AL GOVERNO MELONI NON FREGA NULLA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
CONTANO GLI INTERESSI DELLE LOBBY INDUSTRIALI
Premessa doverosa: come ogni esecutivo, anche quello neonato, guidato da Giorgia Meloni, andrà giudicato per quel che farà, non per quel che ha promesso di fare, o di quel che ci aspettiamo che faccia.
Detto questo, gli auspici che questo governo prenda di petto il problema del cambiamento climatico sono davvero ai minimi storici. E no, non è questione di pregiudizi. Basta una breve ricerca su internet, alla ricerca di dichiarazioni sul tema da parte dei neo ministri, per farsi un’idea di quale sia l’andazzo e dei toni, molto simili a quelli di Trump e Bolsonaro.
Partiamo, ovviamente da Giorgia Meloni, neo presidente del consiglio, secondo cui il problema non è il surriscaldamento dell’atmosfera, né sono gli eventi climatici estremi che ne conseguono, quanto semmai, “Il fondamentalismo climatico” che “ci porterà a perdere migliaia di aziende e milioni di posti di lavoro in Europa”.
Una posizione, questa, condivisa da Antonio Tajani, ministro degli esteri e Vicepresidente del Consiglio, per il quale “serve più tempo per la transizione ecologica perché dobbiamo salvaguardare gli interessi dell’industria”, e pure da Giancarlo Giorgetti, neo ministro dell’economia, per il quale “se spingiamo sulla sostenibilità ambientale avremo gravi conseguenze sulla sostenibilità sociale”.
Sono prese di posizione, queste, che esprimono la linea “fossilista” dell’esecutivo e che si sono sostanziate, soprattutto, nel voto contrario di tutti i partiti della nuova maggioranza contro il blocco europeo alla vendita di auto a benzina o diesel a partire dal 2035.
O a favore dell’inserimento del gas e del nucleare – sul quale sono tutti favorevoli, senza alcun distinguo – come fonti energetiche rinnovabili. Una posizione ben sintetizzata dal neo ministro della difesa Guido Crosetto, secondo cui, “L’ambiente è un tema fondamentale per il nostro futuro ma non è meno fondamentale l’energia”.
La medaglia d’oro del negazionismo climatico se la giocano altri, però. Nello specifico, Matteo Salvini, ministro delle infrastrutture e Vicepresidente del Consiglio e Daniela Santanché ministro del turismo. Secondo Salvini, che avrà la delega su numerosi capitoli di spesa del Pnrr, “da quando hanno lanciato l’allarme del riscaldamento globale fa freddo, c’è la nebbia. Lo sto aspettando questo riscaldamento globale”. Per Santanché, invece, le manifestazioni dei giovani contro il cambiamento climatico sono “una buffonata per saltare la scuola in massa”.
Unica isola di consapevolezza, in un oceano di benaltrismo e negazionismo, è proprio il ministro con delega al mare e al Sud, Sebastiano “Nello” Musumeci, che nell’estate appena trascorsa, da governatore della regione Sicilia, ha toccato con mano la devastazione indotta dagli eventi climatici estremi: “Come più volte abbiamo ribadito – ha detto Musumeci giusto un anno fa – dobbiamo affrontare gli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico su un duplice piano: con interventi di contrasto al dissesto idrogeologico e con provvedimenti del governo nazionale che, da straordinari, devono diventare ordinari, al pari della non più eccezionale cadenza di questi eventi”.
Speriamo qualcuno lo ascolti, o che l’aria di Roma non gli faccia dimenticare queste sue parole. Soprattutto, speriamo che arrivino alle orecchie giuste. Ad esempio, quelle del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica – e mai nome di una delega fu più rivelatrice – Gilberto Pichetto Fratin, di cui non si registra alcuna dichiarazione sul cambiamento climatico. Notevole, se si pensa che i prossimi cinque anni – lo dice la conferenza intergovernativa sul clima dell’Onu, non noi – saranno decisivi per l’implementazione di politiche volte a mitigare gli effetti del riscaldamento del pianeta, e per provare a invertire la rotta.
Se il buongiorno si vede dal mattino, insomma, saranno cinque anni torridi. Letteralmente.
(da Fanpage)
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