BAMBOLE NON C’E’ UN EURO: LETTA PROVA A PASSARE L’ESTATE
OGGI IL DECRETO PER SOSPENDERE L’IMU E PER GARANTIRE UN PAIO DI MESI DI CASSA INTEGRAZIONE. SPERANDO NELL’EUROPA
Lo dice lui stesso: “Non sarà il decreto dei miracoli”.
Il premier Enrico Letta, a Varsavia, incontra il primo ministro polacco Donald Tusk (da un po’ di tempo alleato dell’Italia in Europa) e parla del Consiglio dei ministri di oggi.
Il suo minimalismo è fondato: l’Imu verrà sospesa fino a settembre, nessuno sconto per i capannoni industriali e le imprese, che anzi subiranno i rincari già previsti.
La cassa integrazione in deroga verrà rifinanziata, ma a fronte di richieste dalle Regioni per 1,5 — 2 miliardi arriveranno soltanto 700-800 milioni.
“Soldi che bastano per un paio di mesi”, dice il sottosegretario al Welfare Carlo Dell’Aringa.
E poi? “In questi due mesi cercheremo di capire quanti soldi servono davvero per arrivare alla fine dell’anno, perchè c’è il sospetto di un uso un po’ improprio della cassa in deroga che questo governo vuole comunque eliminare nell’ambito di una riforma degli ammortizzatori”, dice Dell’Aringa.
Ma è chiaro — lo ammette anche il sottosegretario — che il governo è saldo soltanto fino a settembre: “Devono arrivare svolte concrete dall’Europa”, dice Dell’Aringa.
Sottinteso: se non si trova un compromesso con Bruxelles per fare investimenti fuori dal deficit (cioè per fare un po’ di spesa pubblica senza irritare i mercati), il governo andrà a casa.
È quello che dice in modo ancora più esplicito il capogruppo del Pdl, Renato Brunetta: “Entro agosto bisogna fare la riforma complessiva della tassazione degli immobili, compresi i capannoni, altrimenti cadrà il governo Letta”.
Il 29 maggio si chiuderà la procedura d’infrazione per l’Italia, a quel punto il governo Letta avrà una finestra di un paio di mesi per mettere le basi della sua stessa sopravvivenza: rientrato nella lista dei virtuosi (cioè col deficit sotto il 3 per cento del Pil) chiederà margini per investire e spendere. In alternativa, ma è un’ipotesi finora esclusa dal ministro per gli Affari europei Enzo Moavero e dagli altri negoziatori e dallo stesso Letta, potrebbe far emergere un deficit superiore al 3 per cento, magari aggiustando le previsioni di crescita verso il basso, e chiedere un paio d’anni per tornare sotto il tetto.
Come hanno fatto Francia e Spagna.
Ma finora sia Mario Monti, prima, che Letta oggi hanno sempre considerato troppo rischiosa questa tattica: l’Italia ha un debito enorme, sopra il 130 per cento del Pi, ed è ancora in recessione.
Compromettere l’unico risultato raggiunto, quello sul deficit, potrebbe scatenare il panico sul mercato, disperdendo quel tesoretto di risparmi dovuto al calo dello spread.
Letta quindi continua a essere prudente ma chiede che Bruxelles “non dia soltanto dichiarazioni astratte”.
Certo, la nostra posizione europea è stata migliore: la Francia, che Monti aveva usato come ariete per far passare le richieste italiane, ora è fragile.
Il presidente Franà§ois Hollande era stato assai poco delicato dicendo che con l’Italia “non c’è alcun asse contro la Germania” che Parigi è preoccupata di irritare.
Ieri Hollande ha provato a rimediare “c’è pieno accordo con Enrico Letta”, il quale si sforza di togliere dall’imbarazzo il collega dicendo: “Ho fortemente condiviso le parole di ieri di Hollande: non c’è nessuna volontà da parte dell’Italia di creare assi contro la Germania”.
Schermaglie, tatticismi che permettono di sopravvivere alla giornata.
Ma tutto il governo sembra sospeso in una condizione di incertezza esistenziale: l’Imu va cambiata, ma nessuno sa esattamente come (anche dal Pd dicono che non sarà più pagata allo stesso modo), i soldi per alleggerire il carico fiscale dagli immobili delle imprese paiono impossibili da trovare, anche se quell’intervento aiuterebbe l’economia molto più che detassare la prima casa.
Il ministro del Welfare Enrico Giovannini vuole ritoccare la riforma delle pensioni e quella del lavoro, ma non sono cose che si fanno in due mesi con la crisi di maggioranza che incombe. Con le elezioni sempre possibili, nessun partito accenna idee su dove trovare le coperture: guai a proporre patrimoniali o accise, sempre poco popolari.
Mario Monti rifiutava la massima di Giulio Andreotti “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
Enrico Letta, invece, ha sempre guardato con simpatia e un po’ di ammirazione al talento tattico andreottiano.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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