ARMIAMOCI, MA CON CHE SOLDI? ANCHE SOLO PER ARRIVARE AL 2% DALL’1,5% ATTUALE, IL TESORO ITALIANO DEVE TROVARE 8 MILIARDI DI EURO
A PALAZZO CHIGI PENSANO A UN SOLITO ITALICO “TRUCCHETTO” PER DIMEZZARE GLI INVESTIMENTI REALI: INSERIRE NEL CONTEGGIO DELLE SPESE PER LA DIFESA LE ATTIVITÀ “CIVILI-MILITARI”, COME I “SERVIZI DI METEOROLOGIA” O DI SUPPORTO ALLA NAVIGAZIONE
A scanso di equivoci il vicepresidente della Commissione europea Raffaele Fitto ribadisce il concetto: «I soldi della politica di coesione vengono riprogrammati e ogni Stato membro deciderà liberamente se farlo o non farlo». Se dunque Giorgia Meloni terrà fede all’impegno preso in Parlamento, i soldi necessari ad aumentare la spesa militare italiana non arriveranno dalle risorse dedicate al Mezzogiorno, circa 42 miliardi di euro messi a disposizione ogni sette anni attraverso il bilancio europeo.
Ma la prima domanda alla quale rispondere è: come faremo allora a tenere fede all’impegno fissato dall’Unione di far salire la spesa per la Difesa al tre per cento della ricchezza prodotta
Facciamo due conti. Oggi l’Italia spende in armamenti poco più dell’1,5 per cento Pil, pari a 33,5 miliardi di euro l’anno. Per arrivare al 2 per cento ne occorrono circa 44, dieci in più. Per arrivare al tre per cento il costo raddoppia a 66 miliardi, oltre trenta miliardi in più.
Una cifra enorme, per finanziare la quale il governo ha davanti a sé due strade: aumentare il debito pubblico, o tagliare alcune delle grandi voci della spesa pubblica. La deroga al patto di Stabilità decisa da Bruxelles lo scorso 6 marzo lascia la possibilità di scegliere la prima soluzione, che però – pur avendola a lungo proposta e sostenuta – ora l’Italia teme di percorrere. La causa è anzitutto nei dazi di Donald Trump, che hanno fatto crollare le prospettive di crescita, e delle scelte tedesche, che con la revisione della regola del debito hanno fatto aumentare il costo del debito pubblico di tutti i Paesi dell’area euro.
Dunque non restano che i tagli. Ma quali? La lista delle macro-voci del bilancio pubblico non lasciano spazio alla fantasia: 318 miliardi di euro l’anno per le pensioni, 125 miliardi per la Sanità, 75 per onorare gli interessi sul debito pubblico, 60 per politiche sociali e famiglia, 52 per istruzione, 40 per le imprese, 20 per il lavoro. Si dirà: nell’enorme calderone della spesa (oltre 800 miliardi) ci sarà qualche spreco.
Per averne conferma basta aprire la home page di OpenCoesione, il sito della presidenza del Consiglio che con una qualche trasparenza fa la contabilità di quel che l’Italia ha speso e spende di quei 42 miliardi a disposizione ogni sette anni. Ebbene, se si guarda all’insieme delle spese effettuate a partire dal primo ciclo di programmazione – era il 2000 – l’Italia ha utilizzato solo il 31 per cento delle risorse.
Il resto è rimasto nelle casse comunitarie, con buona pace di quei sindaci e governatori che quei fondi li difendono ma non sono mai in grado di attingere fino in fondo. Dice la presidente sarda Alessandra Todde: «Sono preoccupata per la revisione della politica di coesione perché quei fondi sono uno strumento fondamentale per lo sviluppo dei contesti più periferici dell’Europa. Nella mia regione vorremmo vederli sempre più decentralizzati».
In realtà, proprio per ovviare alla scarsa efficienza degli enti locali, il governo Meloni nel frattempo ha fatto l’opposto, ovvero centralizzato quel capitolo di spesa e costretto i governatori regionali a firmare singoli accordi con Palazzo Chigi. Il processo è durato mesi, e per questo la contabilità di OpenCoesione ammette che nell’attuale settennato (2021-2027) sono stati impiegati fin qui appena il 2 per cento delle risorse
Resta poi da capire quanta parte di queste risorse andrà agli armamenti in senso stretto e quanto a investimenti in senso più largo al settore. Diceva ieri Fitto: «Nella riforma dei fondi di coesione abbiamo dato cinque priorità, una di queste è la difesa, ma non ha nulla a che fare con l’acquisto di armi o di attrezzature da guerra, ma di investimenti sul fronte dell’innovazione».
(da agenzie)
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