ACQUA DELLA SENNA, TRASPORTI, VOLONTARI SPAESATI: SETTE MOTIVI PER CUI L’ORGANIZZAZIONE DELLE OLIMPIADI DI PARIGI E’ UN MEZZO DISASTRO
DALLA SEGNALETICA INSUFFICIENTE AI VOLONTARI CHE NON PARLANO INGLESE
Pur animati da autentico amore per la Francia e da grande entusiasmo olimpico, si può cominciare a dire che l’organizzazione di Parigi 2024 è un mezzo disastro; o come minimo che ci sono parecchie cose che non vanno.
La Senna
Rischio. Il principale lascito dei Giochi doveva essere la restituzione del fiume alla città: tutti dovevano poter nuotare liberamente nella Senna, tornata limpida come all’alba dell’era industriale. L’obiettivo è fallito. Lo prova il balletto attorno alla prova di nuoto del triathlon, che alla fine si è fatta – bellissime le immagini, per carità – nonostante le rilevazioni dei giorni precedenti, che segnalavano acque troppo inquinate e quindi pericolose per gli atleti. Se anche dovesse finire tutto bene, già il fatto di dover stare lì con la provetta in mano alla ricerca di batteri dai complessi nomi latini è imbarazzante; figuriamoci se a qualche concorrente dovesse venire il mal di pancia.
E comunque Parigi ha fallito la prova della Senna anche nella cerimonia inaugurale: al di là del giudizio estetico, gli atleti e i capi di Stato stranieri sono stati esposti a eccessivi disagi, che le competizioni imminenti e l’età avrebbero sconsigliato.
I trasporti
Inesistenti. In tutte le Olimpiadi vengono predisposte navette per consentire a chi le segue per lavoro di spostarsi da un’arena all’altra. In tutte, tranne che a Parigi. Le navette non si vedono. Ufficialmente ci sono, anche se poche; ma non si trovano quasi mai. Motivazione ufficiale: inquinano. E farle elettriche? Risposta: ingombrano. Certo, c’è il metrò; a volte però chiude presto, a volte qualche stazione in centro non apre proprio. E, come in tutti i Paesi del mondo tranne uno – indovinate quale -, a Parigi si trovano i taxi per strada. Poi però i tassisti devono districarsi in un labirinto di transenne, blocchi, controlli affidati a ogni sorta di reparto delle forze armate francesi, con certi chepì coloniali tipo Dien Bien Phu (peraltro i militari, tra cui moltissime donne, sono tutti gentili, per quanto sempre più arrabbiati).
Infrastrutture
Di facciata. Va bene riciclare; però bisognerebbe almeno adattare. Qui invece hanno preso il palazzo dei congressi della Porte Maillot e l’hanno chiamato centro stampa, senza neppure garantire gli spazi per tutti. Hanno preso il padiglione più brutto della fiera della Porte Versailles, e l’hanno chiamato Arena della pallavolo, fatta con i tubi delle tribune provvisorie. Si tira di scherma (tra ignobili torti arbitrali) al Grand Palais: meravigliose le vetrate, sia pure schermate; ma il Grande Palazzo è un cantiere, si scavalcano cataste di legno e di cavi, si respira polvere di calce e si infastidiscono gli operai al lavoro. Ma la storia più grave è quella della piscina, che non si è potuta fare profonda tre metri, come sempre, a causa di un parcheggio sotterraneo: la vasca è troppo bassa, l’acqua si muove di più – Ceccon se n’è subito accorto -, e i nuotatori perdono quei decimi che fanno la differenza tra un ottimo tempo e un record del mondo.
I volontari
Carinissimi; ma quasi tutti vecchi, tra cui molti non parlano inglese. I pochi giovani sono perlopiù stranieri, che non parlano francese. I ragazzi parigini sono tutti al mare; e i loro coetanei francesi non potevano o non volevano mantenersi a Parigi, condizione indispensabile per fare i volontari. Tutti, vecchi e giovani, sono accomunati da una cosa: non sanno niente. Assolutamente niente. Non sanno dove devono entrare i fotografi, dove i cameramen, dove i membri del Cio, dove gli spettatori, dove i tiratori d’arco, dove i judoka. Non sanno dove sia la toilette e dove sia la buvette, in cui trovare almeno un po’ d’acqua
L’acqua
Con i 36 gradi dell’altro ieri, giustamente venivano diffusi inviti a idratarsi. Ma come? Le bottigliette di plastica sono abolite. Giusto: ma proprio dall’Olimpiade bisognava cominciare? Le code ai vari baretti sono lunghissime. Con i prezzi qualcuno ne approfitta: in un caffè scalcagnato due bottigliette da 25 centilitri d’acqua possono costare 11 euro (voi direte: ordina una bottiglia da un litro. Ma quella non te la danno; «solo ai clienti che mangiano»). Quindi si deve andare in giro con un bicchierone, con cui attingere acqua dove capita, magari al rubinetti della toilette, se la si è trovata. Ma qui torniamo al problema della Senna e dei batteri dal nome latino.
La segnaletica
Insufficiente. Cartelli rosa che tendono a staccarsi, non una cartina, solo App: nostalgia della civiltà della carta, o almeno analogica. Nelle altre Olimpiadi, ognuno apprendeva dai cartelli dove entrare, dove sedersi, dove fare i controlli. Qui ci sono generici «ingressi accreditati», dove in code omeriche si trova di tutto. Al Roland Garros Stefanos Tsitsipas – fisico alto e sottile da divinità olimpica a dieta – si è fatto un quarto d’ora di fila al metal detector con noi mortali; davanti aveva un fotografo con uno zaino enorme; gliel’hanno fatto aprire, dentro c’era un’attrezzatura da spedizione himalayana, esaminata pezzo a pezzo. Tsitsipas con le sue racchette non ha fatto una piega. Ovviamente al Roland Garros ci sono l’ingresso fotografi e l’ingresso atleti. Ma all’evidenza erano chiusi; o forse i volontari hanno indirizzato sia i fotografi sia Tsitsipas nello stesso posto.
Musica
Insistente. I francesi amano Paolo Conte, ma all’evidenza hanno dimenticato la canzone in cui aspetta Bartali: «Sono seduto in cima a un paracarro/ e sto pensando agli affari miei/ tra una moto e l’altra c’è un silenzio/ che descriverti non saprei». Il silenzio nello sport è meraviglioso: la tensione tra un colpo e l’altro, quell’attimo sospeso tra la grazia e l’inferno. Però c’è sempre un dj a rovinarlo con le musichette. È così da tempo; ma ora l’inquinamento acustico sta degenerando. La pallavolo ha adottato i tormentoni musicali del beach volley; a Italia-Brasile il dj metteva Eros Ramazzotti e i Ricchi e Poveri a palla, anche quando dovevano servire i brasiliani, che giustamente si sono lamentati. Se poi c’è una fase di studio nella scherma, gli spettatori partono con la Marsigliese: mai visto, neppure a Pechino 2008, un tifo nazionalista così intenso. Pazienza; in fondo la Marsigliese è un canto universale; però sbagliare l’inno di un Paese martire come il Sud Sudan è stato imperdonabile.
Detto tutto questo, Parigi è meravigliosa, le Olimpiadi sono sempre bellissime, e a Roma lo sarebbero state ancora di più. Alla fine si griderà al successo; perché, come sempre in Francia, quello che conta è appunto la facciata.
(da Il Corriere della Sera)
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