BERLUSCONI: “LA NOSTRA E’ UNA SCONFITTA ANNUNCIATA. MA L’UNICO VERO SCONFITTO E’ GRILLOâ€
“IL PDL NON FUNZIONA, VA CAMBIATO, MA SENZA DI ME NESSUNO CE LA FA”
“Così com’è, il Pdl non funziona, non serve più, se poi sbagliamo anche la scelta dei candidati è la fine». Raccontano che Silvio Berlusconi la considerasse una «sconfitta annunciata».
Ma non certo con queste proporzioni, coi numeri da cappotto.
Mastica amaro, il capo, e il risultato diventa miccia per l’annunciata «rivoluzione » di un partito «da rifare», da riportare alla versione light di Forza Italia.
Il Cavaliere resta blindato ad Arcore, solito pranzo coi figli, incontro coi vertici Mediaset, prima, e gli avvocati, dopo, lunga telefonata con Alfano.
Resterà in Brianza anche oggi, nessuna voglia di rientrare a Roma e ricevere i dirigenti Pdl a Palazzo Grazioli (potrebbe farlo forse domani).
A chi lo chiama ripete che il governo non rischia, che anzi «il vero sconfitto è Grillo, che ha gridato in tutte le piazze contro l’inciucio e ha straperso».
Colpito dai picchi di astensionismo, Berlusconi non nasconde tuttavia le difficoltà . Non basta l’«ennesima conferma che quando non ci metto la faccia si perde», refrain tornato in auge anche ieri.
Il problema diventa il partito, la selezione dei candidati.
A Roma per esempio. Telefonata di consolazione con l’uscente Alemanno, ma raccontano che Berlusconi in privato abbia ricordato come avesse detto mesi addietro che il volto nuovo su cui puntare era Alfio Marchini, ma che nella Capitale Alemanno si è ostinato a sfidare tutti i sondaggi.
Indiscrezione che le fonti ufficiali smentiscono.
Ma, Roma a parte, il fatto è che anche negli altri 15 ballottaggi il Pdl è andato ko.
Per non dire della disfatta maturata, in serata, nell’ex granaio elettorale siciliano.
«Non sono stati capaci di trovare candidati credibili» è l’accusa lanciata da Arcore ai dirigenti.
Per il Cavaliere insomma ce n’è abbastanza per decretare la fine del partito così com’è esistito finora. In queste ore non è solo il “falco” Daniela Santanchè a chiedere una «riorganizzazione senza guerra tra bande», a dire che «dobbiamo riflettere su ciò che non funziona», a partire dalla «classe dirigente».
Adesso il rilancio del partito “leggero” – quello illustrato da Verdini, Santanchè e Capezzone una settimana fa al capo – può partire.
Nessuno mette in discussione il ruolo di Alfano, tantomeno Berlusconi.
Tuttavia molti dirigenti, risultati alla mano, sostengono in privato che il partito non può essere più gestito da un segretario part time, al contempo vicepremier e ministro degli Interni.
I “falchi” in queste ore non gli risparmiano nulla, fino a imputargli la terza, pesante sconfitta elettorale consecutiva, in due anni, nella “sua” Sicilia, tra amministrative e Regionali.
Da Catania a Palermo passando per la presidenza della Regione finita a Crocetta.
E allora la soluzione che torna a lievitare è quella, non già di silurare, ma di affiancare il segretario.
Con un vice di peso o con un terzo coordinatore forte insieme a Verdini e Bondi.
E il nome che viene ripescato è quello dell’uomo forte e ras di consensi in Puglia, Raffaele Fitto.
Il quale, tuttavia, ripete ai colleghi come preferisca continuare a fare il «deputato semplice» e come potrebbe ripensarci solo se fosse Berlusconi a ridisegnare il partito, chiamandolo in causa.
La tensione in serata in via dell’Umiltà si taglia col coltello.
Angelino Alfano dà segni di nervosismo. Rilascia un’intervista al Foglio rassicurando sulla tenuta delle larghe intese ma – su input di Berlusconi – mettendo in allerta il premier Letta: «Invece di discolparsi con il “partito di Repubblica” dia una missione al governo».
Il sottosegretario Michaela Biancofiore, assai più schietta, dice che «essere berlusconiani significa sentire la pancia del proprio elettorato» che in questo momento non premia le larghe intese.
Ormai la pensa così anche Alessandra Mussolini convinta che il Pdl debba «interrogarsi: evidentemente questo governo pesa sul nostro elettorato, stanco e smarrito».
Altri, come Annamaria Bernini, pensano che ora è più probabile che «un Pd inebriato dal sogno di vittoria possa mettere in difficoltà Letta».
Berlusconi per il momento vuole incalzare il premier sui temi economici, ma non certo staccargli la spina.
«Continuo a non credere alle elezioni anticipate, in alternativa ci sarebbe già una maggioranza pronta» ha stroncato fino a ieri i pruriti dei “falchi”.
Del resto, lui è sempre più assorbito dagli incubi giudiziari, dalle sentenze imminenti. Solo a luglio si capirà se Palazzo Chigi sarà davvero fuori pericolo e fino a quando.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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