AGRICOLTORI SEMPRE PIU’ POVERI, NEL 2009 IL REDDITO E’ CALATO DEL 25%
I PREZZI ALLA PRODUZIONE SONO IN CADUTA LIBERA E I GUADAGNI DI CHI LAVORA LA TERRA SI RIDUCONO….MA AL SUPERMERCATO GLI ALIMENTARI CONTINUANO A RINCARARE…NELLA UE IL CALO E’ STATO CONTENUTO AL 12,2%, SOLO L’UNGHERIA PEGGIO DI NOI
Lasciamo parlare come sempre i numeri, che ben danno l’idea della crisi agricola italiana: i contadini italiani nel 2009 hanno perso il 25% del proprio reddito.
Gli altri in Europa non stanno molto meglio, ma certamente noi stiamo peggio di tutti. Secondo l’Istituto di Statistica europeo, nel 2009, la diminuzione nella Ue a 27 Paesi è stata del 12,2%, circa la metà di quella italiana che si è attestata esattamente al meno 25,3%.
Il calo del reddito, dovuto alla diminuzione dei prezzi alla produzione, ha colpito 22 Paesi della Ue, mentre in soli 5 Stati membri c’è stato un incremento.
Il calo più netto è stato quello dell’Ungheria (-35,6%), seguito da quello dell’Italia (-25,3%), dalla repubblica Ceca (-24,1%), dall’Irlanda (- 22,3%), dalla Germania (meno 21%), dalla Francia (- 19,8%) e altri Paesi.
In aumento invece il reddito degli agricoltori inglesi (+14,3%) di Malta e della Finlandia.
Se consideriamo il peso che l’agricoltura ha nei singoli Paesi, rispetto al Prodotto interno lordo, risulta evidente che un calo del 25% per gli agricoltori italiani è ben più grave rispetto a quelli con ridotta vocazione agricola.
Siamo secondi solo dietro agli ungheresi, reduci da decenni di “socialismo reale”.
Il 2009 ha visto il valore della produzione agricola all’origine diminuire in media del 10,9%: la contrazione più rilevante ha riguardato i cereali (-27,5%), il florovivaismo (- 15,6%), l’olio d’oliva (- 14,7%) e la frutta (- 12,3%).
Quanto al comparto allevamento, le più significative diminuzioni dei prezzi riguardano il latte (- 20,3%), i suini (-4,2%) e i bovini (- 1,8%).
Tutti i comparti produttivi tradizionali dell’Italia agricola incassano una riduzione dei prezzi alla produzione, ma nei supermercati ciò non si è tradotto in una diminuzione dei prezzi al consumatore.
Come dimostra una recente inchiesta della magistratura sui rincari della pasta e sul crollo del prezzo del grano duro, tra materia prima che perde valore e prodotti trasformati che costano sempre di più, risulta chiaro che a rimetterci sono soprattutto i contadini e i cittadini.
Secondo i paladini del liberismo, non sarebbe che il risultato del libero mercato, del rapporto tra domanda e offerta, ma non è così.
Quanto avrebbe inciso la variabile dell’accordo, ad es, tra i maggiori pastifici italiani per tenere alti i prezzi, attraverso un’intesa di monopolio su cui stanno lavorando i giudici?
Poi l’Italia contadina è composta da migliaia di piccole aziende, i grandi latifondi non esistono più.
Pochi ettari per famiglia, mandati avanti a colpi di fatica, sudore e sacrifici di un nucleo familiare.
Il problema è che un milione di imprese agricole italiane fanno ormai faticano a tirare la fine del mese, più o meno come le famiglie degli operai e degli impiegati delle metropoli.
Senza contare gli adempimenti burocratici che rubano ore di lavoro e costano migliaia di euro tra bolli e carte.
Per auspicare un ritorno dei giovani al lavoro agricolo, occorrerebbe poter loro offrire almeno un salario dignitoso che permetta di vivere dignitosamente, invece che renderli vittime della speculazione dei grandi gruppi economici della distribuzione.
Per non parlare di un ministro che tende a tutelare solo le lobbie che gli interessano elettoralmente.
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