ASTROLUCA PARMITANO: “LO SPAZIO E’ IL MIRACOLO DI ESSERE TUTTI SOTTO LA STESSA BANDIERA”
CONFERENZA STAMPA A COLONIA DOPO SEI MESI NELLO SPAZIO
È rilassato AstroLuca, tornato sulla Terra dalle stelle. Il sorriso ampio e la camminata spedita, solo la voce un po’ debole tradisce la stanchezza per il viaggio turbolento che lo ha riportato a Terra due giorni fa e per il trauma di avvertire di nuovo il proprio peso, dopo aver fluttuato per oltre sei mesi (“ho avuto 41 anni per abituarmi alla gravità terrestre”).
Luca Parmitano si è presentato per il primo incontro con la stampa al centro astronauti dell’Esa di Colonia, dove sta affrontando la prima parte del recupero fisico. In platea ad ascoltarlo anche la collega Samantha Cristoforetti, che sarà la prossima a partire alla volta del laboratorio orbitante.
La sua è stata una lezione di umanità e umanesimo. Nel dare merito non a sè stesso dei risultati raggiunti, ma a un grande lavoro di squadra in un vasto progetto di cui lui è una pedina al servizio di una causa più grande.
Il sentimento del ritorno, commosso e felice, unito alla determinazione e consapevolezza del successo. Ci porta una lezione esemplare: se vuoi, puoi: “Il limite lo stabilisci tu”. A cominciare dalle sorti del Pianeta, che sono nelle nostre mani, e le prime vittime potremo essere noi stessi.
Prima stempera l’emozione con una battuta: “Grazie per essere qui oggi, è sabato ed è ora di pranzo, vale doppio”. Poi racconta delle sue emozioni, quelle di essere tornato a casa: “Cito una canzone dei King Crimson che amo: ‘Possiamo tutti sederci e ridere, ma temo che domani piangerò’. Scusatemi se sono commosso, ma sono emozionato per molte ragioni”.
E racconta dello spazio: “La Iss è un posto di lavoro in cui ci sono persone che sono diventate amici, quando mi chiedono cosa preferisci dello spazio io dico che non c’è una cosa che preferisco. Lo spazio è casa, è come chiedere quale parte della vita preferisci. Io rispondo ‘tutto'”.
Ma sulle immagini che porta a casa un ricordo supera gli altri: “Le nubi nottilucenti, che si vedono solo in certe condizioni sopra i poli. Un grande regalo che ho avuto il piacere di condividere con Jessica (Meir ndr). Abbiamo ogni giorno foto bellissime da satellite, ma la parte umana è mettere te stesso in quel ricordo, non solo la vista: c’è un po’ di Luca in quella foto, di Jessica in quell’altra. Questo rende il volo umano nello spazio così speciale”.
La lezione dello spazio
“È sempre difficile scegliere un evento su tutti gli altri per rappresentare tutta una missione, è ingiusto – continua il colonnello – ma voglio sottolineare l’aspetto umano come retaggio più importante della Iss. L’incredibile capacità , quasi vicina al miracolo, di unire sotto il grande sogno e la bandiera dell’esplorazione tecnologica e scientifica, persone con retaggi culturali diversi. Nei dieci giorni di transizione dalla expedition 60 alla 61, sulla Stazione spaziale c’era Hazza Al Mansouri, il primo astronauta degli Emirati Arabi, arrivato in volo con Jessica Meir che è di discendenza ebraica. Arrivano come individui comuni come tutti noi, lavorano come un equipaggio e rientrano come fratelli e sorelle. Questo è miracoloso in un periodo storico molto particolare, con tensioni che dividono e polarizzano. L’esplorazione non solo tecnologica ma umana, sotto l’egida del desiderio di evolvere ed essere migliori. Questo secondo me deve essere un esempio per il futuro”.
Forse l’impresa più emblematica della sua seconda missione nello spazio (201 giorni in orbita, durante i quali è diventato e quattro mesi al comando della Stazione spaziale internazionale (terzo europeo e primo italiano), sono state le quattro attività extra veicolari per riparare il “cacciatore di antimateria” AMS-02: “Le considero tra i momenti più alti della mia attività professionale – spiega rispondendo a una domanda – mi avevano contattato nel 2014 per sapere cosa pensavo della fattibilità di ripararlo. Dissi che si doveva trovare il modo. Le cose che vale la pena fare non sono quelle semplici. È stata una soddisfazione aver superato un ostacolo molto complesso, ma io non voglio prendermi il merito, perchè ci sono state decine di persone che ci hanno lavorato e grazie a loro e all’addestramento a terra siamo riusciti a non perdere nemmeno una vite”.
“Quanto oltre vuoi andare?”
La missione di Parmitano si chiama Beyond, “Oltre”. A una giovanissima tra il pubblico che gli chiede “quanto oltre vuoi andare”, lui risponde: “Tu scegli il limite. La tua generazione otterrà molto più della mia. Il tuo desiderio sarà il tuo motore che ti farà arrivare dove vuoi, Luna, Marte o altrove. Questo è quanto voglio arrivare lontano e quanto veloce”.
La sua missione è stata un passo in avanti verso questi obiettivi, racconta Parmitano, sia di conoscenza che tecnologici, soprattutto degli effetti del corpo umano nello spazio.
Ma i benefici di questi progressi saranno anche per noi che siamo con i piedi sempre piantati a terra: “Siamo stati molto occupati a fare ricerca, ho riposato solo tre weekend in 201 giorni e stiamo ottenendo più della prima volta. Abbiamo fatto un sacco di esperimenti, uno ce l’ho addosso anche ora per monitorare i battiti cardiaci e il respiro. La tecnologia farà grandi passi avanti, come la possibilità di stampare tessuti organici. Ma ci sono molti più umani sulla Terra che nello spazio, l’impatto più alto sarà nella vita di tutti i giorni che per un viaggio interplanetario”.
La Terra, un grande essere vivente
Non poteva non raccontare delle foto dallo spazio, del Pianeta che soffoca e dei cambiamenti climatici: “Si chiama ‘overview effect’ – spiega Parmitano – pensi di conoscere qualcosa e di esserne una parte integrante, poi lo vedi da lontano e ti rendi conto che quello che hai visto è una piccolissima parte del tutto. Il Pianeta è un enorme essere vivente, le nuvole sono il respiro che si muove con le correnti, le acque di fiumi mari sono il sangue. Da lassà sembrano fermi ma si vede da lontano questo respiro, questo moto interno. L’atmosfera è così sottile e fragile, la bellezza della natura che si ribella della sua capacità devastante di farci sentire piccoli può fare paura. Nei sette mesi in orbita ho assistito a uragani dall’intensità mai vista prima sulle Bahamas e Porto Rico; fuochi nella Foresta amazzonica, in Africa. In Australia ho iniziato a fotografarli a settembre, se ne continua a parlare a gennaio, un intero continente color rosso, coperto di polvere di cenere visibile per centinaia o migliaia di chilometri. Questo ci fa pensare all’elemento più fragile di tutto questo: siamo noi, perchè la vita continuerà ben oltre alla capacità dell’uomo di resistere ai danni che stiamo facendo, la vita è perfettamente allineata con i principi fisici dell’Universo, in particolare l’entropia. La vita continuerà ma non è detto che ci sia l’uomo in questo sistema, quindi è il momento di agire”.
(da agenzie)
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