no che al sì, pur volendo applicare la ragione del dubbio e senza voler sventolare certezze assolute, per almeno tre “poderosi” motivi.
Il primo riguarda la figura del leader carismatico, cioè Silvio Berlusconi, corpo e anima di tutto ciò che non è sinistra nella politica italiana da ormai 24 anni (1994-2018).
Egli è leader geniale e imprevedibile, capace di risorgere più volte dalle sue ceneri, siano esse giudiziarie o politiche, sentimentali o sanitarie. Berlusconi però è un leader “assoluto”, che dice a parole di voler fare l’allenatore fuori campo, salvo poi giocare in porta, a centrocampo e in attacco contemporaneamente (come ha fatto tutta la vita).
La riprova è che quando ha ispirato “da fuori” ha retto ben poco: così sulla Bicamerale per le Riforme di fine anni ’90 (presieduta da Massimo D’Alema), così sul sostegno al governo Monti (ritirato dopo 12 mesi esatti), così sul “Patto del Nazareno”, siglato in pompa magna con visita ufficiale a Renzi nella sede del Pd e prontamente naufragato sul nome del Capo dello Stato da eleggere.
Esiste dunque qualcuno in grado di fare il primo ministro a lungo con i voti di Berlusconi che abbia un cognome diverso dal suo? Molto, molto improbabile.
C’è poi un secondo tema, che riguarda i contenuti programmatici. Europa, fisco, immigrazione.
Assai difficile mettere insieme le intenzioni di Salvini e Meloni con l’arroganza burocratica di Bruxelles, soprattutto per una coalizione di cui il Cavaliere è primo azionista ma di maggioranza relativa, condizione assolutamente nuova per lui (nel 2008 il PdL prese il 37 % e la Lega l’8 %, tanto per essere chiari).
Il centro-destra italiano quindi potrebbe trovarsi a governare in una situazione del tutto inedita, cioè quella di un condominio dove nessuno ha i “millesimi” per imporsi sugli altri, con le conseguenze che ben conosciamo tutti per esperienza vissuta in quelle devastanti serate del lunedì (tipica convocazione degli amministratori di condominio, anche perchè non si giocano partite di calcio).
Una drastica riduzione delle tasse troverà opposizione furibonda in Europa, una stretta sui migranti sarà dolorosa. Quindi i margini di manovra saranno decisamente più stretti di quanto sembrerà in campagna elettorale, con conseguenti litigi e frustrazioni nella coalizione.
Infine, c’è un tema di persone. Occorre trovare un primo ministro che vada bene a Berlusconi e Salvini, ma che non sia nessuno di loro due (una risposta di buon senso sarebbe Roberto Maroni, ma qualcuno dovrà spiegarlo a Salvini).
E poi c’è una compagine ministeriale tutta da inventare, anche perchè quel che resta della dirigenza di Forza Italia è lì da 10-15 anni, con molte defezioni (Urbani, Scajola, Verdini, Alfano) e ben pochi inserimenti robusti.
Facciamo un esempio, il più delicato di tutti.
Chi va a via XX Settembre al ministero dell’Economia? Giulio Tremonti è stata la risposta di sempre, così nel ’94 (alle Finanze), così nel 2001 e nel 2008. E adesso?
Chi tra i papabili, Brunetta in testa, può reggere lo scontro con Bruxelles (e con Draghi a Francoforte) su un programma di tagli importanti alle tasse (nel Paese dell’area Euro con il più grande debito pubblico)?
E ancora: guardiamo al Viminale. Vorrà il leader della Lega prendere le redini di un dicastero che impone una drastica riduzione del proprio ruolo politico?
Potremmo continuare, ma già così si fa strada un pensiero. Non è proprio detto che convenga al Cavaliere vincerle del tutto queste elezioni.
(da “Huffingtonpost“)
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