ARRIVA DAVIGO, A CHI FISCHIANO LE ORECCHIE?
UN UOMO DI DESTRA, INDIPENDENTE E FUSTIGATORE DEL MALCOSTUME POLITICO, FAVORITO NELLA CORSA AI VERTICI DELL’ANM
Fischiano molte orecchie alla notizia della possibile, ma per nulla ancora scontata, elezione di Piercamillo Davigo al vertice dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati). Un segnale forte, e dalle mille sfaccettature. All’esterno e pure all’interno del sistema delle toghe italiane.
Un monito virtuoso per il futuro ma anche un campanello d’allarme che ci dice che forse nell’eterna transizione italiana, si è sempre al punto di partenza.
La storia e il profilo di Davigo sono noti a tutti. Magistrato di punta di Mani Pulite, preparato, rigoroso.
Uomo di destra cultore del primato di una fredda tecnocrazia giuridica. Aperto fustigatore della politica e dei malcostumi del nostro paese che in un’epica e non del tutto felice esternazione annunciò che loro, i magistrati, avrebbero provveduto a “rivoltare come un calzino”.
Ma era il 27 settembre del 1994 e, come si dice, tant’acqua è passata sotto i ponti. O forse troppo poca, se così spesso sul fronte della questione morale sembriamo eternamente nel medesimo stagno; come proprio Davigo ancora ieri ricordava dal Brasile, così a un tempo confermando le sue denunce ma pure rivelando il sostanziale fallimento di quella che, con qualche superficiale entusiasmo, proclamammo rivoluzione etico/giudiziaria.
Ma, nel suo rigore, Davigo è ancora oggi il simbolo del contropotere, del guardiano occhiuto che non fa sconti alla politica, ai colletti bianchi.
Il tutto accompagnato (particolare niente affatto secondario) da una grande capacità di comunicazione ed esternazione, un’empatia con gli ascoltatori televisivi nelle sue non rare apparizioni, che peraltro ha sempre accostato ad un’immagine di indiscussa indipendenza e autorevolezza.
E qui sta l’ulteriore tratto della meno conosciuta sua vicenda recente, tutta interna alle dinamiche delle toghe, quando Davigo storico rappresentante della corrente di destra denominata Magistratura Indipendente, ha deciso di rompere con questa in dichiarata polemica per l’eccessiva corrività con l’attuale potere politico ed esecutivo plasticamente incarnata da Giacomo Ferri, giudice e sottosegretario nel governo Renzi.
Evidente quindi che la sua possibile elezione al vertice delle toghe, fischi innanzitutto alle orecchie del PD e del premier, attore sostanzialmente solitario di una politica che pur non senza contraddizioni, afferma di voler rialzare la testa.
Rivendica di avere, pur non senza compromessi e strafalcioni, la forza dell’autoriforma. Una Politics che non solo respinge reprimendo ma persino fustiga essa i magistrati di ogni ordine e grado talvolta a ragione ma spesso anche sapendo di ammiccare al ventre molle di una società non proprio incline ad accettare un diffuso ed efficace controllo di legalità .
Ecco allora che ove la possibile elezione di Davigo diventasse realtà , il suo effetto simbolico sarebbe inequivocabile. Insieme virtuoso ma anche spietato indice di un eterno ritorno del sistema paese al punto di partenza.
Il corpo sociale che rappresenta il contropotere sceglie una guida forte, di marcatissima indipendenza.
La politica sappia che sul versate sindacale della magistratura avrà un contraddittore fermo e inattaccabile, irreprensibile e di grande forza comunicativa.
Sul fronte istituzionale un guardiano occhiuto e intransigente. Il tutto è senz’altro utile in una logica di check and balance ma non vi è dubbio che la stessa scelta di una personalità affermatasi oltre un quarto di secolo fa e in ragione della forza simbolica che sin da allora acquisì, non può che apparirci indice di una mai nata autentica stagione riformista.
Come se l’alternativa non possa che essere tra immobilismo e patti con Verdini tra banche e nazareni, che non può stupire generino il ritorno in campo di Davigo.
In un’ottica meno pessimista una così autorevole scelta può salutarsi come segmento di una circuito virtuoso.
Poteri e contropoteri dotandosi tutti di guide forti (da Renzi a Davigo) possono reciprocamente pungolarsi e migliorarsi, gettando via per quanto possibile scorie e compromessi.
C’è ne è davvero tanto bisogno in politica, ma anche tra le toghe.
Gianluigi Pellegrino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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