AVVOCATO DI UNA CAUSA PERSA
CONTE IN SENATO DIFENDE UN ACCORDO AL RIBASSO… SALVINI E DI MAIO NON CI METTONO LA FACCIA…SMARRIMENTO NELLA MAGGIORANZA
L’avvocato del popolo italiano si presenta in aula al Senato. Ha un fascicoletto di fogli in mano. Contengono una tesi difensiva, quella per il suo Governo, buona al massimo per una condanna per le attenuanti.
Giuseppe Conte arriva a Palazzo Madama alle 13, con un’ora di ritardo. “Perchè intorno a mezzogiorno ci è arrivata comunicazione formale che non sarà aperta una procedura d’infrazione”, spiega, incassando il boato della sua maggioranza.
Un’esplosione d’entusiasmo isolata. Certo, l’eloquio del presidente del Consiglio è misurato, calibrato, non cerca l’applauso.
Ma la tensione mista a freddezza dai banchi gialloverdi è palese. Oscuri presagi si sono intravisti sin dal principio del suo breve discorso. “Abbiamo salvaguardato l’impostazione della manovra, non abbiamo ceduto sui contenuti”, dice. E gli si rompe il microfono.
Momenti di profondo imbarazzo, poi è costretto a far alzare Alfonso Bonafede e a spostarsi di posto. Rompendo l’immagine potentissima che lo vedeva schierato davanti ai senatori con Giovanni Tria e Enzo Moavero ai lati.
Il custode dei conti e il gran tessitore con le migliori entrature nell’euroburocrazia quali pretoriani. Luigi Di Maio e Matteo Salvini non ci sono.
Appena il premier finisce di parlare arrivano dei comunicati prestampati di appoggio e sostegno. Troppo poco. Perchè l’assenza di entrambi i vicepremier nel giorno in cui il Governo è costretto a mettere nero su bianco la ritirata è fragorosa.
Conte spiega che saranno costretti a estendere le clausole di salvaguardia dell’Iva al 2020 e 2021, che la previsione di crescita per l’anno prossimo verrà rivista al ribasso, appena all’1%, che l’Europa ha messo sotto tutela l’esecutivo con un fondo di 2 miliardi da congelare nel caso i conti fossero sballati.
Conte spiega tutto questo, mentre i leader politici della maggioranza di governo sono altrove, non mettono la faccia su quella che suona una resa.
Il Pd schiamazza. “Ma chi sei, il mago Silvan!”, si sente urlare dai banchi democratici. Sono Davide Faraone, un habituè dello scontro verbale, e Teresa Bellanova i più intemperanti.
La presidente Elisabetta Casellati si affanna per recuperare l’ordine. E non senza qualche ragione apostrofa i banchi in cui è seduto anche Matteo Renzi, che compulsa lo smartphone: “Avete chiesto voi a gran voce che il presidente venisse qui, ora fatelo parlare”.
“Abbiamo realizzato appieno il mandato conferitoci dai cittadini, trovando una soluzione buona per gli italiani e soddisfacente per l’Europa”.
I toni trionfalistici e l’aggettivazione esasperata lasciano il posto alla prudenza. Quando termina di parlare Renzi schizza via, non prima di aver salutato calorosamente Giancarlo Giorgetti.
Mentre Adolfo Urso tuona dai banchi di Fratelli d’Italia che quella del cambiamento è “la prima manovra comunista della storia”, Francesco Bonifazi e Alberto Bagnai, professore in camicia verde, conversano amabilmente proprio sotto i banchi 5 stelle, dai quali parte qualche occhiata preoccupata.
Intervengono in batteria prima Maurizio Romeo e quindi Stefano Patuanelli. La maggioranza schiera i capigruppo, che fanno risalire l’indicatore dell’enfasi, alzano i toni, sciorinano due comizi paralleli per infondere rinnovato slancio alle truppe e allontanare la malinconia.
Quella del capo dei senatori del Carroccio è un’incoronazione sghemba: “Molti dovranno ricredersi, Conte a dimostrato di essere un ottimo mediatore e negoziatore”. Il 5 stelle conclude stentoreo: “Lei è stato davvero l’avvocato dei cittadini”. Un legale ha chiuso la pratica con il massimo possibile. Un patteggiamento.
(da “Huffingtonpost”)
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