“BASTA LECCARE IL CULO A SALVINI”: LA LEGA VUOL TORNARE PADANA
IL CONFRONTO TRA I CANDIDATI ALLA SEGRETERIA DELLA LEGA LOMBARDA IN QUEL DI SORISOLE
Lunedì sera fa freddo e in più gioca l’Atalanta. Chi lo fa fare di uscire di casa? Ma intorno alle 9 di sera il centro civico di Petosino, già bardato di bandiere della Lega lombarda, inizia a riempirsi. Cinquanta, cento, duecento persone che si riconoscono e si chiamano per nome. Sono arrivate qui perché in questo piccolo centro della Bergamasca (Comune di Sorisole, 8 mila anime) è previsto il primo e unico confronto tra candidati alla segreteria regionale del Carroccio, finalmente a congresso dopo dieci anni.
Matteo Salvini aveva chiesto un nome unitario per evitare una conta interna, ma invece che diminuire gli aspiranti segretari sono aumentati. Non più soltanto il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo e il deputato Luca Toccalini, leader della Lega Giovani, ma pure Cristian Invernizzi, ex parlamentare bergamasco un tempo vicino a Salvini, ma da qualche anno messo ai margini: “Non sento Matteo dal settembre 2022”, dice arrivando in sala.
Salvini spera che da qui al 15 dicembre, giorno del congresso, le cose si risolvano. Ma nel frattempo farebbe bene a buttare un occhio alle sezioni e alle altre Sorisole sparse per la Lombardia, perché il fair play tra i candidati non basta a sopire un malcontento dei militanti che monta lungo tutta la serata.
Romeo e Toccalini si dimostrano leali al segretario, a cui riconoscono in coro il merito “di aver fatto un miracolo” per risollevare la Lega: “Ci sono stati anni in cui non serviva neanche fare campagna elettorale: la gente lo sentiva parlare e ci votava”. Entrambi però sanno che qualcosa va aggiustato: “Già dopo le Europee ho detto che andava fatta una riflessione sulla nostra identità – scandisce Romeo – Oggettivamente noi non parliamo più del Nord. E occhio che se non parliamo più del Nord, poi la gente non ti vota più”. Toccalini: “Guardate che nessuno di noi lecca il culo a Salvini, in privato le cose gliele diciamo”. Quali cose?
Basta fiutare l’umore in sala. Sara, una militante in maglione bianco-verde, si alza in piedi: “Siamo diventati un partito verticistico”. La raffica delle domande somiglia ai cahiers de doleances di antica memoria: il ponte sullo Stretto, Vannacci, la Lombardia dimenticata, la provincia di Bergamo ignorata nelle nomine e nelle candidature. “Qui una volta, quando c’era qualche iniziativa del partito, facevamo come minimo 80 gazebo in città – ricorda Invernizzi – adesso, se va bene, se ne fanno 30”. E poi i congressi locali, spariti o in ritardo. “Ma Salvini tutte queste cose le sa?”, alza la voce un altro militante
Romeo prende appunti e rilancia: “Lo dico anche io, basta con la stagione dei nominati, servono i congressi. E per me un partito maturo è un partito che discute, dove c’è un candidato che vince e uno che perde. Io non tradisco la promessa ai militanti, è un anno e mezzo che giro la Lombardia”. Altro che nome unitario. Toccalini è d’accordo: “Non bisogna avere paura del confronto”. Ma ad agitare la base leghista non è solo la gestione di Salvini. Monta una certa insofferenza nei confronti degli alleati, e pure Toccalini si sfoga: “Io accetto che l’opposizione abbia da ridire sull’autonomia, ma non che Tajani ci rompa le palle”. Romeo declina il concetto con un messaggio a Salvini: “Dobbiamo farci sentire di più con gli alleati”. Che altrimenti si prendono i voti. Toccalini la semplifica così: “Non è possibile che in Lombardia i fascisti prendano più di noi”. Il linguaggio è sbrigativo, ma la base apprezza. “Chi si prende la responsabilità di tutti questi voti persi?”, chiede Giacomo. Romeo: “Abbiamo sbagliato tutti. Di certo, se potessi tornare indietro, consiglierei a Salvini di non entrare nel governo Draghi”. Il nome di Bossi viene evocato qua e là, non tanto per operazioni politiche quanto per una questione di identità padana: “Noi vogliamo cantare il Va’ Pensiero, loro per le feste ci han mandato la playlist con Maledetta Primavera”. Sono le undici di sera, l’Atalanta ha vinto 2 a 0 e, se a Salvini sono fischiate le orecchie, non è difficile capire perché.
(da Il Fatto Quotidiano)
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