ALLA BRIGATA WAGNER NON RESTA CHE TORNARE IN AFRICA: ACCERCHIATO DAGLI UCRAINI E DAI “FRATELLI COLTELLI” DEL MINISTRO DELLA DIFESA RUSSO, IL CAPO DEI MERCENARI, EVGENY PRIGOZHIN, POTREBBE TORNARE NEL CONTINENTE NERO
LO “CHEF DI PUTIN” SI È ANCHE RIVOLTO ALLA CASA BIANCA PER UNIRE LE FORZE E GARANTIRE LA “SICUREZZA E STABILITÀ” IN AFRICA IN CAMBIO DI CONCESSIONI MINERARIE
Il capo dei mercenari del gruppo Wagner, Prigozhin, signore della guerra e sedicente conquistatore di Bakhmut, sa benissimo di non poter apparire come un trionfatore, davanti alle fosse delle migliaia e migliaia di suoi miliziani mandati al macello per un pugno di macerie.
I generali ucraini gli avevano profetizzato un futuro da topo in trappola, che non può avanzare e neppure arretrare: davanti ci sono le forze riorganizzate di Kiev, alle spalle i “fratelli coltelli” del ministero della Difesa russo. E allora, secondo un’analisi di Foreign Affairs, non gli resta che tornare al “mal d’Africa”.
Al lavoro che gli è riuscito meglio: le operazioni di sicurezza (anche personale) in una sfilza di Stati africani a rischio di terrorismo jihadista e di rivoluzione interna: dal Mali al Burkina Faso, dal Sudan alla Repubblica centrafricana, ma anche in Mozambico e Zimbabwe, e se non armati di Kalashnikov, quanto meno di computer e hacker per indirizzare il voto nelle elezioni. Sempre in chiave antieuropea e antiamericana.
Prigozhin è stato abbastanza spregiudicato negli ultimi mesi, quando già sentiva odore di mancata vittoria a Bakhmut, da rivolgersi in più occasioni direttamente, con lettere pubbliche, alla Casa Bianca e proporre di unire le forze per la «sicurezza e la stabilità» del continente.
E aggiungendo un astuto riferimento alle missioni umanitarie, ha varato il progetto “Wagner save Africa”. Ovvio, niente si fa per nulla. Tanto meno Prigozhin, che si fa “pagare” con le concessioni minerarie e lo sfruttamento dei ricchi giacimenti d’oro.
Scrive Foreign Affairs che dal Sahel al Corno d’Africa e a Maputo, quello offerto da Wagner è un vero “ricatto faustiano”. Un pezzo d’anima in cambio di sicurezza. Prigozhin potrebbe spostare le sue unità mercenarie dal Donbass al Sahel, là da dove molti dei suoi “assoldati” provenivano.
Per dirla con l’editorialista del “Telegraph”, Dominic Nicholls, una delle ragioni per cui i miliziani di Prigozhin non hanno sfondato a Bakhmut è che «sono abituati a usare i fucili nella guerriglia urbana», il tipo di guerra che si fa in Africa, mentre «in Ucraina bisogna saper combattere coi carri armati in campo aperto».
Per questo, le truppe di Wagner avevano il disperato bisogno di una copertura efficace sui fianchi, venuta meno nel momento in cui il loro capo si è intestardito a scagliare invettive contro il ministro della Difesa, Shoigu.
Argomenta l’Institute for the study of war che i mercenari si erano resi conto di essere al culmine della loro azione già a fine dicembre. «E adesso è improbabile che continuino a combattere oltre Bakhmut nello stato di degrado delle forze in cui si trovano».
Niente più operazioni all’attacco. È l’ora di mettersi sulla difensiva, una guerra che non fa per i mercenari forgiati dal corpo a corpo aggressivo in Africa.
L’ambizione di Prigozhin non ha limiti o confini, lambisce addirittura l’America puntando a Haiti. Lo scenario ucraino si è rivelato una trappola mortale, la lotta per il Cremlino un miraggio. La multinazionale dell’orrore, “l’orchestra” come amano chiamarsi, si rintana nei luoghi del “primo amore”. L’Africa.
(da Messaggero)
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