ADDIO A MARCO BOLLESAN, LEGGENDA AZZURRA DEL RUGBY: GENOVA PIANGE IL SUO EROE
AVEVA 79 ANNI, CAPITANO DELLA NAZIONALE CON 47 PRESENZE, POI ALLENATORE DEGLI AZZURRI NEL 1987 DOVE OTTENNE IL MIGLIORE RISULTATO DEI MONDIALI… DAI VICOLI DELL’ANGIPORTO ALLA GLORIA
Marco Bollesan ha passato la palla. Aveva 79 anni, è stato il capitano più iconico della storia del rugby italiano. Terza linea centro, nato a Chioggia ma genovese di adozione: un leone, un guerriero che nelle ultime stagioni – ospite di una struttura a Bogliasco, alle porte del capoluogo ligure – ha lottato a lungo e non si è mai arreso: nemmeno al Covid, che aveva superato nell’estate passata.
“Ho più punti (di sutura) nel mio corpo che quanti ce ne possono stare in un tailleur”, era solito dire. Quarantasette presenze in Nazionale, quando si indossava la maglia azzurra per poche volte in una intera stagione, condottiero di quella banda improbabile e coraggiosa che nel ’72 fu protagonista della prima, vera tournée internazionale in Rhodesia e Sudafrica con il successo sui Leopards, la nazionale nera sudafricana.
Un campione “venerato” dal mondo del rugby
Due scudetti vinti con Brescia e Partenope Napoli, la maglia di Cus Milano e Amatori Milano, ma la sua squadra è sempre stata una sola: il Cus Genova, che lo accolse adolescente e ribelle strappandolo ai vicoli dell’angiporto (“Sapevo solo fare a botte: se non ci fosse stato il rugby, chissà dove sarei finito”) e con il quale sfiorò per tre volte il titolo di campione d’Italia, beffato all’ultimo dal Petrarca Padova.
E poi allenatore della Nazionale protagonista della migliore edizione dei Mondiali di sempre: quella del 1987, con i quarti di finale sfiorati nonostante un girone con Nuova Zelanda, Argentina e Fiji. Tecnico di diversi club italiani (Milano, Livorno, Alghero, Cus Genova) in cui ha portato l’entusiasmo per uno sport di cui è stato interprete assoluto, quasi “venerato” da chi gli è stato a fianco ed è venuto dopo di lui. Serie A, B o C: l’importante era la battaglia, e una birra nel terzo tempo con gli “amici” che lo avevano sfidato. “La faccia sgherra e la testa leonina”, scriveva di lui Giorgio Cimbrico.
Lo storico scontro con “le Mongol”
Storico il suo esordio in azzurro nel 1963 a Grénoble, contro una Francia che sembrava di un altro pianeta ma il giovanissimo Bollesan ci mise tutto il suo proverbiale coraggio guadagnandosi il rispetto di una leggenda dell’epoca, Michael Crauste detto ‘le Mongol’, un gigante coi baffoni spioventi che alla prima mischia gli spaccò un sopracciglio ma Marco – dopo gli ennesimi punti di sutura – gli restituì il colpo: quel giorno, da tutti ricordato come la MalaPasqua, l’Italia perse di soli 2 punti conquistandosi il rispetto dei blasonati avversari.
Genova era orgogliosa del suo campione così come lo è di Eraldo Pizzo, il Caimano della pallanuoto: i due, grandi amici, sono sempre stati accumunati come grande esempio sportivo.
Il suo nome è inserito nella Walk of Fame degli sportivi italiani, al Foro Italico.
Gabriele Remaggi, rugbista e giornalista anche lui scomparso, ne aveva scritto una straordinaria biografia: “Una meta dopo l’altra. Della vita e del rugby”. Vedovo, due figlie che lo adoravano e gli sono state vicino in questo lungo calvario che ha affrontato a testa alta, come ha sempre fatto sul campo.
Il cordoglio di Innocenti, presidente Fir
“Per i rugbisti della mia generazione, per chiunque abbia praticato lo sport tra gli Anni ’60 e gli Anni ’80, ma anche per chi è venuto dopo Marco Bollesan è stato un esempio, l’epitome del rugbista coraggioso, il simbolo di un Gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Ha contribuito a far conoscere il rugby nel nostro Paese ben prima della rivoluzione professionistica del 1996, incarnando lo spirito del rugby italiano per oltre due decenni e rivestendo anche negli anni successivi al suo ritiro dal campo una serie di ruoli strategici per la Federazione. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo ed io, in particolare, porterò sempre nel cuore i suoi insegnamenti e l’onore che mi riconobbe assegnandomi, da Commissario Tecnico, i gradi di capitano della Nazionale durante la propria gestione. Siamo vicini alle figlie Miride e Marella ed a tutta la sua famiglia. Il rugby italiano ha perso uno dei suoi figli prediletti”, ha dichiarato il Presidente della FIR, Marzio Innocenti, esprimendo il cordoglio della Federazione.
I funerali a Boccadasse
Se ne è andato a poche ora da Massimo Cuttitta, 54 anni, altro campione azzurro ucciso ieri dal Covid. I funerali del Capitano si svolgeranno (domani o dopo, la data è ancora da definire) nella chiesa di Boccadasse, davanti al mare e una baia dove solo 13 anni fa Bollesan si era gettato tra le onde impetuose per salvare alcune barche alla deriva, fratturandosi il braccio destro: “E’ una sciocchezza, non sento neanche il dolore”, aveva sorriso come sempre.
Il dolore resta invece insopportabile in tutti quelli che lo hanno conosciuto ed amato.
(da agenzie)
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