ALEKSEJ VENEDIKTOV, VECCHIO AMICO DI “MAD VLAD”: “PUTIN BOMBARDA PERCHÉ SI RENDE ANCHE CONTO CHE IL SUO TEMPO È LIMITATO, PUTIN NON VUOLE LA PACE, E SECONDO ME NEPPURE ZELENSKY. PER RAGIONI DIVERSE, OVVIAMENTE. PUTIN NON HA RAGGIUNTO I SUOI OBIETTIVI, E QUINDI STA ACCELERANDO
“A LIVELLO TERRITORIALE, È CHIARO COSA VUOLE: LE QUATTRO PROVINCE, PER INTERO. PUÒ AVERLE ANCHE SENZA GUERRA, A MIO AVVISO, TRATTANDO CON GLI USA. MA NON SI FIDA. CAPISCE CHE TRUMP È A CORTO DI TEMPO: DEVE OTTENERE UN RISULTATO PUR CHE SIA. E SICCOME NON SI FARÀ DETTARE LA FINE DELLE OSTILITÀ DA UN PRESIDENTE USA LUNATICO, STA FORZANDO LA MANO”
«Che orrore». Aleksej Venediktov ascolta in silenzio un rapido resoconto del massacro di Sumy. I media russi l’hanno presentato come un generico colpo inferto a un raduno di militari. Appena dieci giorni fa avevamo incontrato il settantenne fondatore di radio Eco di Mosca in un ristorante poco distante dal ministero degli Esteri. Mentre parlava a ruota libera, sono entrati gli uomini del Cremlino, gli assistenti personali di Vladimir Putin.
E tutti si sono avvicinati al nostro tavolo per salutare il vecchio amico e confidente del presidente, che nonostante sia stato dichiarato agente straniero per via della sua dichiarata contrarietà alla guerra, conserva intatta la sua agibilità sociale. Zona grigia, in purezza. Ma anche una conoscenza dei fatti unica
Non conta nulla il fatto che Trump ha ridato una centralità politica alla Russia?
«Il candidato alla Casa Bianca preferito dal Cremlino non era Kamala Harris, e non era Trump. Il candidato ideale è sempre il signor Caos. Forse, Putin avrebbe preferito un presidente democratico debole come Harris, con il Congresso repubblicano, quindi il caos. Invece si ritrova con Trump, che consegnò le armi letali all’Ucraina durante il primo mandato, che bloccò
Nord Stream. Non Obama, non Biden, gente facile da “gestire”, ma uno che così come ha staccato gli aiuti all’Ucraina, così li ha riattaccati. E cosa potrebbe togliere alla Russia, non lo sa nessuno».
Lei crede che questi negoziati porteranno a qualcosa?
«Qualche risultato arriverà. Steve Witkoff si occupa allo stesso modo sia di Israele, sia del conflitto armeno-azero, sia della Russia e dell’Ucraina. Su tutti questi scenari, essendo in buona sostanza disinteressati ai torti o alle ragioni, gli Usa conoscono solo una strategia: il congelamento. Se lo chiede a me, credo che ne verrà fuori una partizione mai risolta e mai ufficiale, una specie di Cipro del Nord».
Intende il Donbass o l’intera Ucraina?
«Mi riferisco all’intera Ucraina, purtroppo. Quanto al Donbass, il problema principale è la gente del luogo. Lugansk più Donetsk: sono cinque milioni di persone. Due milioni stanno in Russia, già da prima dell’inizio della guerra; un milione e mezzo stanno in Ucraina: sono profughi. Lasciando da parte eventuali linee di confine: che ne sarà di questa gente?»
Putin non sembra avere intenzione di fermarsi.
«Con la semplice tregua, non finirà nulla. Bisogna separare i sogni dalla realtà. Putin non vuole la pace, e secondo me neppure Zelensky. Per ragioni diverse, ovviamente. Putin non ha raggiunto i suoi obiettivi, e quindi sta accelerando. Sta cercando una via più veloce, con altre armi, magari con una mobilitazione camuffata».
E Zelensky?
«Per lui è diverso. È il suo popolo che non vuole la tregua. Qui in Russia, Putin non dipende dall’opinione pubblica, se la disegna lui da solo. Zelensky invece dipende dalla popolazione ucraina. E da tutti i sondaggi emerge che la gente non desidera alcun accordo con il Cremlino sanguinario. Trump lo sa, e infatti si rivolge al Cremlino».
Quindi bisogna aspettare che Putin si prenda tutto quello che pretende?
«A livello territoriale, è chiaro cosa vuole. Le quattro province, per intero. Può averle anche senza guerra, a mio avviso, trattando con gli Usa. Ma non si fida. E quindi bombarda, e accelera. Perché si rende anche conto che il suo tempo è limitato».
Ma se ha settant’anni ed è certo di rimanere presidente fino al 2036«Una volta Mikhail Gorbaciov mi disse: “Alyosha, al Cremlino non ci sono ingenui”. La missione che si è dato Putin è inattuabile. Non riuscirà a creare un impero come quello cinese o quello americano. Ma lui non lo sa, e si sente in ritardo sulla tabella di marcia. In più, capisce che Trump è a corto di tempo: deve ottenere un risultato pur che sia. E siccome non si farà dettare la fine delle ostilità da un presidente Usa lunatico, sta forzando la mano».
(da “Corriere della Sera)
Leave a Reply